Haiti.. Gennaio 2010: un terremoto di magnitudo 7, tra i più feroci mai visti, devastò il paese più povero delle Americhe e tra i 58 al mondo con il più alto livello di violenza e corruzione. Drammatici i numeri della catastrofe: 300.000 vittime e oltre 1,3 milioni di sfollati. Ai danni del sisma si aggiunse, appena qualche mese dopo, unepidemia di colera che provocò, secondo i dati del ministero della Salute pubblica haitiano e lOrganizza- zione mondiale della sanità, circa 500.000 casi di contagio e 7.000 vittime. A questi numeri si aggiungono quelli dei danni materiali: secondo Unocha, Agenzia delle Nazioni unite per il coordinamento degli affari umanitari, il sisma distrusse circa 70.000 edifici; tra questi, tutti gli ospedali della capitale, il palazzo presidenziale e la sede del Parlamento.
Sono passati due anni da quel 12 gennaio. Il Paese ha ora un nuovo presidente, Michel Martelly, e un nuovo governo, sulla cui nomina molto si discute. Intanto, sul fronte della ricostruzione e della tutela dei diritti umani, non si riportano grandi progressi: mezzo milione di persone vive ancora in tende e rifugi di emergenza e in mezzo a macerie e detriti. Solo il 2% della popolazione ha accesso ad acqua potabile e la disponibilità dinfrastrutture igienico-sanitarie è del tutto carente, soprattutto nelle aree rurali e più remote.
Da quanto riferiscono le Nazioni unite, dei dieci progetti principali di ricostruzione uno solo è stato avviato, e appena la metà dei fondi stanziati dalla comunità internazionale per la ripresa del Paese, circa 5,5 miliardi di dollari, è stata utilizzata. Forte è dunque linsofferenza per lincapacità, la lentezza e la poca trasparenza dimostrata dalle istituzioni haitiane nella gestione degli aiuti. Uno degli aspetti prioritari e cruciali per il processo di reinsediamento della popolazione riguarda la proprietà della terra, ed è a oggi ancora insoluto.
Scettiche sul processo di ricostruzione si dichiarano anche le associazioni di difesa dei diritti umani. Da alcuni mesi sono iniziate le espulsioni forzate di persone accampate informalmente nella capitale e in aree limitrofe; complici, pare, esponenti del governo cha appoggiano i grandi proprietari terrieri. La popolazione è spesso ricollocata in zone dove le condizioni sono peggiori di quelle di origine, a rischio smottamento, inondazione e contaminazione con colera; dove non ci sono elettricità, strutture per le cure mediche, per leducazione; lontane dai luoghi di lavoro e con pessime condizioni di trasporto; a elevata promiscuità. Si tratta di una violazione delle convenzioni internazionali ratificate dal Paese e della stessa Costituzione haitiana, che allarticolo 22 protegge il diritto alla casa e delle persone sfollate allinterno del proprio territorio. Certamente le difficoltà incontrate agli inizi del mandato dal nuovo presidente hanno ritardato i programmi e la ripresa autonoma del Paese, ma è un fatto che la corruzione delle istituzioni governative abbia molto limitato lingresso alla dogana e luso efficace degli aiuti. La responsabilità della ricostruzione di Haiti è ricaduta in gran parte sulle organizzazioni umanitarie che, in realtà, non hanno potere né di dirimere i conflitti legali riguardanti la proprietà, né dintervenire per sedare le violenze delle bande allinterno dei campi, quando il governo stesso non assume posizione. Qualche segnale ottimista arriva da Architecture for Humanity, che valuta positivamente i risultati raggiunti e le premesse di rinascita, a dispetto di quanto riferiscono i media. Lassociazione guidata da Cameron Sinclair ha completato 4 scuole, mentre ne ha sette in cantiere, oltre a vari masterplan sviluppati con le comunità locali (a proposito, un suo ufficio è aperto al pubblico tutti i venerdì per consulenze). La comunità internazionale ha dichiarato di voler mantenere in ogni caso il proprio impegno per la ricostruzione del Paese. Ha anzi deciso di stanziare ulteriori aiuti: la Inter-American Development Bank investirà 200 milioni di dollari allanno fino al 2020, gli Stati Uniti altri 5,97 miliardi nello stesso intervallo di tempo.
Articoli recenti
- COP30: per un futuro migliore, dovremo imparare dall’Amazzonia 31 Ottobre 2024
- Alto Adige, quando il benessere del territorio si riflette nella baukultur 30 Ottobre 2024
- Architettura instabile, la performance di Diller Scofidio+Renfro 30 Ottobre 2024
- In-VisIBLe, cultura accessibile a tutti 30 Ottobre 2024
- Venezia: l’Hortus Redemptoris non è più conclusus 30 Ottobre 2024
- Veneto: il patrimonio di ville e giardini valorizzato dal PNRR 30 Ottobre 2024
- L’Archintruso. Il colpo di grazia. (Chi ha ammazzato l’architettura?) 30 Ottobre 2024
- Festa dell’architetto 2024: Italia a due velocità 28 Ottobre 2024
- Vienna Nordwestbahnhof, la città senza qualità 28 Ottobre 2024
- Gres porcellanato effetto marmo: eleganza senza tempo per ogni stile 28 Ottobre 2024
- Alberto Ponis (1933-2024) 26 Ottobre 2024
- L’Archintruso. Il signor C., provetto nuotatore 23 Ottobre 2024
- Chiare, fresche e dolci acque. Urbane 22 Ottobre 2024
- Legge sull’architettura, sarà la volta buona? 22 Ottobre 2024
Tag
Edizione mensile cartacea: 2002-2014. Edizione digitale: dal 2015.
Iscrizione al Tribunale di Torino n. 10213 del 24/09/2020 - ISSN 2284-1369
Fondatore: Carlo Olmo. Direttore: Luca Gibello. Redazione: Cristiana Chiorino, Luigi Bartolomei, Milena Farina, Laura Milan, Arianna Panarella, Michele Roda, Veronica Rodenigo, Ubaldo Spina.
«Il Giornale dell’Architettura» è un marchio registrato e concesso in licenza da Umberto Allemandi & C. S.p.A. all’associazione culturale The Architectural Post; ilgiornaledellarchitettura.com è un Domain Name registrato e concesso in licenza da Umberto Allemandi & C. S.p.A. a The Architectural Post, nuovo editore della testata digitale, derivata e di proprietà di «Il Giornale dell’Architettura» fondato nell’anno 2002 dalla casa editrice Umberto Allemandi & C. S.p.A.
L’archivio storico
CLICCA QUI ed effettua l’accesso per sfogliare tutti i nostri vecchi numeri in PDF.
© 2024 TheArchitecturalPost - Privacy - Informativa Cookies - Developed by Studioata