Roma. Presentata l8 marzo allUniversità La Sapienza lIndagine 2012 AlmaLaurea sullo stato occupazionale dei laureati. A quattordici anni dalla prima, e dopo ben due riforme degli ordinamenti universitari, le informazioni che restituisce riguardano, con piena validità di risultati, ormai tutte le diverse tipologie di laureati che oggi si trovano a «convivere», se non competere, in un mondo del lavoro sempre più vecchio e in crisi, in cui però si muovono sempre più giovani: triennali tout court, triennali + specialistici/magistrali, quinquennali a ciclo unico e vecchio ordinamento, la cui analisi, per la prima volta, apre una finestra sulla situazione a dieci anni dal conseguimento del titolo. Unocchiata al quadro che questi dati restituiscono sarebbe molto utile prima discriversi allUniversità.
Triennali
Chi ha scelto di lavorare dopo il completamento del triennio, si è trovato di fronte una situazione in peggioramento. In due anni il contesto ha subito cambiamenti significativi, evidenziati dal confronto tra chi si è laureato nel 2006 e chi nel 2008. Mentre l81,1% dei primi lavorava a un anno da diploma (percentuale rimasta sostanzialmente stabile a cinque anni), dopo soli due anni, e linizio delle manifestazioni di una crisi strutturale che stiamo ancora vivendo, la stessa percentuale è scesa quasi del 20% attestandosi, per i laureati 2008, al 63,2% (anche se in ripresa a tre anni, quando lavora l82,6%). I settori di occupazione prevalenti sono lindustria (46%) e i servizi (47,4%). Segnali preoccupanti arrivano dal fronte disoccupazione, perché i corsi triennali in Architettura dopo cinque anni registrano il massimo tasso: 17,1%, contro il dato totale dei triennali laureati in ogni ambito, pari al 5,5%. Sul fronte delle retribuzioni, larchitettura continua a confermarsi uno dei campi meno gratificanti (ma non il peggiore: 1.085 euro a tre anni con media 1.318, e 1.300 euro con media 1.420), in cui le differenze di genere si fanno sempre sentire. Un architetto iunior maschio a cinque anni percepisce infatti 1.473 euro (media 1.555), mentre una donna si ferma ai 1.186 (su 1.383), con unattività che però per tutti tende verso il contratto a tempo indeterminato (gli autonomi passano in due anni dal 17,9 al 29,6%, ma gli assunti dal 24,3% al 45,6%). E consistenti differenze tra maschi e femmine si rilevano anche nelle percentuali occupazionali a cinque anni, quando lavora l85,9% dei primi e solo il 76,7% delle seconde. Nonostante il 56,1% degli intervistati percepisca un miglioramento della propria posizione grazie al titolo conseguito, valutazioni tiepide sono espresse rispetto alla sua efficacia e alluso delle competenze acquisite. A cinque anni, solo il 42,1% considera la laurea efficace (a tre anni la percentuale non è molto diversa, 42,6%) e solo il 34,3% dichiara di utilizzare le competenze acquisite in misura elevata (molto al di sotto della media, 52,7%) e il 54,7% ne fa un uso ridotto. Il tutto in un mercato che sembra non considerare necessario questo titolo: è dichiarato «richiesto dalla legge» dal 18% degli intervistati, per il 19% è necessario ma non richiesto, il 49,9% lo considera non richiesto ma utile e il 13% non richiesto né utile.
Biennio
Proseguendo gli studi, il percorso in Architettura si dimostra uno fra i più coerenti (il 77,5% dei laureati 2010 ha scelto la specialistica «naturale» proseguimento della triennale) ma anche uno dei meno mobili (molto diffuso sul territorio nazionale): l87% ha scelto infatti di proseguire la formazione nello stesso ateneo. Usciti da un anno, i laureati 2008 sono occupati al 69,5% (comunque sopra la media generale del 56,7%) e hanno un tasso di disoccupazione complessivamente alto (18,7%). Passati altri due anni la situazione migliora, loccupazione aumenta (85,3%) e diminuisce in modo sensibile la quota di disoccupati (6,6%). Anche per loro le differenze di genere si fanno sentire: pur superiori alle medie di tutti i settori, dopo tre anni lavora l89,4% degli uomini e l81,9% delle donne. Impegnati nellindustria (a tre anni 50,1%, soprattutto nelledilizia) e nei servizi (47,4%, un terzo dei quali nelle consulenze), tendono maggiormente ad aprire la partita Iva, esercitando un lavoro che meno della metà degli intervistati (il 45,5%) sente migliorato dallacquisizione del titolo: in tre anni, gli autonomi più che raddoppiano, passando dal 20,6% al 45,8%, con gli assunti a tempo indeterminato che si incrementano dal 10,1% al 16,7%. Il giudizio sul titolo di studio è più positivo rispetto agli iunior. Il 69% a tre anni lo considera efficace, le competenze acquisite sono inutili solo per il 6,4%, e per il 79,8% essere in possesso della propria laurea è utile per il lavoro (ma il 20,6% ritiene sufficiente il titolo triennale o addirittura un titolo non universitario).
La nota più dolente sono i guadagni, sensibilmente inferiori sia alla media complessiva che ai valori dichiarati dai triennali. Sul globale di 884 euro mensili a un anno e 1.101 a tre, i dati di genere vedono le donne sempre indietro: in tre anni di attività, gli uomini arrivano a percepire 1.227 euro/mese (media 1.446), mentre le donne rimangono ferme a 1.078 (media 1.221).
Ciclo unico
E avendo scelto il quinquennio a ciclo unico? Le differenze con il percorso formativo di cui è lerede diretto (i cinque anni precedenti che sembrano ormai lontanissimi nel tempo pur non essendolo) non sono marcate. Valutati a uno e tre anni dalla laurea, in termini di occupazione sul breve periodo i laureati tengono rispetto alla rilevazione precedente (registrando, con il 59,8%, solo un -1%), anche se sembrano trovare lavoro con più fatica rispetto ai colleghi biennali (a tre anni il tasso di occupazione, pari al 78,7%, è inferiore di 6,6 punti percentuali). Larea della disoccupazione a un anno è ampia, il 22,5%, ma si dimezza dopo tre anni, segnando l11,7%. Sempre nelle ultime posizioni delle classifiche, i guadagni mensili sono anche i più bassi tra quelli che si registrano nel settore Architettura: a un anno il netto è di soli 770 euro, che diventano 1.059 dopo tre (le medie sono 1.050 e 1.399). A tre anni, le differenze di genere rispetto ai biennali sono un po meno marcate sia in termini di occupazione (lavora l81,1% degli uomini e il 76,9% delle donne), che di retribuzioni (1.150 per i primi e 1.069 per le seconde). I giudizi sul titolo conseguito sono più positivi rispetto ai biennali. A tre anni dal conseguimento, per l81,2% è efficace (il 59,8% ritiene che le competenze acquisite siano utili in misura elevata), mentre il titolo sembra (stranamente) essere più richiesto dalla legge (secondo il 63,3% a tre anni contro solo il 44,6% dei «pari grado» biennali). Con tipologie di attività similari (il lavoro autonomo sembra essere lo sbocco naturale del campo, come confermato anche dal 66,1% di partite Iva fra i laureati del vecchio ordinamento), i settori prevalenti di attività segnano unaltra differenza rispetto ai biennali, dove sembra esserci un rovesciamento dei settori dimpiego: in tre anni, i numeri rilevano un passaggio dallindustria (57,5% a un anno al 49,5% a tre) verso i servizi (che salgono dal 40,9% al 50,1%). Rovesciamento decisamente marcato se si osservano i laureati del vecchio ordinamento a cinque anni, occupati nei servizi per il 70,8% e solo per il 29% nellindustria.
Dopo 10 anni
Lindagine 2012 ha introdotto la prima rilevazione a dieci anni sui laureati del 2000, 2001 e 2002. Come se la passano? L89,8% è occupato, ha iniziato a lavorare dopo una laurea considerata efficace dal 72,9% e richiesta dalla legge per il 66,8% degli intervistati, e ha svolto in media 3,4 attività lavorative diverse con anzianità di servizio variabili: il 48,3% è impiegato nellattuale da più di cinque anni (ma meno di dieci), il 22,2% da più di dieci, il 16,7% da meno di tre e il 12,87% da più di tre e meno di cinque. Per il 49,9% è un lavoro autonomo, mentre il contratto a tempo indeterminato è una realtà per il 32,2%. Non guadagnano grosse cifre, con nette differenze tra uomini e donne (rispettivamente 1.518 e 1.367 euro) che ogni settimana lavorano per 41 e 37 ore, ma ricoprono ruoli oltre la media per la responsabilità formale (valutata al pari di quella di un medico) e per la partecipazione alla definizione di obiettivi e strategie (partendo da quelli dello studio che gestiscono).
La situazione è complessa ma lascia qualche speranza. Da una parte, gli architetti sono tanti (lo denuncia periodicamente il Cnappc), mal pagati (lo confermano Cresme e Inarcassa), con disoccupazione crescente e in balia di una crisi che ha colpito pesantemente il settore che li impiega maggiormente e si ripercuote soprattutto sulle giovani generazioni. Eppure, i dati sui test di ammissione (che da sempre questo Giornale restituisce), pur con differenze anche sostanziali tra le tante sedi di studi, non rilevano significativi cali di presenze tra chi a settembre decide di sostenere lesame; segno che la laurea non ha ancora perso il suo appeal. Daltra parte, la sempre più preoccupante situazione in cui versa il territorio nazionale dimostra come lItalia abbia sempre più bisogno di tecnici, architetti in prima fila, attenti alla qualità, preparati e consapevoli del proprio ruolo. Se posto in questi termini, il problema ha una soluzione scontata sulla carta, ma non di fatto. E spetta soprattutto al mondo della formazione e a quello delle professioni riuscire, finalmente, a muoversi nel modo giusto.