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Il nuovo a Firenze: rinunce e grandi gesti

Il nuovo a Firenze: rinunce e grandi gesti

Qualche sintetica considerazione e qualche riflessione su due tra i principali interventi architettonici apparsi recentemente nello scenario fiorentino: il nuovo Auditorium e il nuovo Palazzo di giustizia.
Vittorio Sgarbi si è espresso a caldo sul nuovo Auditorium con una dichiarazione irriverente e colorita ma non del tutto inappropriata: queste nuove architetture sembrano un po’ tutte, all’esterno, delle «scatole di scarpe». Certamente una delle varie tendenze dell’architettura contemporanea sviluppa da tempo una ricerca formale sul «gioco sapiente» dei corpi di fabbrica, limitando all’essenziale gli elementi architettonici: tolti tutti o quasi i «delittuosi ornamenti», non restano che le scatole, di scarpe appunto.
D’altro canto, riguardo al nuovo Auditorium, opera dello studio romano Abdr, non si può non rilevare una sorta di «rinuncia» a fare architettura nella scelta di «mascherare» il grande e massiccio volume della torre scenica con un grigliato geometricamente articolato per smorzare l’impatto visuale della grande volumetria. Il tema è senza dubbio impegnativo, ma non per questo, ad esempio Aldo Rossi nel caso della torre scenica del Teatro Carlo Felice a Genova, si è sottratto al compito, proprio dell’architetto, di trovare una soluzione architettonicamente svolta, coerente con il suo stile e perfettamente rispondente alle esigenze funzionali.
Un clima diverso si respira a Novoli, al cospetto dell’imponente mole del nuovo Palazzo di giustizia brillantemente realizzato sulla base del progetto di massima di Leonardo Ricci. Il «gesto» architettonico è quanto mai manifesto e la grande massa volumetrica viene trattata con notevole sapienza formale, articolata e frastagliata attraverso soluzioni diversificate per masse, per elementi e per materiali, ottenendo un risultato di grande fascino spaziale (in senso quasi scultoreo) e ambientale, tanto da dominare maestosamente tutta la zona e di fatto l’intero panorama della città al pari del Cupolone di Santa Maria del fiore. Si tratta di un’opera senza dubbio datata (fine anni settanta), nella quale l’autore ha inteso cimentarsi anche con elementi, materiali e «mode» intervenuti successivamente alla maturazione della sua poetica più genuina e originaria, legata principalmente alla forza (bruta) e alla plasticità del cemento armato: con echi che vanno dal futurismo del Sant’Elia ai cilindri e ai cerchi di Louis Kahn, al courtain-wall usato in grandi superfici anche inclinate proprio come una tenda, ai mattoncini e alla pietra liscia dei rivestimenti, alle linee diagonali, agli spigoli, alle punte e alle «guglie», in un assemblaggio compositivo straordinariamente e semplicemente bello, che colpisce per la capacità di manovra dei vari elementi nelle giuste proporzioni per sottrarsi al rischio di un’accozzaglia di «trovate» altrimenti del tutto gratuite. Ci vorrà del tempo per valutare la funzionalità di una macchina così complessa: tenuto conto che Ricci aveva un rapporto con gli aspetti funzionali tra l’ideologico e l’estetico, si dovrà sicuramente indulgere non poco.
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Autore

  • Enzo Cancellieri

    Architetto, nato a Usini (SS) nel 1949 e residente a Firenze, dove esercita l'attività nel proprio studio professionale, occupandosi della redazione di piani e progetti nel settore del recupero e della riqualificazione a scala urbana, nonché di progettazione e direzione lavori nel settore dell'edilizia pubblica e privata, principalmente nei rami del restauro e della ristrutturazione. Dal 1981 al 2000 è stato impegnato nell'opera di ricostruzione del centro storico di Salvitelle (SA), gravemente danneggiato dal terremoto dell'Irpinia del 1980. A Firenze e dintorni ha curato il restauro di molteplici edifici monumentali e, dal 2005, si occupa del restauro della Basilica di Santa Croce

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Last modified: 20 Luglio 2015