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Written by: Progetti

Il Sieeb a Pechino +5, di Zhang Li & Wang Hanni

Il Sieeb a Pechino +5, di Zhang Li & Wang Hanni

L’inaugurazione del Sieeb (Sino Italian Ecological and Energy Efficient Building) presso la Tsinghua University nel 2006 è stato un evento tutt’altro che trascurabile. Questa struttura high tech, armata fino ai denti di puro design e ingegneria italiani e costruita con la massima precisione rispetto agli edifici cinesi di quegli anni, affermava l’impegno ambientalista dei governi italiano e cinese. Alla fine dei lavori si è conquistato molti record: primo edificio della Cina continentale a incarnare una strategia sistematica di controllo delle emissioni; primo edificio istituzionale finanziato interamente da un governo straniero; prima struttura didattica contemporanea ad abbandonare l’aria condizionata centralizzata e così via. Tutto questo ha suscitato una nuova ondata d’interesse per le tecnologie verdi tra gli architetti e i responsabili delle politiche cinesi.
Ora che il Sieeb è in funzione da cinque anni, il mondo sembra meno promettente di quanto non lo fosse all’epoca della sua realizzazione, con l’economia in cattive acque, la violenza strisciante e i disordini, la crisi del debito e la disoccupazione. La contrazione, però, non ha toccato il Sieeb. Ripensando anzi alle sue promesse e al suo rendimento, possiamo affermare con certezza che se la cava incredibilmente bene.
Innanzitutto funziona in maniera efficace come modello di comportamento. Ammettiamolo, gli edifici di questo tipo sono gestuali. A differenza di molte strutture che facevano promesse simili, il Sieeb è al tempo stesso convincente e sensibile. Nei cinque anni centinaia di organizzazioni e migliaia di persone lo hanno visitato e hanno apprezzato la sua selezione di tecnologie contemporanee. Le sue delicate espressioni tecniche, l’integrazione di ciclo energetico e controllo delle emissioni, la fusione tipicamente orientale di giardini e piante con lo spazio edificato e persino la chiara disposizione dei volumi sono stati e sono utili punti di riferimento.
In secondo luogo, le soluzioni tecnologiche adottate hanno retto bene. In questi tempi in cui la maggior parte delle macchine non è all’altezza delle aspettative strombazzate dalla pubblicità è un elemento quanto mai promettente. Nel complesso, il sistema energetico funziona in modo stabile. Il sistema d’irrigazione è estremamente efficace. I sistemi di controllo automatico ambientale dell’interno (controllo dell’illuminazione, regolazione della ventilazione, messa a punto della temperatura e così via) funzionano piuttosto bene, con l’eccezione di qualche risposta anomala qua e là. Il sistema di modulazione integrato d’illuminazione diurna (pannelli a più strati che diffondono e rifrangono, brise soleil regolabili e così via) si è rivelato un successo.
In terzo luogo, è un edificio che piace sia ai docenti che agli studenti. Quasi tutti i professori con cui abbiamo parlato lo hanno elogiato definendolo un ambiente rilassante e godibile, ideale per le discussioni e la ricerca online. Gli studenti hanno detto di ritenersi fortunati a lavorare lì. La maggior parte dei docenti e degli studenti apprezza soprattutto il giardino incassato e i colori dell’interno, elementi piuttosto rari negli altri edifici del campus della Tsinghua. L’elevata popolarità dell’edificio spiega anche il rapido aumento della gente che vi lavora. Nel 2007 ha raggiunto le trecento persone, ora quasi raddoppiate, facendo funzionare a pieno regime tutte le attrezzature a disposizione.
In quarto luogo, l’edificio completa il campus, noto per la sua varietà: edifici coloniali in mattoni rossi degli inizi del ventesimo secolo, palazzi stalinisti di arenaria di metà ventesimo secolo, strutture generiche in piastrelle di ceramica bianca degli anni ottanta e nuovi edifici più caratteristici degli ultimi tempi. Inserendosi al centro di un gruppo di scialbe strutture bianche (tra cui, purtroppo, la Facoltà di Architettura), il Sieeb restituisce al campus un raffinato punto di raccordo tramite il suo delicato trattamento di colori e materiali. Quando l’aria è limpida e il sole perfettamente visibile (cosa alquanto rara a Pechino), il Sieeb è da fotografare. La sua gioiosa trasparenza e luminosità, unite al credo verde che sostiene, si sono dimostrate irresistibili e hanno trovato spazio nelle recenti pubblicazioni sul campus di Tsinghua, tra cui il libro souvenir ufficiale dell’università che ne celebra il centenario.
Ovviamente nessun edificio è perfetto. Con una previsione più accurata delle reali condizioni di lavoro dei suoi occupanti certi aspetti si potevano risolvere o migliorare.
In primo luogo ci sono problemi tecnologici. Il sistema Cchp (di trigenerazione) non è mai stato avviato perché le sue specifiche non soddisfano il codice di sicurezza cinese. Gli iconici pannelli fotovoltaici a sbalzo non sono efficaci come previsto: ne funzionano solo 180 su 500, generando l’1-3% dell’elettricità usata ogni anno. È molto meno di quanto promesso, ovvero tutta l’elettricità necessaria all’illuminazione.
Non mancano poi problemi di manutenzione. La pulizia dell’edificio è costosissima, cosa che non sorprende se si pensa al ben noto smog di Pechino. Cambiare alcune parti dell’attrezzatura italiana può essere penoso, e neanche questo sorprende visti i costi della ben nota qualità di fabbricazione italiana.
Eppure ci sono problemi su cui non incidono né fattori locali né culturali. Per citare un esempio, tutti quelli che lavorano al Sieeb pongono la stessa domanda: siamo sicuri che il sensore automatico dell’illuminazione interna (che spegne la luce venti minuti dopo l’uscita dell’ultima persona da una stanza) sia più conveniente del tradizionale sistema low tech a interruttori facendo spegnere la luce all’ultimo che esce? Ma al momento non esistono interruttori…
In terzo luogo ci sono problemi nell’uso dei laboratori. Nelle prime fasi del progetto l’edificio era stato pensato per ospitare uffici e non laboratori. Persino con l’aggiunta finale di altre condutture per lo scarico dei fumi, il corridoio ai piani dei laboratori puzza in maniera lampante. I ricercatori commentano tutti così: amiamo la comodità dell’edificio, ma ci servono laboratori migliori.
Ma qualche difetto non impedisce al Sieeb di risplendere. A cinque anni dall’apertura, questo avvincente prodotto della collaborazione tra Cina e Italia si erge fiero nel campus della migliore università cinese con la sua immagine di edificio ecotecnologico, ispirando molte persone di settori diversi e arricchendone il modo di pensare all’ambiente. E continuerà a farlo.
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Last modified: 20 Aprile 2018