Barcellona. È conosciuto per gli edifici pubblici aperti, fluidi e quasi trasparenti e per le case private, segrete e misteriose, con esterni introversi e interni luminosi. Lo abbiamo incontrato durante un seminario del master organizzato dal Barcelona Institute of Architecture (Biarch). A soli 43 anni, dopo aver battuto in un concorso nomi del calibro di Henry Cobb, Norman Foster o Elizabeth Diller, Adjaye affronta una sfida professionale ambita dal gotha dellarchitettura internazionale: il nuovo museo dellIstituto Smithsonian nel cuore di Washington, dedicato alla storia e alla cultura afro-americana.
Che cosa significa per un architetto nato in Tanzania costruire il nuovo National Museum of African American History and Culture (Nmaahc)?
Un museo è uno strumento per risvegliare linteresse della gente e farla pensare. In questo caso è un progetto ancor più affascinante, perché fa parte della lotta per lidentità afro-americana e io lo vivo come qualcosa di personale, perché implica parte della mia storia. Inoltre si tratta di un luogo particolarmente poderoso, con la Casa Bianca, il monumento a George Washington e il Campidoglio.
Ci parli del progetto.
In primo luogo rompe con larchitettura monumentale tradizionale che inonda la capitale e celebra lidentità afro-americana come una cultura in continua evoluzione. La base in pietra e gli elementi di bronzo, ispirati alla scultura tribale Yoruba del XIX secolo, sono stati introdotti per ampliare i riferimenti rispetto allarchitettura neoclassica della città, che rappresenta solo una parte della storia dAmerica. La caratteristica più saliente delledificio, che è quadrato e sostenuto da quattro colonne, è rappresentata dalle due strutture trapezoidali della sommità, che ricordano le acconciature tipiche delle donne africane e formano una specie di corona. Le due strutture, che accolgono la maggior parte degli spazi espositivi, sono racchiuse da pareti di vetro, ricoperte da lastre di bronzo traforato che permettono alla luce naturale di filtrare allinterno in modo irregolare. Ledificio occuperà 30.000 metri quadrati dei malls, un luogo carico di molteplici significati: dal simbolismo politico alla tradizione massonica, passando per le leggende esoteriche
bisogna stare attenti! Stiamo terminando il progetto esecutivo, il cantiere partirà allinizio di febbraio e il museo, preventivato in 500 milioni di dollari, sarà pronto nel novembre 2015.
Crede che per gli Stati Uniti il Nmaahc sia un modo per saldare il debito con la cultura afro-americana?
Evidentemente, dopo 200 anni di storia non si può continuare a negare limportanza di questa cultura, ma in realtà credo che la giuria mi abbia scelto dopo aver visto la School of Management Skolkovo di Mosca. È un progetto politico molto ambizioso, perché materializza un nuovo modo di considerare e vivere lalta finanza, estraneo al modello che Harvard ha esportato in tutto il mondo. Io ho cercato di plasmarlo con lassenza di gerarchie architettoniche in un edificio formato da una serie di spazi indipendenti, ai quali si può accedere da una struttura circolare centrale, senza bisogno di uscire nel freddo e nella neve.
È consapevole di essere lunico architetto nero di serie A?
Certo, sono cosciente di essere un personaggio atipico [ride, n.d.r.]
ma è una domanda da psicanalista! Per quanto mi riguarda non mi preoccupa tanto la nazionalità come idea politica, quanto piuttosto linfluenza geografica. Sono nato nella savana, sono cresciuto circondato da foreste e alla fine sono approdato alle coste della Gran Bretagna. Può essere che questi spostamenti abbiano influito sulla mia concezione della luce, dellatmosfera e del colore. Comunque fin da bambino – cristiano in un paese musulmano – mi sono reso conto che le differenze razziali, religiose, sociali e culturali richiedono una trattativa constante. Lidea della mediazione ha guidato sempre la mia forma dintendere e mettere in pratica la democrazia.
Qual è la sfida principale quando disegna una casa privata? E quando invece concepisce uno spazio pubblico?
Mi appassionano le opere pubbliche, ma mi interessa anche investigare la natura dello spazio domestico. È una sfida tra il lusso e la funzionalità, leconomia e le esigenze emozionali: bisogna trovare il giusto equilibrio. È necessario abbandonare la mentalità ottocentesca e le preoccupazioni vincolate al volume e alla linea, per abbordare le vere problematiche del XXI secolo, che concernono la relazione dellessere umano con la natura, i formati inediti e le emozioni. Minteressa comprendere la natura dello spazio contemporaneo, come si relaziona con ciò che produce e come può generare contenuti emozionali.
Che cosa significa per lei fare architettura?
Il filo conduttore del mio lavoro si può riassumere in due concetti: accessibilità universale e democratizzazione architettonica. Considero larchitettura come una specie di performance e minteressa soprattutto per il suo potere di mediatore sociale, per essere uno strumento che permette che le cose succedano. Sono i concetti che hanno ispirato il mio primo lavoro in Africa, il Pavilion 001- Visionary Africa, un padiglione per eventi culturali nella piazza principale di Ouagadougou, la capitale del Burkina Faso, uno dei paesi più poveri del continente. Ho inteso il progetto come una sorta di struttura pop-up, come le finestre che si aprono nelle pagine web. In Africa larte è unidea di stato, esiste a livello politico, ma la società non conosce né vede i suoi artisti. Per questo ho disegnato una struttura per vedere larte; un labirinto di sale aperte, senza porte ma con molte entrate che possono accogliere qualsiasi tipo di manifestazione artistica. Per esempio un festival di cinema come quello con cui abbiamo inaugurato il padiglione.
Il Pavilion 001 è unevoluzione del concetto di edificio ibrido che ha ispirato il Whitechapel Idea Store?
Whitechapel Idea Store è uno dei sette spazi londinesi che sostituiscono le quindici biblioteche di quartiere preesistenti. Mi attraggono le istituzioni ibride e gli spazi multifunzionali, perché testimoniano la democratizzazione delle topologie. Nel caso del Whitechapel la sfida era riuscire a creare una situazione in cui gente di provenienza geografica, sociale e culturale molto diversa si trovasse a suo agio e potesse accedere facilmente e in forma intuitiva ai servizi della biblioteca. Le rifiniture di legno, il pavimento in Pvc rosso e lilluminazione molto curata rispondono alla volontà di costruire un edificio semplice ma non austero, pratico ma non noioso.
Quali sono i suoi punti di riferimento nel mondo dellarchitettura?
Legiziano Hassan Fathy, pioniere del recupero delle tecniche costruttive tradizionali e soprattutto delluso del mattone di terra, per favorire la refrigerazione passiva degli edifici. Era un visionario pragmatico, che insegnava personalmente agli abitanti delle zone rurali a costruire le loro case con i materiali del luogo in cui vivevano. E Oscar Niemeyer, naturalmente
Mi parli della sua esperienza come curatore di mostre. La giudica positiva?
Mi è piaciuto moltissimo, perché è un modo per esplorare altri campi, ma sempre con larchitettura in mente. Nella mia prima mostra, «Urban Africa», un incarico del Design Museum di Londra, ho cercato di tracciare un profilo geo-culturale inedito delle città africane nel contesto globale. In Africa non esiste un discorso sulla nozione di urbano e di metropolitano, si parla solo di sottosviluppo, povertà e guerra. Io voglio riconfigurare questo discorso, usando larchitettura come messaggio e come strumento. È il mio omaggio al continente dei miei avi. La seconda mostra, inaugurata la scorsa primavera alla Biblioteca nazionale di Francia a Parigi, è un progetto completamente diverso. Alludendo alla canzone di Jim Morrison, sintitola «American Prayer» ed esplora un aspetto poco noto della traiettoria del fotografo Richard Prince. Lo conosciamo per la pubblicità di cowboy della Marlboro ma pochi sanno che è anche un grande bibliofilo e un collezionista di documenti e memorabilia della cultura pop e delle controculture americane che si svilupparono tra il 1950 e il 1980.