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Written by: Design

I designer come i grandi maestri dell’arte

Sono storie di giovani di successo, di percorsi professionali esemplari, di approcci al progetto innovativi. Sono racconti di oggetti, ma soprattutto di nuove interpretazioni del ruolo del designer nella società d’oggi. Perché proporre una lettura comparata di due mostre?
In primis per una ragione geografica: due riconosciute istituzioni culturali francesi, quali il Musée des arts decoratifs di Parigi e la succursale del Centre Pompidou a Metz, hanno deciso di aprire una finestra, seppure di dimensioni diverse, sul design contemporaneo. E lo fanno stabilendo entrambe dei primati: mai prima d’ora l’opera di Maarten Baas era stata ospitata da un museo parigino, mentre quella dedicata ai fratelli Bouroullec è la più grande retrospettiva finora realizzata in Francia.
In secondo luogo per una questione generazionale: oggetto delle esposizioni è il lavoro di giovani professionisti. Baas (1978), tedesco di nascita, nel 2002 esce dalla Design Academy di Eindhoven, allora diretta da Lidewij Edelkoort (nota «cacciatrice» di trends), e viene subito lanciato sul mercato da Marcel Wanders, mentore di un’intera generazione di giovani olandesi, che lo aiuta a produrre alcuni esemplari della serie di mobili «carbonizzati» «Smoke», poi presentata dalla Moos Gallery a New York. I francesi Ronan e Erwan Bouroullec (1971 e 1976), dopo essersi diplomati rispettivamente all’École nationale supérieure des arts décoratifs di Parigi e all’École nationale supérieure d’arts di Cergy-Pontoise, inaugurano il proprio sodalizio professionale nel 1999 collezionando collaborazioni con note industrie come Vitra, Magis, Alessi, Established & Sons, Axor Hansgrohe, Kartell, Kvadrat, Cappellini, Camper, Ligne Roset.
Risultano poi interessanti le analogie sul versante tematico. Si possono cogliere attinenze interpretative nelle letture offerte dei due percorsi professionali, seppure in sé molto distanti, se non diametralmente opposti. Ricorrono parole quali «fantasia», «sorpresa», «meraviglia», e non è un caso che i sottotitoli rievochino due micro-universi ispirativi: da una parte i cabinets de curiosités del XVI secolo, dall’altra gli accampamenti nomadi. Tuttavia, in questo sta la sostanziale distinzione dei rispettivi approcci: da una parte l’opera di design come performance, dall’altra la cosciente attualizzazione del più canonico ruolo del «disegnatore» per l’industria.
Infine, per una questione strutturale: i tre designer si trasformano in interpreti della propria opera, seguendo una tendenza sempre più diffusa, che vede mescolarsi i ruoli di curatori, allestitori e oggetti dell’interpretazione. Per il museo parigino, Baas ha ideato un ambiente teatrale, dal sapore vagamente surrealista, composto da una serie d’interni nei quali mescola pezzi anonimi a sue opere. Si possono così scorgere esemplari delle serie «Smoke», «Chankley bore», «Clay furniture», oggetti con un’armatura di metallo ricoperta di argilla sintetica colorata e modellata a mano, o ancora i mobili «deformati» della serie «Sculpt» e quelli artigianali della serie «Hey chair». I due designer francesi hanno invece raccolto quindici anni di lavoro in un allestimento concepito come un bivacco (di oltre 1.000 mq), realizzato senza il supporto di alcun elemento scenografico a eccezione delle proprie opere, intese come prodotti industriali, ricerche e lavori artigianali che indagano temi quali il tempo, le nuove tipologie, i materiali, l’effimero, la leggerezza, il comfort. www.centrepompidou-metz.fr

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Last modified: 10 Luglio 2015