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Emanuele PiccardoWritten by: Città e Territorio

Incolti: i terreni ma anche le persone

Incolto è il terreno abbandonato

a se stesso per vent’anni in cambio dei dollari dei giovani americani a cui molti abitanti delle Cinque Terre affittavano e affittano camere, cantine, appartamenti. In questo modo si abbandona la campagna, sinonimo di fatica, non si costruiscono più i muretti a secco e non si ripristinano quelli esistenti. Fatto ancor più grave è l’appartenenza dei territori alluvionati, tra Vernazza e Monterosso, al Parco nazionale delle Cinque terre. Quest’estate ero ospite di un amico architetto di Riomaggiore che mi ha accompagnato con il trenino a cremagliera nel suo terrazzamento coltivato con fatica e sudore a vigna dalla sua famiglia. Mi ha fatto notare come, in occasione dell’ennesimo incendio, l’unico terreno rimasto intatto fosse il suo perchè adeguatamente pulito e tenuto come lo sapevano fare i vecchi contadini. Una politica miope ha avallato un sistema di insediamento speculativo ignorando le usanze del passato nel mantenere l’equilibrio del territorio, consentendo l’abbandono della campagna e ignorando come proprio la campagna potesse diventare uno dei fulcri dell’economia locale, senza rinnegare la «vocazione» turistica dei luoghi. Un territorio, quello ligure, fragilissimo che è stato costruito per mano dell’uomo che ha dimostrato nei secoli la sua arte edificatoria, come nel caso delle Cinque Terre, ma sempre per mano dell’uomo, questa volta disonesto e speculatore, è divenuto causa dei disastri naturali.
Incolto è il politico che non sa amministrare e che afferma di fronte a un evento ciclico «non abbiamo colpe». Una città come Genova, già teatro di un’alluvione tragica nel 1970, che nel tempo le varie giunte di centro-sinistra hanno amministrato, bene e male a singhiozzo, si trova ora in difficoltà per l’assenza di un progetto urbanistico (in discussione il Puc con la consulenza di Renzo Piano), per l’assenza di un assessore all’urbanistica (la delega è assunta dalla Sindaco non certo una esperta in materia), per l’assenza di un progetto di difesa del suolo, per l’assenza di una capacità di organizzare, in presenza di un allerta meteo, la chiusura delle scuole.
Incolti sono i dirigenti scolastici che non redigono piani di evacuazione per alluvioni, terremoti e incendi e costringono, come nel caso raccontato da Luca Dolmetta nel blog del giornalista Marco Preve, genitori e alunni a pericoli che una società consapevole non dovrebbe mai correre.
Incolti sono i dirigenti del ministero dell’Istruzione che non predispongono nelle materie insegnate a tutti i livelli scolastici, in modo particolare alla scuola primaria, le norme per una corretta educazione civica.
Incolti sono i giornalisti e gli ambientalisti (vedi Fulco Pratesi) che non conoscendo la topografia genovese sparano stupidaggini in televisione usando parole come cementificazione che non hanno nessun significato se non vengono contestualizzate storicamente. L’esondazione del torrente Fereggiano non è dovuta a nessuna speculazione come la conosciamo oggi, in quanto il tombinamento della maggior parte dei torrenti risale al progetto della Grande Genova, attuato dal fascismo nel 1926;ciò ha determinato la copertura del Bisagno per la costruzione di viale Brigate Partigiane che conduce alla zona della Fiera del Mare.
Incolto il cittadino che si muove nella città mettendo a rischio la propria vita e quella degli altri sottovalutando la forza della natura.
Occorre ripensare il modo in cui abitiamo il territorio costruendo meno edilizia e meno speculazione e più architettura. Un’architettura che possa migliorare le condizioni di vita delle persone e non peggiorarle, un’architettura non figlia del profitto ma, come scrivevano Alison e Peter Smithson, «come modo di vivere». Solo ripensando il presente si potrà immaginare un futuro migliore, ritornando a un modello di sviluppo economicamente ed energicamente più sostenibile che eviti catastrofi artificiali. Per raggiungere questo obiettivo, come stanno facendo già alcuni architetti, tra cui l’italiana Anna Rita Emili e la sua Bunker House, occorre progettare case che siano in grado di resistere alla forza della natura come le improvvise alluvioni e i terremoti. Il cambiamento non riguarda solo i progettisti ma soprattutto i legislatori, gli urbanisti (il cui ruolo, nonostante l’attivismo dell’Inu, è nullo e sostituito dall’immobiliarista) i politici e in misura maggiore
i cittadini che devono cambiare mentalità e abitudini.
Si deve innescare dalla crisi del nostro sistema  paese
una rivoluzione culturale che determini la nascita
di uno Stato maturo (non nell’età dei suoi abitanti).
Pubblicato su www.archphoto.it

Autore

  • Emanuele Piccardo

    Architetto, critico di architettura, fotografo, dirige la webzine archphoto.it e la sua versione cartacea «archphoto2.0». Si è occupato di architettura radicale dal 2005 con libri e conferenze. Nel 2012 cura la mostra "Radical City" all'Archivio di Stato di Torino. Nel 2013, insieme ad Amit Wolf, vince il Grant della Graham Foundation per il progetto “Beyond Environment”. Nel 2015 vince la Autry Scholar Fellowship per la ricerca “Living the frontier” sulla frontiera storica americana. Nel 2017 è membro del comitato scientifico della mostra "Sottsass Oltre il design" allo CSAC di Parma. Nel 2019 cura la mostra "Paolo Soleri. From Torino to the desert", per celebrare il centenario dell'architetto torinese, nell'ambito di Torino Stratosferica-Utopian Hours. Dal 2015 studia l'opera di Giancarlo De Carlo, celebrata nel libro "Giancarlo De Carlo: l'architetto di Urbino"

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Last modified: 10 Luglio 2015