Lo sanno tutti che non basta schierare dei capolavori per realizzare una bella mostra. Eppure il Deutsches Architekturmuseum (DAM) di Francoforte sul Meno ha appena smentito questo principio. Esponendo nientemeno che 300 plastici realizzati nelle diverse fasi della progettazione architettonica (dallo studio dei volumi alla presentazione al cliente, passando per la ricerca strutturale), il museo presenta un numero strabiliante di capolavori e progetti architettonici che, vuoi perché non sono mai stati costruiti, vuoi perché la realtà non è mai tanto bella quanto le sue rappresentazioni, ci fanno letteralmente sognare. Inoltre sia per le scelte del suo curatore, Oliver Elser, sia per il suo allestimento, questa mostra è davvero impeccabile.
Il titolo, The Architectural Model. Tool, Fetish, Small Utopia, è al contempo esaustivo e programmatico. Consente, da un lato, di accogliere combinazioni azzardate nel tentativo di visualizzare il «gioco sapiente, corretto e spettacolare dei volumi assemblati sotto la luce» e, dallaltro, di presentare dei piccoli mondi futuristi di plastica colorata o modelli realizzati in materiali (nel caso di Mies van der Rohe, il bronzo e il cuoio) che evocano la nobiltà astratta della scultura. Sala dopo sala, lesposizione dimostra in modo convincente che i plastici ricoprono più ruoli nel lavoro quotidiano di un architetto e che la loro estetica e i metodi di fabbricazione dipendono dalla loro finalità. Ma è anche interessante vedere come i materiali e lambientazione partecipino alla concettualizzazione della stessa professione di architetto. Il duro grigiore di Krier, ad esempio, non ha nulla di coinvolgente e lo lega chiaramente ai suoi tristi riferimenti neoclassici, mentre Rem Koolhaas dimostra di non aver paura della policromia e di un certo «divertimento» legato ai mezzi di rappresentazione. Ma se i plastici sono in genere costruiti per convincere un potenziale cliente dellinteresse di un progetto, in alcuni casi non si può fare a meno di pensare che si tratti di veri e propri «suicidi commerciali» tanto sono brutti o dimentichi di rappresentare la realtà.
Potrei passare in rassegna tutti i pezzi forti, quelli sorprendenti e i capolavori che si trovano in questa mostra, ma lo spazio di questo articolo non me lo consente. Così, per farvi venire lacquolina in bocca (e invitarvi a sfogliare il bel catalogo pubblicato da Scheidegger & Spiess), immaginatevi un oggetto incredibile firmato Oma/Rem Koolhaas per ledificio del Checkpoint Charlie di Berlino in cui la cassa per il suo trasporto e imballaggio fa parte integrante del plastico; oppure una presentazione stravagante della Piazza dItalia di Charles Moore alla Nouvelle Orléans che ci riporta indietro di quarantanni, alle origini del dibattito postmoderno; o ancora, una costruzione incredibilmente fragile, fatta di carta, di Louis I. Kahn per unala mai realizzata del Salk Institute; o delle divertenti ricerche formali di Hans Hollein in scala 1 e dei progetti di Aldo Rossi scaturiti direttamente da un dipinto di Giorgio de Chirico. E qui mi fermo, ma la lista potrebbe continuare allinfinito.
Lunico abbassamento di tono è limportanza attributa a Axel Schultes e Charlotte Frank, con il loro plastico di schiuma blu per il concorso del Neus Museum esposto sotto luci colorate. Ma questa presentazione ha comunque la genialità di farci capire che, nonostante gli inizi modernisti e minimalisti, i due architetti tedeschi aprono finalmente al kitsch.
In effetti, dopo aver visitato i tre piani dellesposizione, viene da chiedersi se in fondo non si tratti di una questione di seduzione. Amiamo questi plastici perché ci mostrano uno stato del mondo che non sarà mai. Non solo perché rappresentano delle utopie (come il progetto urbano di Arata Isozaki per Tokyo), ma anche perché raffigurano uno stato ideale e idealizzato dellarchitettura. Nessun acroterio, nessuna caduta di acqua piovana, nessun topo di cantina né pareti di vernice scrostata. Un mondo troppo bello per essere vero. Fino al 16 settembre 2012.