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Caterina PagliaraWritten by: Progetti

Il Centro per le biotecnologie molecolari a Torino

Il Centro per le biotecnologie molecolari a Torino

La realizzazione del Centro per le biotecnologie molecolari (4.500 mq di didattica, 4.000 mq di laboratori per 200 ricercatori, 1.000 mq d’incubatore d’impresa) è l’esito di un’operazione di project financing che ha coinvolto l’Università di Torino e un raggruppamento di promotori privati (DE-GA Spa, Finpiemonte Spa, Sinloc Spa, Aem Spa), con la costituzione nel 2003 della Società di biotecnologie (Sdb Spa) per la progettazione, costruzione, gestione del nuovo polo di ricerca e didattica. La complessa struttura degli accordi ha previsto patti parasociali, convenzione con l’Università, contratti di finanziamento e di global service, scambio costante tra Sdb Spa e Scuola di biotecnologie dal progetto preliminare al collaudo nell’agosto 2006. L’iniziativa, resa possibile dalla valenza tecnicoeconomica del progetto stesso, più che dalla capacità autonoma d’indebitamento dei soggetti pubblici coinvolti, ha registrato costi di costruzione contenuti rispetto a opere pubbliche analoghe (15 milioni, circa 1.200 euro/ mq), date di consegna rispettate, soddisfacimento dell’utenza. Il sistema funziona perché riunisce in un solo soggetto le responsabilità agevolando il controllo di gestione, varianti non sostanziali sono a carico del concessionario, costi e tempi sono certi per il concedente che esternalizza spese implicite (amministrazione, coordinamento, rischi e ritardi di cantiere, rinnovo di incarichi manutentivi). Per il ricorso al partenariato pubblico privato, per le scelte strutturali e compositive, il Centro per le biotecnologie molecolari (Cbm) ha destato l’interesse di riviste come «Casabella», «Detail», «Bauwelt, L’Architecture d’aujourd’hui», ottenendo in breve una legittimazione culturale e una fortuna critica internazionale che poche architetture torinesi recenti hanno raggiunto. Convergenza tra un’esigente ricerca di qualità funzionale da parte del committente, intelligenza progettuale e strategia urbana rivolta alla valorizzazione di destinazioni d’uso di pregio, l’opera rivela nel tempo i geni della sua torinesità: è innanzitutto un’architettura urbana. Sorge sul sedime di antichi tracciati ma persegue la ricostruzione critica di un sistema, sottolineando in questo il maggior peso che il progetto, responsabilmente, riconosce alla città più che all’edificio stesso. Il rigore e la concretezza del progetto di Luciano Pia restano confermati in questi cinque anni dalla precisione e tenuta dei dettagli vetrati (soggetti a un piano di regolare manutenzione e pulizia bimestrale), dalla durevolezza del calcestruzzo a vista praticamente privo di efflorescenze o degradi grazie alla scelta del Scc (self compacting concrete) e al trattamento protettivo ai silossani. I quasi impercettibili giunti di ripresa sui due massicci volumi che delimitano la prima corte, l’isolamento acustico prodotto dalla grande vetrata su strada, la pulizia di scale, sedute e rivestimenti generano un rarefatto senso di astrazione, interrotto dalle percezioni tattili di rugosità delle superfici verticali e della pavimentazione in pietra rossa che s’infiltra tra aree aperte e chiuse. Il divertente ossimoro invernale tra i pini marittimi e la neve nel primo cortile a cielo aperto, così come la vivacità di studenti italiani e stranieri che discutono di bio-informatica, anticipano l’efficienza informale che connota il patio più interno dei ricercatori. L’idea di laboratorio è qui affrancata da ogni stereotipo d’isolamento: ampie finestre mettono in comunicazione visiva tutte le postazioni di lavoro; una fascia di distribuzione continua, espressamente richiesta dalla committenza, collega i blocchi operativi per favorire i contatti interpersonali, spiega Fiorella Altruda (presidente della Scuola di biotecnologie). L’accessibilità non ha che poche ordinarie restrizioni: l’ingresso alla stanza dei virus, del materiale radioattivo e allo stabulario. Aree di socialità molto vissute sono le aulette dislocate al primo piano, utilizzate per riunioni o lavori di gruppo, e le sedute tra gli aranci immerse nella vegetazione sotto la grande copertura in vetro; gli oleandri originariamente previsti, ahimè, non fiorivano e sono stati sostituiti con altre essenze arboree. Difficile e soggetto a revisioni in itinere è stato, più che il dimensionamento delle superfici, degli impianti o la predisposizione di arredi e attrezzature tecniche (acquistate solo a opera consegnata), il posizionamento degli allacciamenti, delle cappe chimiche e biologiche, la segmentazione in microzone dotate di unità di trattamento area differenti per la sua non contaminazione. Il layout degli ambienti ha subito variazioni nella manica ottocentesca con la suddivisione di un piano uffici open space tramite partizioni vetrate e arredi neutri; a una sala per studenti al piano terra è subentrata un’azienda d’imaging medicale. A fronte dell’entusiasmo di chi lavora nel Cbm, si rileva la carenza di spazi nella prospettiva di aumentare i ricercatori, mentre gli ambienti dell’incubatore sono già saturi. La CIRPark (Clinical Industrial Research Park, partecipata tra Università, Politecnico, Unione industriale, Azienda ospedaliera San Giovanni Battista) ha espresso intenzione di acquisire un’area da 11.300 mq di proprietà Rfi (in Z.u.t. Dante) al fine di ampliare il centro ricerca; segue in gennaio un protocollo d’intesa tra il sindaco Fassino e l’amministratore delegato di FS Mauro Moretti che si connota, politicamente, come il primo tassello della Città della salute. L’ultimo livello di verifica dell’operazione Cbm si rivolge quindi a una scala ampia, all’affermazione delle potenzialità strategiche che l’area aveva nel 2000 e che ha oggi l’edificio nel mutato quadro infrastrutturale e di destinazioni d’uso. Via Nizza è nel 2012 un asse delle «eccellenze torinesi», dell’identità e del rinnovamento (Lingotto, recupero degli stabilimenti Carpano, Cbm, Linea metropolitana, stazione di Porta Nuova). Una polarità lineare che ha il volto della città post-olimpica e le forti aspettative di un quartiere in attesa di rilancio, eccentrico ma fondamentale sul piano logistico. Non è dunque un caso che proprio questi interventi architettonici siano inseriti negli itinerari urbani promossi dagli organi di comunicazione al cittadino e per il marketing territoriale, diventando meta di un turismo culturale rilanciato già con Torino 2006.

Autore

  • Caterina Pagliara

    Architetta e giornalista pubblicista, vive e lavora in Regno Unito dove svolge attività professionale e di consulenza nel campo dell’edilizia residenziale e dello sviluppo immobiliare. Dopo la laurea, consegue un dottorato di ricerca in Storia dell’architettura e dell’urbanistica presso il Politecnico di Torino. Interessata agli elementi strategici e managariali della pratica di architettura, consegue un Master of Business Administration. Ha collaborato con istituti universitari per attività di docenza, tutoraggio di workshop internazionali di progettazione architettonica e come referente di ricerca storica su progetti urbani strategici, in Italia e all’estero. Coltiva la passione per la scrittura, i viaggi, la tutela ambientale e il giornalismo d'inchiesta. Collabora con «Il Giornale dell’Architettura» e «Abitare»

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Last modified: 20 Luglio 2015