Visit Sponsor

Francesca De FilippiWritten by: Città e Territorio

Come fosse ieri: Haiti è ancora una terra devastata

Come fosse ieri: Haiti è ancora una terra devastata

Haiti.. Gennaio 2010: un terremoto di magnitudo 7, tra i più feroci mai visti, devastò il paese più povero delle Americhe e tra i 58 al mondo con il più alto livello di violenza e corruzione. Drammatici i numeri della catastrofe: 300.000 vittime e oltre 1,3 milioni di sfollati. Ai danni del sisma si aggiunse, appena qualche mese dopo, un’epidemia di colera che provocò, secondo i dati del ministero della Salute pubblica haitiano e l’Organizza- zione mondiale della sanità, circa 500.000 casi di contagio e 7.000 vittime. A questi numeri si aggiungono quelli dei danni materiali: secondo Unocha, Agenzia delle Nazioni unite per il coordinamento degli affari umanitari, il sisma distrusse circa 70.000 edifici; tra questi, tutti gli ospedali della capitale, il palazzo presidenziale e la sede del Parlamento.
Sono passati due anni da quel 12 gennaio. Il Paese ha ora un nuovo presidente, Michel Martelly, e un nuovo governo, sulla cui nomina molto si discute. Intanto, sul fronte della ricostruzione e della tutela dei diritti umani, non si riportano grandi progressi: mezzo milione di persone vive ancora in tende e rifugi di emergenza e in mezzo a macerie e detriti. Solo il 2% della popolazione ha accesso ad acqua potabile e la disponibilità d’infrastrutture igienico-sanitarie è del tutto carente, soprattutto nelle aree rurali e più remote.
Da quanto riferiscono le Nazioni unite, dei dieci progetti principali di ricostruzione uno solo è stato avviato, e appena la metà dei fondi stanziati dalla comunità internazionale per la ripresa del Paese, circa 5,5 miliardi di dollari, è stata utilizzata. Forte è dunque l’insofferenza per l’incapacità, la lentezza e la poca trasparenza dimostrata dalle istituzioni haitiane nella gestione degli aiuti. Uno degli aspetti prioritari e cruciali per il processo di reinsediamento della popolazione riguarda la proprietà della terra, ed è a oggi ancora insoluto.
Scettiche sul processo di ricostruzione si dichiarano anche le associazioni di difesa dei diritti umani. Da alcuni mesi sono iniziate le espulsioni forzate di persone accampate informalmente nella capitale e in aree limitrofe; complici, pare, esponenti del governo cha appoggiano i grandi proprietari terrieri. La popolazione è spesso ricollocata in zone dove le condizioni sono peggiori di quelle di origine, a rischio smottamento, inondazione e contaminazione con colera; dove non ci sono elettricità, strutture per le cure mediche, per l’educazione; lontane dai luoghi di lavoro e con pessime condizioni di trasporto; a elevata promiscuità. Si tratta di una violazione delle convenzioni internazionali ratificate dal Paese e della stessa Costituzione haitiana, che all’articolo 22 protegge il diritto alla casa e delle persone sfollate all’interno del proprio territorio. Certamente le difficoltà incontrate agli inizi del mandato dal nuovo presidente hanno ritardato i programmi e la ripresa autonoma del Paese, ma è un fatto che la corruzione delle istituzioni governative abbia molto limitato l’ingresso alla dogana e l’uso efficace degli aiuti. La responsabilità della ricostruzione di Haiti è ricaduta in gran parte sulle organizzazioni umanitarie che, in realtà, non hanno potere né di dirimere i conflitti legali riguardanti la proprietà, né d’intervenire per sedare le violenze delle bande all’interno dei campi, quando il governo stesso non assume posizione. Qualche segnale ottimista arriva da Architecture for Humanity, che valuta positivamente i risultati raggiunti e le premesse di rinascita, a dispetto di quanto riferiscono i media. L’associazione guidata da Cameron Sinclair ha completato 4 scuole, mentre ne ha sette in cantiere, oltre a vari masterplan sviluppati con le comunità locali (a proposito, un suo ufficio è aperto al pubblico tutti i venerdì per consulenze). La comunità internazionale ha dichiarato di voler mantenere in ogni caso il proprio impegno per la ricostruzione del Paese. Ha anzi deciso di stanziare ulteriori aiuti: la Inter-American Development Bank investirà 200 milioni di dollari all’anno fino al 2020, gli Stati Uniti altri 5,97 miliardi nello stesso intervallo di tempo.

Autore

  • Francesca De Filippi

    Architetta e professore associato, insegna Tecnologia dell’architettura e Advanced environmental technological design al Politecnico di Torino, dove dirige anche il CRD-PVS, Centro di ricerca sui temi dell'habitat nel Global South. Temi centrali di ricerca-azione e didattica riguardano il progetto di architettura in contesti in condizioni al limite e di scarsità. Ha una lunga esperienza di coordinamento di progetti di formazione, ricerca e cooperazione internazionale in Paesi extra –UE (in particolare Africa, Asia, America Latina). Coordina il Master del Politecnico di Torino: “Techs4change. Design for social and technological innovation in Development.” È membro del Consiglio di indirizzo della Fondazione per l’architettura di Torino

    Visualizza tutti gli articoli

About Author

(Visited 177 times, 1 visits today)
Share
Last modified: 20 Luglio 2015