Sconforto nelle parole della soprintendente ai Beni architettonici. Dai tagli epocali che larchitetto Paola Grifoni descrive deriva quasi un interrogativo sul senso attuale dellistituzione che dirige. Se persino la mobilità è tanto risicata che «ci vengono a prendere i progettisti dei lavori che noi dovremmo controllare» e se i cantieri che la Soprintendenza stessa gestisce non vanno mai oltre le emergenze (importi inferiori a 50.000 euro) per materiale lapideo a rischio di caduta (o caduto) e problemi di tenuta delle coperture, che farsene dellesperienza progettuale altissima sugli edifici storici che nelle soprintendenze si è sviluppata? Listituzione non ha i fondi necessari per aprire quei cantieri che i funzionari potrebbero gestire al prezzo del loro stesso stipendio, e la tutela resta un controllo dei progetti sulla carta, nella «burocrazia borbonica» che imbriglia tutto.
E ben vengano gli operatori privati. «Fortuna che cè la Fondazione Carisbo, che valorizza la città spingendola verso il futuro; perché quando unarchitettura contemporanea sa entrare con attenzione in un edificio storico, come quella di Mario Bellini in palazzo Pepoli, il connubio dà buoni frutti». Del tutto assente dalle parole di Grifoni il carattere tenacemente conservatore che i progettisti tradizionalmente imputano alla Soprintendenza. Anche «su piazza Minghetti, dopo che il primo progetto presentato è stato rivisto con molta attenzione, quello in realizzazione restituisce finalmente ai bolognesi uno spazio al quale tutti giravano intorno, nascosto comera da un groviglio di arbusti piantati con nonchalance da chissà quanti uffici del verde». Ed è sullo spazio pubblico che la soprintendente concentra la propria azione, quasi che mancando la progettazione almeno si possa migliorare la comunicazione, «perché allora si potrebbe cominciare a fare rilevare come non si possa concentrare ogni evento sul Crescentone in Piazza Maggiore: persino la giornata dello sport con gonfiabili e altre attrezzature… Le iniziative temporanee talvolta non ci vengono nemmeno segnalate, mentre potremmo suggerire una valorizzazione degli spazi radiali, con il coinvolgimento di altre aree, per esempio di piazza VIII agosto, che resta un ambito desolato e vuoto, occupato solo due giorni la settimana dal mercato». Ma le preoccupazioni poi ritornano sulleconomia. «Con pochi denari abbiamo finito il restauro e il consolidamento delledicola del Redentore sulla facciata di San Giacomo Maggiore. La statua del Trecento non è stata sostituita: non si può trasformare la città in un museo dei calchi. Piuttosto ci giungono segnalazioni e imbarazzi dei cittadini per i teloni pubblicitari sui monumenti in restauro, ma nellattuale situazione economica, questa è una risorsa che non si può negare, e sulla facciata di San Petronio, per esempio, ci siamo limitati a controllare i contenuti e limitare le dimensioni, perché si tratta di un cantiere privato su un edificio della Diocesi che, diversamente, oggi non troverebbe finanziamenti». Appare chiaro che il rovinare di Pompei non solo è disastro universale, ma anche il simbolo di una caduta globale: in una urbe totus orbis interiit.
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