Argomentare sulla progettazione carceraria del nostro paese significa inoltrarsi in una zona dombra della pubblica amministrazione e parlare di una pratica taciuta (anche quando si discute dei problemi nazionali della giustizia) e colpevolmente ignorata dalla cultura architettonica nazionale. Eppure non vi è dubbio che il sistema della privazione della libertà debba essere sostenuto da un modello edilizio. Secondo il dettato costituzionale «le pene non possono consistere in trattamenti contrari al senso di umanità e devono tendere alla rieducazione del condannato», e la Riforma dellOrdinamento penitenziario (L. 354/1975) in vigore da quasi quarantanni e peraltro fortemente disattesa, definiva la nuova funzione del carcere che «da istituzione di mera custodia e di isolamento (
) diviene istituzione che deve favorire la risocializzazione del detenuto», con il significato di indurre nuove modalità organizzative di vita nelle carceri e, di conseguenza, doverne modificare radicalmente la configurazione spaziale. Ledificio carcerario che appartiene alla Riforma, in netta antitesi con il carcere di isolamento che lo ha preceduto, basato su uno schema rigido, indifferenziato e ripetitivo e sullidea di chiusura, aggregazione delle strutture, proiezione verso linterno, si fonda teoricamente sullidea di connessione con il sociale e il territorio e su di una più articolata organizzazione degli spazi, su una nuova sensibilità per i bisogni fisici e psicologici di quanti sono costretti, per motivi giudiziari o di lavoro, al suo interno.
Sulla base di queste premesse, la qualità delle strutture in uso, e ancor prima il valore delle soluzioni progettuali adottate, ci costringono a esprimere un giudizio fortemente negativo sulla nostra edilizia penitenziaria. Nel nostro paese ancora non esiste una tipologia edilizia in grado di conciliare le esigenze della detenzione con la qualità degli ambienti in chiave riabilitativa: dalla cella individuale agli spazi collettivi, laboratori, biblioteche, aule scolastiche, spazi per gli incontri con lesterno, aree a verde, ecc.
I progetti di ristrutturazione o edificazione di istituti penitenziari degli ultimi decenni, al di là di avere ottemperato in linea di massima (ancora oggi non per tutte le strutture in funzione) alle prescrizioni minime normative, in termini di igiene e di spazi per le pratiche trattamentali e risocializzanti, non ha contemplato soluzioni portatrici di valori architettonici e attente a soddisfare i bisogni psico-fisici dei detenuti, degli operatori carcerari e neppure quella dei visitatori/frequentatori: ambienti luminosi, aerati, facilmente pulibili, acusticamente e termicamente controllati, ambienti interni ed esterni cromaticamente e materialmente variati e stimolanti, aree verdi, veramente tali, attrezzate per lo sport, gli incontri e la permanenza allesterno, distanza tra gli edifici per impedire labituale adozione di sistemi anti-introspezione davanti alle finestre, affacci degli ambienti di vita verso aree libere con orizzonti lontani. Un edificio carcerario dovrebbe essere progettato alla stregua di qualsiasi altro edificio pubblico, non alla stregua di una fortezza oppressiva e impermeabile.
Mentre sono ormai a tutti note le drammatiche condizioni di vita e di lavoro allinterno delle carceri nazionali, rappresentate in primo luogo dal sovraffollamento e dalle condizioni di degrado delle strutture (lo stesso presidente Napolitano ha avuto recentemente modo di stigmatizzarle come una «realtà che ci umilia in Europa» ), poco o nulla si sa o si dice della realtà carceraria per quanto concerne la pratica progettuale e i suoi contenuti.
In Italia, lartefice incontrastato della ideazione concettuale degli istituti penitenziari è il ministero della Giustizia che, attraverso i suoi uffici tecnici, definisce, di volta in volta, i criteri di edilizia penitenziaria e i relativi schemi progettuali.
Qualsiasi forma di verifica e confronto sulle scelte progettuali adottate, avviene esclusivamente nellambito delle commissioni interministeriali, secondo una logica autoreferenziale.
È utile ricordare che nel nostro paese lesecuzione di interventi di ristrutturazione e manutenzione degli istituti penitenziari esistenti è in carico al ministero della Giustizia e la costruzione dei nuovi istituti a quello delle Infrastrutture e trasporti.
In questo scenario non sono contemplate forme di collaborazione esterna con progettisti liberi di interpretare criticamente il tema, come è successo per un breve periodo ed episodicamente tra il 1950 e il 1970, quando architetti come Sergio Lenci, Mario Ridolfi e Andrea Mariotti hanno progettato alcune carceri di rilevanza architettonica.
Non esiste un rapporto di collaborazione con il mondo della cultura architettonica neppure sul piano della ideazione spaziale del carcere, come accade invece in molti paesi stranieri, attraverso la pratica dei concorsi di idee. In tutta la storia recente, solo nel 2001 è stato bandito un concorso didee per lelaborazione di un prototipo di istituto penitenziario, con lobiettivo di acquisire spunti per le future progettazioni. Gli esiti di quella vicenda concorsuale, peraltro stimolata dalla necessità di identificare nuovi modelli edilizi in occasione dellemanazione del nuovo Regolamento penitenziario (Dpr 230/2000), sono stati modesti al punto da non essere neppure utilizzabili.
La progettazione delle carceri, a differenza di quello che succede per la stragrande maggioranza delle opere pubbliche, non è di fatto una pratica che riguarda il libero mercato della progettazione architettonica, con la conseguenza inevitabile non solo di privare quella realtà dei contributi dei più qualificati architetti, ma anche dinibire qualsiasi forma di crescita e partecipazione tecnico-culturale riguardo al tema. Questa condizione ricade infatti negativamente almeno su tre ambiti.
Le scuole di architettura non considerano questo tema, con la conseguenza che mancano studi e ricerche sistematiche sulla materia, e i tecnici che approdano agli uffici ministeriali non sono adeguatamente formati sullargomento.
Leditoria, a differenza di quanto accade allestero, non tratta la tipologia del carcere, sia perché nel nostro paese mancano a riguardo espressioni di vera qualità architettonica, sia perché la domanda è inesistente in quanto, appunto, è pressoché assente la libera pratica progettuale sul tema. I protagonisti del dibattito architettonico e urbanistico nazionale, salvo la rara eccezione rappresentata dal gruppo di architetti che fanno capo congiuntamente alla Fondazione Giovanni Michelucci di Fiesole e alla Società della ragione di Firenze, non affrontano il tema progettuale del carcere, dando così limpressione di non essere interessati a far progredire la riflessione critica sullargomento e di essere privi della dovuta sensibilità sociale che il loro ruolo imporrebbe.
Il nostro carcere resta perciò relegato al semplice rango di edilizia «in mano a tecnici ministeriali, precisi applicatori di norme, convinti che un edificio tanto legato a leggi non possa essere che dominio dellutile».
Articoli recenti
- COP30: per un futuro migliore, dovremo imparare dall’Amazzonia 31 Ottobre 2024
- Alto Adige, quando il benessere del territorio si riflette nella baukultur 30 Ottobre 2024
- Architettura instabile, la performance di Diller Scofidio+Renfro 30 Ottobre 2024
- In-VisIBLe, cultura accessibile a tutti 30 Ottobre 2024
- Venezia: l’Hortus Redemptoris non è più conclusus 30 Ottobre 2024
- Veneto: il patrimonio di ville e giardini valorizzato dal PNRR 30 Ottobre 2024
- L’Archintruso. Il colpo di grazia. (Chi ha ammazzato l’architettura?) 30 Ottobre 2024
- Festa dell’architetto 2024: Italia a due velocità 28 Ottobre 2024
- Vienna Nordwestbahnhof, la città senza qualità 28 Ottobre 2024
- Gres porcellanato effetto marmo: eleganza senza tempo per ogni stile 28 Ottobre 2024
- Alberto Ponis (1933-2024) 26 Ottobre 2024
- L’Archintruso. Il signor C., provetto nuotatore 23 Ottobre 2024
- Chiare, fresche e dolci acque. Urbane 22 Ottobre 2024
- Legge sull’architettura, sarà la volta buona? 22 Ottobre 2024
Tag
Edizione mensile cartacea: 2002-2014. Edizione digitale: dal 2015.
Iscrizione al Tribunale di Torino n. 10213 del 24/09/2020 - ISSN 2284-1369
Fondatore: Carlo Olmo. Direttore: Luca Gibello. Redazione: Cristiana Chiorino, Luigi Bartolomei, Milena Farina, Laura Milan, Arianna Panarella, Michele Roda, Veronica Rodenigo, Ubaldo Spina.
«Il Giornale dell’Architettura» è un marchio registrato e concesso in licenza da Umberto Allemandi & C. S.p.A. all’associazione culturale The Architectural Post; ilgiornaledellarchitettura.com è un Domain Name registrato e concesso in licenza da Umberto Allemandi & C. S.p.A. a The Architectural Post, nuovo editore della testata digitale, derivata e di proprietà di «Il Giornale dell’Architettura» fondato nell’anno 2002 dalla casa editrice Umberto Allemandi & C. S.p.A.
L’archivio storico
CLICCA QUI ed effettua l’accesso per sfogliare tutti i nostri vecchi numeri in PDF.
© 2024 TheArchitecturalPost - Privacy - Informativa Cookies - Developed by Studioata