Larchitettura messicana del XX secolo ha ricevuto un tardivo riconoscimento da parte della critica internazionale, che ha iniziato a tracciarne caratteri e genealogie solo nel secondo dopoguerra. Nel 1955, con la pubblicazione del volume Latin American Architecture since 1945, di Henry-Russell Hitchcock, è stata coniata una prima e possibile definizione che, sinteticamente, è racchiusa nelle parole «Architecture, even in modern times, is much affected by psychological as well as by materials factors». Un concetto ripreso e sviluppato dalla teoria del «regionalismo critico» portata avanti dallo da Kenneth Frampton negli anni ottanta, che ha influenzato note sintesi storiografiche come quella di William J.R. Curtis. Riccardo Legorreta può dunque essere incluso tra i maestri di questa peculiare tradizione.
Nato a Città del Messico nel 1931, si laurea in Architettura presso la Universidad Nacional Autónoma de México nel 1952. Inizia lattività professionale presso lo studio di José Villagran García, mentore di unintera generazione di architetti guidati a introdurre il verbo modernista nella cultura locale. Allinizio degli anni sessanta fonda, con Noé Castro e Carlos Vargas senior, lo studio Legorreta Arquitectos (poi divenuto Legorreta + Legorreta quando vi subentra il figlio Víctor) che, successivamente (1977), si specializza nella progettazione di oggetti di design aprendo anche una sede negli Stati Uniti (1985). Ampiamente discussa, e in parte rinnegata, è linfluenza esercitata su Legorreta da uno dei capostipiti del moderno messicano, Luis Barragán (1902-1988), conosciuto e frequentato a partire dalla metà degli anni sessanta. Ispirarsi alla tradizione messicana e al vernacolo; utilizzare elementi archetipici della cultura locale come i colori, la luce, lacqua, le superfici; immaginare unarchitettura integrata con il paesaggio; evocare sensazioni ed emozionare, spesso grazie alla collaborazione con riconosciuti artisti (come Mathias Goeritz o Chucho Reyes), sono solo alcuni dei tratti comuni ai due architetti. Indubbiamente, il lavoro di Legorreta ha, da subito, dimostrato una sostanziale differenza rispetto allopera del maestro di Guadalajara: il salto di scala «monumentale». Pur avendo realizzato edifici residenziali (tra cui il celebre studio a Città del Messico del 1966), le sue principali opere hanno indagato il tema dellarchitettura degli spazi aperti e dei grandi complessi pubblici.
Ne sono testimonianza lavori iniziali come lHotel Camino Real México nella capitale (1968), ma anche maturi, come il Museo dei bambini Papalote, sempre a Città del Messico (1993), in cui è riscontrabile una certa ironia post-moderna. Principi che si sono adattati anche alle assolate terre della California, del Texas e del Nuovo Messico, dove Legorreta inizia a lavorare negli anni ottanta, attuando un processo dinternazionalizzazione della cultura architettonica messicana. Alla commessa per la residenza di Ricardo Montalbán a Los Angeles (1985) seguono una serie di lavori significativi, come la Pershing Square nel cuore del downtown della città californiana (1994), la Biblioteca centrale di San Antonio (1995) o il Center for Visual Arts di Santa Fe (1999), fino al padiglione messicano per lExpo di Hannover (2000) e ai progetti per edifici scolastici a Doha (Qatar, 2011-in corso): opere che introducono e concludono il periodo di maggiore attività, durante il quale Legorreta ha ricevuto anche prestigiosi riconoscimenti (Medaglia doro dellUnione internazionale degli architetti e dellAmerican Institute of Architects).
Linternazionalizzatore del Messico
