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Written by: Progetti

Perché non bisogna toccare le case ticinesi di Mario Botta

Perché non bisogna toccare le case ticinesi di Mario Botta

In un suo testo del 1983 Pierluigi Nicolin derivava

, dalla dozzina di architetture unifamiliari costruite da Mario Botta fino ad allora, una «descrizione conforme» delle case progettate dall’’architetto ticinese: una casa di Botta è a tre piani, senza finestre, senza porte interne e dunque praticamente senza corridoi veri e propri, un oggetto nel paesaggio che aspira a un rapporto diretto con il terreno, e così via. Ebbene sembra che l’’architetto Roberto Daverio, autore di un progetto di trasformazione (presentato il 5 luglio presso il Municipio di Lugano) della casa progettata da Botta a Viganello nel 1980-1981, abbia preso i punti principali individuati da Nicolin e li abbia sistematicamente smontati.

La loggia è un elemento fondamentale dell’’impostazione tipologica e funzionale delle case unifamiliari di Botta: fulcro attorno a cui si organizzano le diverse attività; consente viste interne incrociate, affermando il carattere introverso dell’’abitazione; apre la casa alla valle inquadrando scorci del paesaggio, fungendo al contempo da filtro; costituisce la principale fonte di luce, garantendo un’’illuminazione indiretta che smussa i contrasti. Impiegata per la prima volta nella testata della casa a Cadenazzo (1970-71), dalla casa a Ligornetto (1975-76) si sposta nel centro dell’’abitazione, diventando il fulcro attorno a cui si organizzano le diverse attività, distribuite su tre livelli. Così nelle case a Pregassona (1979-80), a Massagno (1979-81), a Viganello (1980-81) e a Morbio (1982-83). A Viganello Botta sembra assumere la grande serra centrale, che si prolunga sino alla copertura con un lucernario a volta, come tema progettuale. Materializzando un vero e proprio «modello ecologico», mostra qui la via per creare spazi interni dal microclima controllato che invitano a trovare nuovi usi per gli spazi esterni coperti e per gli spazi interni che vi si affacciano. Tutto sembra contribuire a rafforzare il tema della loggia. La facciata in blocchi di cemento, quasi completamente cieca, è bucata unicamente al centro: in basso per l’’accesso, poco più in alto da una profonda apertura quadrata che ritaglia la loggia creando un forte chiaroscuro.

Tuttavia, il progetto di trasformazione non sembra aver colto queste «raffinatezze» per amanti dell’’architettura. La realizzazione di una terrazza al livello del piano terreno e di un sentiero laterale modifica drasticamente l’’attacco a terra dell’’edificio, l’’accesso alla casa e con esso anche il «rito d’’entrata» pensato da Botta. L’’apertura di nuove finestre nella facciata principale annulla l’’effetto di massa della casa e cancella al contempo l’’attento lavoro di controllo delle visuali. Ma il colpo di grazia è quello inferto alla loggia. L’’inserimento, nello spazio originariamente vuoto, di una scala (dalle forme estranee) e la divisione della loggia in fette orizzontali con l’’aggiunta di solette a ogni piano, annulla ogni dialogo tra le parti della casa che prima vi si affacciavano. La spazialità originaria ne risulta stravolta: da casa rivolta verso se stessa, verso la loggia protetta che crea una tensione tra le due parti dell’’abitazione, si trasforma in una casa rivolta verso l’’esterno in modo indifferenziato; inoltre l’’inserimento di nuove tramezzature frantuma lo spazio fluido interno, pensato senza porte e senza corridoi per legare tra loro gli ambienti.

Come ha ben notato Nicolin, le case unifamiliari costruite da Botta negli anni ottanta sembrano progettate a partire dall’’idea deleuziana della «répétition différente». Esiste una «formula-base» che viene ripetuta, ogni volta arricchita da nuove soluzioni declinate in modo differente. Così si potrebbe argomentare che una delle opere di Botta che ha avuto maggiore influenza sull’’architettura contemporanea svizzera e non solo è costituita in realtà da un insieme di opere: le case unifamiliari degli anni settanta e ottanta, costruite come una serie di variazioni su un tema. Le case che risultano da questa esplorazione sono così legate l’’una all’’altra da rimandi continui e permettono di ricostruire una sorta di evoluzione tipologica delle abitazioni unifamiliari di Botta. Perderne una equivale a perdere un tassello importante della genealogia. Poco dopo la presentazione del progetto di Daverio, gli architetti Riccardo Blumer e Andrea Ciotti dell’’Accademia di architettura di Mendrisio hanno lanciato una campagna di sensibilizzazione contro il progetto di trasformazione e avviato una raccolta di firme (casadiviganello@gmail.com). Pare che il successo riscosso dall’’appello sia stato tale che proprietari e progettista abbiano deciso di prendersi un «periodo di riflessione», e interpellati non vogliono spiegare le ragioni dell’’intervento. Speriamo che il tempo porti consiglio.

Autore

  • Roberta Grignolo

    Professore assistente presso l’Accademia di architettura di Mendrisio (Università della Svizzera italiana), dove insegna conservazione, restauro e riuso dell’architettura del XX secolo. Laureata in Architettura presso il Politecnico di Torino, consegue nel 2003 il DEA in “Sauvegarde du patrimoine bâti moderne et contemporain” presso l’Institut d’Architecture de l’Université de Genève (IAUG) e nel 2006 ottiene il Dottorato (Politecnico di Milano-IAUG). È stata co-responsabile del progetto di ricerca CUS "Enciclopedia critica per il restauro e riuso dell’architettura del XX secolo" (2009-2013), in corso di pubblicazione. Collabora con l’Archivio del Moderno di Chiasso su diversi progetti, in particolare sui fondi Marco Zanuso e Livio Vacchini

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Last modified: 17 Giugno 2019