«Il Giornale dellArchitettura» (n. 100, dicembre 2011, pp. 4-5) ha pubblicato alcuni progetti di riqualificazione di waterfront in aree di città portuali italiane, mettendone in rilievo le criticità e il difficile percorso attuativo. Il discorso va ripreso con urgenza in quanto, a differenza di quello che accade nel mondo, in Italia i programmi di riqualificazione dei waterfront non sono entrati ancora in una fase realizzativa. A eccezione del caso di Genova, con lintervento di Renzo Piano, nel nostro Paese non abbiamo nessuna esperienza di rilievo. Perché?
Il processo di riqualificazione dei waterfront ha una storia relativamente breve ed è fortemente legata alla riorganizzazione dei sistemi portuali. Alla base di tale processo cè la «containerizzazione» del trasporto marittimo. Il container rivoluziona le dimensioni e le tecnologie dei porti e delle navi, introducendo, per primo, il processo di globalizzazione nelleconomia marittima e portuale. Il processo inizia negli Stati Uniti e nei porti dellEuropa del Nord, producendo ovunque il decentramento delle attività portuali in aree più adeguate lontano dalla città. In fondo è proprio questo decentramento, che libera aree portuali inglobate nel sistema urbano centrale, a essere la base dei programmi di riqualificazione dei waterfront. A partire dagli anni settanta del secolo scorso nellAmerica del Nord da New York a San Francisco, a Baltimora, il processo si estende a Londra, Amsterdam, Amburgo e più tardi a Barcellona. Londra e Barcellona diventano casi paradigmatici, con loro il waterfront si impone come area strategica per la riqualificazione delle città. Il processo è oggi in pieno svolgimento nelle città europee, ma anche a Shanghai, Shenzhen, Hong Kong, Dubai, Buenos Aires, coinvolgendo in pieno lo star system dellarchitettura e dellingegneria. Perché in Italia il processo non varca la soglia dei concorsi e delle proposte?
Una prima risposta sta nel fatto che, a differenza di altri paesi, i porti italiani non hanno subito processi significativi di delocalizzazione (solo Genova e Trieste hanno avuto un parziale decentramento delle attività portuali). I porti, attivi nel cuore delle città, sono materialmente corpi separati dal circostante tessuto urbano. Le città italiane hanno perso da tempo il loro legame con il mare e lo spazio portuale. Questa frattura è sancita a livello istituzionale e amministrativo. Da un lato abbiamo il Comune con il suo Prg, dallaltro lAutorità portuale (per i porti minori lAutorità marittima, ovvero la Capitaneria di porto) con i loro piani regolatori portuali. Due piani che inseguono obiettivi e logiche diverse, nonostante la Legge 84/94 (Riordino della legislazione in materia portuale) imponga un coordinamento e unintesa tra le due istituzioni. Ma non basta: i tempi di approvazione di un piano portuale sono estremamente lunghi e frenano i programmi di riqualificazione dei waterfront; dal loro canto i piani urbanistici sono troppo spesso indefiniti e carenti sul piano normativo nei confronti delle aree di sovrapposizione tra porto e città.
In mancanza di un processo di delocalizzazione, reso difficile dallintensa urbanizzazione delle coste, i progetti di waterfront in Italia devono accettare fino in fondo questa realtà complessa che impone che la città conviva con il porto.
Le aree di waterfront sono strutturalmente conflittuali. Il conflitto contrappone interessi e poteri diversi. Il Comune, lAutorità portuale, le soprintendenze ma anche gli operatori portuali. Questi ultimi, concessionari di aree demaniali, usufruiscono di rendite consolidate di posizione. La loro presenza negli organi decisionali delle Autorità portuali (il Comitato portuale) diviene spesso un ostacolo per ogni programma di riqualificazione dei waterfront che possa rimettere in discussione lo stato di fatto. Sono queste le ragioni che nel concreto rendono difficile la realizzazione dei programmi.
Il caso del waterfront di Napoli è da questo punto di vista esemplare. A distanza di circa sette anni, dopo lespletamento di un concorso internazionale per la riqualificazione del waterfront monumentale del centro storico vinto da un progetto architettonico di Ebsg Architectes – Michel Euvè (capogruppo) e un progetto urbano del sottoscritto, accuratamente predisposto dallagenzia pubblica Nausicaa costituita dallAutorità portuale e dagli enti locali interessati che avrebbe dovuto mediare nella sostanza i conflitti tra porto e città, il progetto è ancora fermo. La Soprintendenza ha imposto a posteriori nuovi vincoli, il Comune non ha ancora delineato una strategia per le aree tra porto e città, la società Nausicaa, punto dincontro tra enti locali e operatori portuali, è stata sciolta, il Comitato portuale frena il progetto di waterfront perché minaccia gli interessi legati alle concessioni acquisite, il Piano portuale tarda a essere approvato. Tutto procede con estrema lentezza, senza una vera strategia dinsieme.
Napoli, tuttavia, è lo specchio di una condizione generale. Mentre nel mondo le aree del waterfront diventano le nuove centralità urbane del XXI secolo, in Italia si resta al palo. E lattuale condizione di recessione certamente non aiuta.
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