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Written by: Professione e Formazione

Il Museo palestinese sarà un bunker decostruttivista

Il Museo palestinese sarà un bunker decostruttivista

Nell’ottobre scorso l’Unesco ha approvato la richiesta di adesione della Palestina, riconoscendola come Stato membro a pieno titolo. Ora un altro passo viene mosso verso la costituzione di uno stato palestinese: la Welfare Association ha annunciato che lo studio Heneghan Peng si occuperà del masterplan e della progettazione del Museo della Palestina previsto nei pressi di Ramallah. Un’iniziativa unica, dalla forte valenza politica, che ha richiesto quasi un decennio di contrattazioni e ripensamenti da parte dell’Ong promotrice. La selezione (iniziata a giugno 2011) ha portato da 40 a 5 il numero dei pretendenti: Consolidated Consultants, Edward Cullinan Architects, Henning Larsen, Heneghan Peng, Moriyama and Teshima. Il team vincitore riunisce, oltre allo studio dublinese fondato nel 1999 (che negli ultimi anni si é aggiudicato commesse importanti come il Grand Egyptian Museum a Giza e i ponti del Parco olimpico per Londra 2012), gli strutturisti di Arup e Bartenbach LichtLabor & T/E/S/S.
Il terreno (40.000 mq) è stato messo a disposizione dall’Università di Birzeit, il campus più importante situato vicino alla città di Ramallah. La localizzazione del museo rende evidente il valore simbolico dell’operazione: in questo modo l’Autorità palestinese rafforza il valore di Ramallah come capitale de facto dello stato (e di conseguenza la propria legittimazione politica), evitando i prevedibili contrasti con Israele che la scelta di Gerusalemme Est, capitale ideale ma militarmente occupata e praticamente irraggiungibile dai palestinesi, avrebbe scatenato.
Nel progetto vincitore, gli elementi architettonici si fanno strumento d’identità politica: il richiamo ai terrazzamenti della Palestina storica é evidente nel trattamento dei giardini che circondano il museo. Il nesso con l’architettura tradizionale sembra, però, non estendersi oltre e l’edificio, dal profilo aggressivo e acuminato, richiama l’architettura dell’occupazione: ormai elemento abituale del paesaggio della Cisgiordania. Il museo, situato in cima alla collina come le colonie, semi-ipogeo come un bunker, appare rivestito con quella pietra di Gerusalemme che è stata considerata in passato cifra comune di una presunta architettura vernacolare israeliana. Inoltre, paradossalmente, il progetto sembra rifarsi ai linguaggi decostruttivisti di matrice statunitense. Il disegno del giardino impostato su segni alla scala territoriale e l’edificio dalle nette linee spezzate richiamano gli esperimenti di Peter Eisenman d’integrazione tra territorio e architettura, in cui questa aspira a divenire concrezione territoriale.
La Welfare Association ha tenuto in ampio conto le difficoltà logistiche legate alla concezione del museo. Il terreno si trova in una delle miriadi d’isole a sovranità palestinese tracciate dal trattato di Oslo del 1993: solo i turisti stranieri e rari cittadini palestinesi dotati di un permesso di passaggio israeliano potranno superare barriere e checkpoint per visitarlo. Nelle intenzioni dei promotori, il museo funzionerà più come hub per la ricerca e l’informazione inerenti la storia, la cultura e la vita contemporanea palestinesi. Un centro neutrale di studi e raccolta informazioni sui 10.000 anni di storia della regione, da realizzarsi in due fasi, la prima da 2.500 mq con un budget di circa 8 milioni di dollari da concludersi nel 2014, a cui farà seguito una seconda fase da circa 5.000 mq.

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Last modified: 20 Luglio 2015