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Written by: Interviste

Bruno Forte: il luogo più bello? Una chiesa. Sempre

Bruno Forte: il luogo più bello? Una chiesa. Sempre

Le semplificazioni giornalistiche lo definiscono «il teologo del Papa», ma la personalità di Bruno Forte, arcivescovo di Chieti-Vasto e pensatore molto ascoltato dal Pontefice, è assai più sfaccettata. Laureato in filosofia nella sua Napoli, studi a Tubinga e Parigi, docente e autore di decine di pubblicazioni di livello internazionale, interlocutore di filosofi laici, membro del consiglio scientifico dell’Istituto dell’Enciclopedia Italiana Treccani, in prima linea per la difesa del paesaggio, ha dedicato numerose riflessioni all’estetica, all’arte, all’architettura e allo spazio.

Cominciamo dalla mostra organizzata in Vaticano per il 60° anniversario dell’ordinazione sacerdotale di Benedetto XVI: 60 artisti di fama mondiale invitati a esprimere un omaggio. Lei cita una frase di monsignor Ravasi: bisogna ristabilire il dialogo interrotto tra arte e fede. Quando e perché si è interrotto, e per colpa di chi?
C’è un’evidente crisi, nell’epoca moderna, nel rapporto tra arte e fede, perché spesso l’arte viene ispirata da criteri ideologici. Pensiamo alle arti del socialismo reale, del fascismo, dei grandi sistemi totalitari. Naturalmente un’arte ideologizzata non solo mette a repentaglio la sua purezza ispirativa, ma certamente diventa alternativa e conflittuale a un’arte ispirata a un movimento di trascendenza profondo e libero come quello della fede. Ecco perché la vera crisi non è tanto tra arte e fede, ma tra ideologia e visione del mondo e della vita aperta al mistero. Quando questo rapporto entra in conflitto, anche il rapporto tra produzione artistica e ispirazione spirituale diventa compromesso. Uno spazio aperto si ricrea con la crisi dei grandi modelli ideologici, con l’insorgere della post modernità, pur con tutte le sue inquietudini: questo mondo del frammento ha una certa nostalgia di unità, che il frammento non soddisfa più. E allora è qui che rinasce la nostalgia del Totalmente Altro, la ricerca di un orizzonte teologico e spirituale di senso. Ed è qui che l’arte e la fede possono ritrovarsi in nuove contaminazioni, ma anche più profondamente in nuove collaborazioni e ispirazioni. E direi che alcuni artisti della nostra epoca, tra cui alcuni di quelli invitati in Vaticano, hanno dato prova di questa nuova sintesi, di questo incontro che rappresenta uno dei segnali più promettenti dell’uscita dalla crisi della modernità.

Chi sono questi artisti?
Faccio un esempio in architettura. Penso a Mario Botta, che ha una straordinaria capacità di disegnare lo spazio e, come amo dire, di scrivere la luce attraverso le masse (che è il compito dell’architetto), interpretando quel profondo movimento di trascendenza che è appunto l’invocazione, la preghiera, la ricerca di Dio. Ed egli lo fa mettendosi in ascolto della realtà. Siamo amici da tempo e gli ho chiesto di donarmi il progetto di una nuova chiesa per una parrocchia molto popolare nella mia diocesi. Cosa che ha fatto ponendomi una sola condizione: poter incontrare e ascoltare la gente perché, mi diceva, una chiesa non si può progettare senza capire l’ansia spirituale che essa deve esprimere. A mio avviso ha fatto qualcosa di veramente bello, perché ha interpretato quel desiderio di Dio e quell’affidamento che è tipico della religiosità del popolo abruzzese. La chiesa di San Rocco a San Giovanni Teatino è in costruzione e sarà coperta da una grande apertura a forma di croce, ben visibile atterrando all’aeroporto d’Abruzzo. Una sorta di tensione verso la luce, che però passa attraverso la croce. Questo è tipico di alcune grandi figure della santità della storia abruzzese, da Celestino V a San Camillo De Lellis, inventore della sanità in senso moderno. Altri esempi: per la pittura Marc Chagall, interprete straordinario e profetico di un nuovo incontro tra la fede e l’arte figurativa; per la poesia Mario Luzi, interprete del Novecento attraverso la sua meditazione, che tante volte in forma d’invocazione struggente si è rivolta al trascendente.

Non è contraddittorio il dialogo tra la fede, con il suo bisogno di assoluto, e l’arte contemporanea, che lei definisce voce delle nostre inquietudini ed è destrutturazione, rottura, scomposizione delle certezze?
Questa è una definizione manualistica. Credo che il problema sia più complesso. Insieme a quello che lei dice, che è certamente la cifra del mondo frammentato e ferito del Novecento, espresso a colpi di lacerazioni (penso alle tele di Lucio Fontana), c’è anche un mondo che proprio per questo vive ciò che Hans Blumenberg chiama il «naufragio con spettatore», in cui però lo spettatore non è più l’uomo che sta sulla terraferma come nel De Rerum Natura di Lucrezio e vede da lontano lo spettacolo del naufragio. Oggi lo spettatore è sulla stessa barca che sta affondando. E tuttavia, nel tentare di creare una nuova zattera, vede arrivare sull’orizzonte nuove tavole. L’uomo non solo ha nostalgia e attesa di trascendenza, ma tocca dei luoghi in cui la trascendenza si offre. Oggi ci sono grandi artisti che sono ispirati dalla fede.

Qual è il ruolo dell’arte e dell’architettura nel suo impegno pastorale?
La mia diocesi ha più di 16 secoli di storia e innumerevoli opere d’arte architettoniche, dalle abbazie di San Giovanni in Venere e Santa Maria Arabona, alla splendida chiesa monastica di San Liberatore alla Maiella, alla Cattedrale di san Giustino a Chieti, agli eremi celestiniani, ecc. Sono convinto che è uno dei motivi per cui il mio popolo, pur segnato dalle tensioni della modernità, mantiene una profonda sete spirituale, è perché l’arte e l’architettura sono uno straordinario strumento di testimonianza della vera bellezza, che è quella di Dio. Qualunque paesino della diocesi io visiti, anche in montagna, quando entro nella chiesa vedo che è il luogo più bello. La gente ha sempre cercato di esprimere la sua ricerca di Dio
con la bellezza. Sintetizzerei questo in una frase, che sono convinto ha ispirato nei secoli le diverse straordinarie produzioni: i poveri hanno diritto alla bellezza. Perché la bellezza è una via per arrivare a Dio, e i poveri sono i prediletti dal Dio del Vangelo.Allora tutto quello che è spazio pubblico (chiese e spazi esterni, piazze e luoghi di ritrovo) dev’essere curato con il massimo impegno e amore, perché attraverso questa bellezza il tocco di Dio possa raggiungere gli umili di ogni tempo.

Questo discorso come può essere declinato per un laico?
Innanzitutto dobbiamo stabilire che cosa s’intenda per laico. Se s’intende uno che pregiudizialmente esclude l’attenzione alla ricerca religiosa, non dobbiamo parlare di laicità, ma d’ideologia chiusa e perfino di ignoranza. Se s’intende una persona che vive le sue competenze al servizio del popolo, allora certamente un laico di questo genere, credente o no, ha un’estrema attenzione al fatto religioso, vi vede una delle dimensioni più importanti dell’essere umano in tutte le sue espressioni, compresa la bellezza. Ecco perché su questi temi io ho potuto dialogare con pensatori credenti o meno come Massimo Cacciari ed Enzo Vitiello. Ciò non vale per i temi dei pamphlet neopositivistici oggi di moda da parte di qualche scrittore un po’ superficiale, con cui tale discorso non si può fare.

Com’è nato il suo rapporto con Botta?
Fui invitato anni fa a tenere una serie di riflessioni alla televisione svizzera, che registrammo nella splendida cappella del Monte Tamaro da lui progettata. Egli mi chiese di scrivere la prefazione a un libro di fotografie del suo fotografo di fiducia. Successivamente il contatto si è sviluppato nel tempo. Come tutti i grandi, Botta è persona di profonda umiltà. Quando ho fatto osservazioni al suo progetto per la Chiesa di Sambuceto, motivate dal senso della liturgia e della teologia, le ha immediatamente recepite. Ad esempio, egli aveva progettato tre absidi identiche, e io gli ho ricordato che nella tradizione cristiana le absidi sono simbolo della Trinità, in cui c’è la monarchia del Padre, un primato che è fonte della Trinità. Ecco perché l’abside centrale dev’essere più grande e quelle laterali più piccole, come le mani del Padre, e cioè simbolo del Figlio e dello Spirito Santo. Lui in pochi minuti le ha ridisegnate. Questo la dice lunga sull’importanza della committenza teologica. Le chiese moderne sono assolutamente insignificanti, per la fede e la preghiera, perché artisti e architetti sono lasciati soli a produrre l’opera. Invece il committente che ha esperienza spirituale, liturgica e teologica dev’essere il grillo parlante di tutta l’opera. Deve custodire la difesa del mistero.

Come mai ha voluto edificare una nuova chiesa dove ce n’era già una?
Dal punto di vista dell’architettura moderna, nella mia diocesi c’è solo una chiesa di Ludovico Quaroni degli anni cinquanta. Volevo avere un’opera contemporanea perché sono convinto che ogni stagione dello spirito ha bisogno di esprimersi con segni di bellezza pubblici e comunitari.

L’abbattimento della vecchia parrocchia per far posto a quella di Botta ha suscitato proteste nella popolazione.
Si trattava di una chiesa degli anni cinquanta, per giunta pericolante, tanto che la Soprintendenza ha dato parere favorevole all’abbattimento poiché non c’era nulla da conservare di valore artistico né funzionale. Le proteste sono state minoritarie e superate. Ora il consenso è generale.

Che cosa pensa delle chiese costruite nei nuovi quartieri negli ultimi anni?
Provo un senso di freddezza e desolazione. La colpa non è solo dei poveri architetti, ma dell’assenza di una vigilanza della committenza. A volte davanti ai maestri dell’architettura ci si trova intimiditi, come se essi fossero maestri anche di liturgia, spiritualità e preghiera. La committenza teologica, come nella grande tradizione cristiana, dev’essere presente e incisiva. Giotto, nel suo ciclo alla Basilica superiore di Assisi, riflette la committenza teologica che cambiava. E Giotto, che era Giotto!, stava puntualmente a sentire quello che i maestri teologi gli dicevano.

Ci sono eccezioni positive?
Chiese desolanti, ahimé, si trovano facilmente in quartieri popolari nuovi, assolutamente insignificanti, con pilastri di cemento da tutte le parti, freddezza assoluta e mancanza di acustica. Alcune sono firmate da nomi celebri, altre da architetti normalissimi. Non è il caso di fare esempi perché daremmo troppa importanza… Tra quelle riuscite cito la chiesa del Santo Volto progettata da Botta a Torino: molto più bella all’interno che all’esterno dove, per averla voluta adattare all’ambiente, mantenendo la configurazione di quel quartiere [il comparto di trasformazione urbana di Spina 3; n.d.r.], si può avere l’impressione che si tratti di un edificio industriale. Nella conferenza alla facoltà di Architettura, Botta disse di aver realizzato molti edifici sacri, anche la sinagoga dell’Università di Tel Aviv insieme alla biblioteca, ma che progettare una chiesa è assolutamente unico, perché al cuore di questo spazio c’è un luogo, l’altare, dove il Figlio di Dio si rende presente nell’Eucaristia. Questo è talmente grande che tutto il resto deve corrispondervi. Gaudì iniziava la giornata con una messa perché, diceva, l’Eucaristia m’insegna come fare l’architettura, perché lì c’è la presenza di Dio nella materia. Quando l’architetto scrive la luce (pieni, vuoti, masse, ombre) deve fare in modo che questo spazio sia voce del movimento di trascendenza dello spirito e della discesa di Dio verso l’uomo.

Con gli altri vescovi abruzzesi si è molto speso per la difesa del paesaggio, contrastando progetti invasivi di ogni tipo: dalla «petrolizzazione» del territorio alla cementificazione della costa. Come nasce questo impegno?
Lo spazio, anche naturale, per chi crede non è il luogo del dominio. E gli uomini non sono, come diceva Francesco Bacone, maîtres et possesseurs de la nature. Il mondo è il giardino che Dio ha affidato all’uomo perché lo custodisse. La grande idea biblica è che l’uomo non è solo il dominatore dell’universo, ma ne è anche il custode. San Francesco sceglie la custodia come cifra del rapporto con il creato, perché ci fa capire come il credente riconosca nell’ambiente una specie di santuario cosmico. Tutto quello che offende, denigra, inquina la natura e la compromette, non solo è offesa all’uomo che deve viverci, ma è offesa al creatore. C’è una profonda spiritualità dietro l’impegno ecologico, non è ambientalismo puramente sociologico. È un’ispirazione teologica. Basti pensare al Cantico delle creature.

La popolazione come risponde a questo impegno della Chiesa?
È molto sensibile, perché si tratta di istanze che nascono dall’ascolto del mio popolo, e da questa profonda ispirazione teologica e spirituale. Lo vedo in piena coerenza con il mio impegno teologico e pastorale. L’Abruzzo è ancora in gran parte un’oasi ecologicamente sostenibile. Pensare che tutto questo (mare, monti, colline, prati) possa essere devastato non fa piacere. Oltretutto la forza economica, per esempio nella mia diocesi, al di là delle grandi industrie, è costituita da turismo con milioni di presenze l’anno e agricoltura con grano e vite. Tutto questo sarebbe compromesso da una corruzione dell’ambiente. Quindi oltre al desiderio di qualità della vita, c’è anche una precisa attenzione alle ricadute economiche.

Che cosa pensa dell’urbanizzazione del territorio degli ultimi anni?
Le grandi colate di cemento non rispondono più a esigenze sociali. Faccio un esempio: Francavilla al Mare, città-giardino ai tempi di Gabriele D’Annunzio, oggi è assediata dal cemento, che arriva fino al mare. Soprattutto in tempi di sovraffollamento turistico l’inquinamento del mare ne consegue come effetto naturale, perché l’eccesso di cementificazione provoca eccesso di produzione di liquami. La vocazione turistica viene ferita. A Vasto si assiste a una continua edificazione di appartamenti, sebbene ce ne siano 3.000 sfitti su 45.000 abitanti. Questo pone qualche interrogativo: a che pro? Chi ci guadagna a investire tanto nel mattone anche se le case restano invendute? Grandi domande che la coscienza del pastore non può non porsi per tutelare la qualità etica della vita sociale.

Spesso la difesa del paesaggio è in conflitto con lo sviluppo economico: come se ne esce?
Le crisi della modernità hanno dimostrato che queste sono logiche di corto respiro. Ciò che danneggia l’ambiente, anche se può avere temporaneamente un impatto positivo a livello occupazionale, ha disastrose conseguenze nei tempi lunghi. Veda le economie del socialismo reale, dove si è letteralmente saccheggiato il paesaggio con effetti che si pagheranno nei secoli senza alcun beneficio reale, nemmeno sul lavoro. Non crediamo ai miti ideologici di alcun segno. Apriamo gli occhi e cerchiamo di agire sempre con consapevolezza e vigilanza morale.

Sul «Sole 24 Ore» ha definito San Francesco «l’uomo che può salvare l’Italia». Che cosa serve, all’Italia di oggi, della sua lezione?
Sintetizzo con due caratteristiche chiarissime in Francesco. Primo: sobrietà; la povertà intesa come stile di vita. Secondo: solidarietà; Francesco si avvicina ai più deboli, cura i lebbrosi. Sono due qualità ancor più importanti in una società afflitta dalla crisi economica. Certe volte abbiamo l’impressione che la grande politica dibatta di tutto eccetto che dei problemi reali della gente.

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Last modified: 22 Luglio 2015