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Written by: Forum

Irreale, troppo «morbida» e baroccheggiante

Per mestiere, invento forme e organizzo volumi in cui gravità e inerzia dettano legge. Utilizzo gli strumenti dell’immateriale che permettono di accedere allo spazio virtuale, i software che sembrano liberare l’architetto dalla necessità di affrontare e vincere l’inerzia. Oggi, i potenti strumenti informatici permettono di creare e percorrere le architetture virtuali sempre più rapidamente. Sono spazi in cui l’unica realtà è lo sguardo, teoricamente aperti a tutti, trasformabili, manipolabili dal passante che desidera improvvisarsi architetto. Può questa aritmetica cervellotica dare spunto a un’architettura che prenda ispirazione da una nuova concezione dello spazio? Il filosofo Pierre Lévy, parlando dei legami che uniscono oggi la virtualità dell’informatica e la realtà dell’architettura, scrive: «Il nostro tempo preferisce i modelli agli oggetti, poiché l’immateriale è sprovvisto d’inerzia».
Non intendo parlare dell’architettura virtuale che ricostruisce in una realtà perfetta i monumenti storici e interi quartieri di città antiche per farceli scoprire e percorrere liberamente. Architettura virtuale è anche quella in cui si muovono i personaggi di Second Life, che si presenta sempre attraverso gli stereotipi degradati di un’architettura pseudo classica, con avatar che vivono in caricature d’improbabili Versailles o, peggio, nella modernità desueta di torri solitarie dalla deprimente banalità. Non sono queste le virtuosità e le virtualità che interessano gli architetti.
Intendo qui evocare un utilizzo innovativo dello strumento informatico che rinvia alla nuova cultura digitale da cui emergono gli spazi virtuali che gli architetti esplorano e di cui nutrono i loro progetti. Per Antoine Picon «l’utilizzo del computer per produrre forme nuove e spettacolari costituisce solo un aspetto di una dinamica molto più ampia, così come l’invenzione della prospettiva nel Rinascimento era legata a questioni ben più vaste della mera ricerca di una regolarità geometrica». Una dinamica che si avvicina, secondo i due ricercatori canadesi Manon Guite e Jacques Lachapelle, «a una ricerca estetica che prende spunto da una storicità diversa dal pensiero razionalista». Se per le avanguardie dell’inizio del XX secolo significava ridefinire l’architettura moderna ricorrendo anche a nuovi mezzi di rappresentazione, al contrario le ricerche recenti, sperimentali o semplicemente ludiche, sviluppate senza l’ausilio né i vincoli delle regole formali, sono distaccate da qualsiasi ambizione edificatoria: puri esercizi plastici che comunque producono un nuovo mondo di forme architettoniche.
Ho già detto quanto l’inerzia delle masse, del cemento, della pietra e dell’acciaio pesino sull’articolazione dei volumi e sull’interconnessione degli spazi quando l’architetto vuole con tutte le sue forze che ciò che ha ideato prenda corpo e si erga lentamente nella realtà del cantiere. Eppure, alcune realizzazioni attuali, completate o in corso, come la Filarmonica di Parigi, la Métropol-Parasol di Siviglia, il Museo delle Confluenze a Lione, la futura copertura del Velodromo di Marsiglia, sembrano ispirati da quegli involucri, superfici e forme senza materialità che appaiono sullo schermo. Queste linee «liquide», queste immagini svincolate dalla realtà conosciuta, dall’esigenza di una preoccupazione strutturale o funzionale, generano volumi virtuali che galleggiano slegati da qualsiasi ambiente, geografia o territorio, i quali diventano talvolta i monumenti reali dell’urbanesimo contemporaneo. In questo nuovo mondo di forme i piani secanti, la discontinuità volumetrica, l’ortogonalità, «il cubo» per dirla in parole semplici, si fanno da parte per dar spazio alla continuità e alla fluidità delle forme «morbide». Questa geometria del fluido è diversa, per natura, dalle superfici sghembe e dai paraboloidi iperbolici degli anni cinquanta che furono anch’essi, in passato, i manifesti architettonici di un tipo di esplorazione estetica, di un altro spazio formale. Un universo molecolare, biologico, liquido, a volte immateriale, si sostituisce quindi al mondo statico, minerale e discontinuo delle nostre città. Un nuovo universo che alcuni hanno assimilato al barocco.
Eppure, già parecchi anni fa alcune architetture emersero come per incanto, annunciatrici delle forme oggi ascrivibili alla cultura numerica. Mi vengono in mente la Torre di Erich Mendelsohn, costruita nel 1921 a Postdam per accogliere un istituto di astrofisica destinato a verificare la teoria della relatività di Albert Einstein, ma anche le opere di Antoni Gaudí a Barcellona o di Le Corbusier a Ronchamp. Architetture della fluidità, involucri organici, premesse dei volumi lisci e continui che sono tracciati oggi dal computer. L’odierna cultura digitale non sarebbe quindi che l’espressione contemporanea di un’emozione estetica e di un mondo di forme che alcuni uomini di genio hanno già esplorato coi soli mezzi, straordinariamente semplici, di cui disponevano all’epoca.
Rielaborazione sintetica del discorso tenuto in occasione dell’insediamento all’Institut de France

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Last modified: 10 Luglio 2015