Visit Sponsor

Written by: Forum

Londra balza a est

Londra. Che cosa succederà dopo? È la domanda più importante con cui sarà messa alla prova la riuscita dei Giochi olimpici londinesi. A meno di un anno dall’inizio, e con la maggior parte dei siti ultimata, la città comincia a crogiolarsi sotto le luci della ribalta dopo un lungo periodo di totale opposizione alle spese superflue. In una città che ha oltre 27 milioni di visitatori l’anno ed è ancora uno dei centri finanziari più forti del mondo, gli abitanti si chiedono: «Abbiamo davvero bisogno delle Olimpiadi?» e «che effetto avranno su Londra?» Se si vuole riequilibrare il sistema di sperequazione sociale la risposta più immediata è «sì». Ma ci vorranno almeno vent’anni. la maggior parte dei siti ultimata, la città comincia a crogiolarsi sotto le luci della ribalta dopo un lungo periodo di totale opposizione alle spese superflue. In una città che ha oltre 27 milioni di visitatori l’anno ed è ancora uno dei centri finanziari più forti del mondo, gli abitanti si chiedono: «Abbiamo davvero bisogno delle Olimpiadi?» e «che effetto avranno su Londra?» Se si vuole riequilibrare il sistema di sperequazione sociale la risposta più immediata è «sì». Ma ci vorranno almeno vent’anni.
Anche la capitale del Regno Unito ha la sua dose di problemi economici e sociali, come testimoniano i disordini dell’estate. Mentre la popolazione (7,5 milioni) cresce con l’aumento dell’immigrazione, c’è una grave carenza di alloggi accessibili e un enorme divario tra la parte occidentale (Westminster e Kensington) ricca e ben servita dalle infrastrutture e dai trasporti pubblici, e una parte orientale (i Docklands e l’hinterland) relativamente povera e priva di parchi, alloggi, scuole e strutture formative, sanitarie e sportive. Nell’East London l’aspettativa di vita è di cinque anni inferiore rispetto ad alcune zone del West London.
In seguito alla grave perdita di posti di lavoro e alla crisi economica degli anni settanta e ottanta, la zona est, e in particolare i Docklands, è stata oggetto di politiche di risanamento, in un misto di successi e fallimenti. Canary Wharf, con i suoi lucenti grattacieli neoamericani e 100.000 nuovi posti di lavoro di prestigio, ha risollevato l’economia londinese ma non ricucito il fragile tessuto spaziale e sociale della zona. Il London Plan, avviato dal sindaco Ken Livingstone nel 2004 (prima della candidatura olimpica), individua due grossi corridoi di crescita che dal centro si protendono all’esterno lungo il fiume Tamigi e, a nord-est, verso l’aeroporto di Stansted. Il sito delle Olimpiadi si trova proprio nel loro punto d’incontro, con Stratford come epicentro. L’attuale sindaco Boris Johnson ha rafforzato questa strategia di crescita conferendo speciali poteri urbanistici alla Olympic Park Legacy Company, che funge da «superautorità edilizia» per tutta la zona, scavalcando le decisioni delle autorità locali e dei gruppi di quartiere. La franchezza e l’efficacia di questo strumento di pianificazione ricordano l’Lddc (il London Docklands Development Corporation) degli anni ottanta.
Stratford è una zona relativamente fatiscente che però vanta ottimi collegamenti ferroviari e metropolitani con il resto della città (12 minuti per il centro), ed è anche il luogo in cui dal 2012 si fermeranno i treni ad alta velocità da Parigi e Bruxelles (mentre il terminal principale di Londra centro resta St. Pancras). Accanto ai caseggiati di edilizia popolare degli anni settanta e alle decadenti strade di negozi con discount, fast-food e takeaway indiani ci sono file di linde casette a schiera abitate da comunità di svariate etnie. Una rete di canali navigabili si snoda in un ruvido paesaggio postindustriale. Intorno al sito olimpico continuano a spuntare come funghi torri residenziali pseudoiconiche che offrono una realtà urbana opportunamente trendy alla prossima generazione di yuppie. A settembre l’apertura del lussureggiante centro commerciale Westfield ha attirato 140.000 clienti, promettendo oltre 6.000 posti di lavoro e un grosso slancio all’economia locale. Si tratta di un paesaggio urbano frammentato, addirittura distopico, tanto amato dagli psicogeografi come Iain Sinclair, che nel recente romanzo Ghost Milk ne rimpiange l’imminente «distruzione» da parte della cospirazione olimpica.
In quello che è diventato il più grande cantiere d’Europa la manodopera ha superato il picco di oltre 10.000 unità. L’impatto dei 9,3 miliardi di sterline, l’iniezione di soldi pubblici ingente e limitata nel tempo nell’infrastruttura sociale, fisica ed economica della zona, è evidente. Fino al 2006 questi 200 ettari erano perlopiù occupati da capannoni industriali e attività economiche di basso livello trasferite altrove. Il sito è stato bonificato, sono stati rimossi i piloni dell’elettricità e i cavi sospesi, costruiti impianti di energia sostenibile e fornite nuove strade, fognature e infrastrutture. Con grande sorpresa di tutti, il progetto olimpico ha fatto molto per sostenere il settore edilizio nel momento peggiore della recessione del 2008-2009, creando posti di lavoro in un’industria che altrimenti sarebbe andata in rovina.
Londra ha inventato una nuova metodologia urbanistica per la costruzione dei Giochi e di quello che lasceranno alle spalle come cosiddetto «patrimonio olimpico». Molte strutture sportive saranno temporanee, ma l’investimento nell’infrastruttura di un nuovo pezzo di città sarà permanente. Il cuore del piano generale è il «Queen Elizabeth Park», abilmente disegnato per sfruttare l’infrastruttura dei canali che dal Tamigi si snodano lungo la Lea Valley. Un reticolo di sentieri e ponti ricongiunge il parco coi dintorni a est e ovest, fino a Leyton e a Hackney, riconciliando il complicato cambiamento dei livelli e intrecciandosi tra la ferrovia e l’infrastruttura stradale che attraversa e circonda il sito. Durante i Giochi, però, la circolazione delle auto non sarà permessa: tutti i visitatori, tranne i Vip del Comitato olimpico internazionale, dovranno usare i trasporti pubblici. Ogni giorno, con il treno giapponese ad alta velocità «Javelin», 800.000 persone raggiungeranno St. Pancras in meno di dieci minuti. Dopo le Olimpiadi, le ampie passeggiate e i ponti pensati per il milione e mezzo di visitatori saranno ridimensionati per diventare un «normale» parco cittadino.
Il fatto più importante, però, è che dopo il 2012 il terreno lasciato libero dalle strutture temporanee sarà il trampolino di lancio di un «pezzo di città» nuovo di zecca. Saranno costruite oltre 8.000 case a partire dal Villaggio olimpico e dai suoi edifici perimetrali relativamente alti, ora in costruzione, intorno a un elegante e ispirato paesaggio di Vogt Landscape Architects. Nel 2013 saranno consegnate 3.000 unità abitative, metà delle quali è già stata destinata ad alloggi economicamente accessibili, mentre l’altra metà è stata acquistata da un consorzio immobiliare privato diretto dal fondo d’investimento sovrano mediorientale Qatari Diar. Le politiche londinesi per gli alloggi garantiscono che una fetta significativa di ogni nuovo complesso residenziale sia riservata alle famiglie più disagiate (fra il 30 e il 50%). Grandi società come la BBC, lo University College London e la Wellcome Foundation (importante per la ricerca medica) hanno manifestato l’interesse di trasferirsi nella zona. Intorno alla stazione internazionale di Stratford sono in costruzione nuovi alberghi e uffici.
Il progetto è stato concepito in termini spaziali e temporali. La griglia stradale aperta permette l’assimilazione e l’integrazione in un realistico arco di tempo di oltre vent’anni. Nel 2013, a Giochi fatti, Londra potrebbe aver realizzato il suo «grande balzo a est» grazie a un evento di due sole settimane.

Autore

About Author

(Visited 70 times, 1 visits today)
Share
Last modified: 10 Luglio 2015