La faccenda degli stadi calcistici di auspicata proprietà dei club è molto ma molto italiana, dunque picassiana, contorsionistica, sospettabile. La Juventus specificamente non centra, casomai ha il merito di sollecitare la discussione, visto che è leader fra le grandi società nel costruirsi limpianto. Lo fa con un suo investimento importante, con un forte credito amico, con laiuto del Comune di Torino e ovviamente con la forza del suo nome, della sua storia: sfidando il fatto che linaugurazione avviene in una stagione in cui il club non ha ottenuto nessuna qualificazione per le coppe europee (da qui il non accapigliarsi di grandi firme per intitolarsi lo stadio stesso?), che il mercato estivo non è stato entusiasmante, che tutto il nostro calcio, fra scommesse e scioperi, ha perso molto in serietà e credibilità. Ma cè ben altro.
1) La crisi nostra e generale va contro lidea di uno stadio che nei giorni delle partite (e non solo, si parla dimpianto sempre «vissuto») chiama la famiglia a spese forti dentro le sue mura: shopping per la moglie, memorabilia per il figlio (a prezzi alti, niente magliette taroccate sennò non vale), qualcosina per la figlia, tutti insieme al ristorante, poi i maschi alla partita (posti belli e sicuri, biglietti cari?) e magari le femmine al cinema. Con quanti soldi, con quali soldi? E se la crisi è ormai cronica, fisiologica, da cambio del modo di vivere?
2) Non è assolutamente pensabile che tutta una politica di stadi di proprietà non venga, in Italia, presto o tardi agganciata dal mondo delle tangenti, degli appalti truccati, dei costi gonfiati. E più grande è lo stadio, meglio è. Ogni onesto può e deve pensare che il mondo, questo sporco e porco mondo, possa, debba cambiare, ma non si vedono segnali, anzi.
3) LItalia del pallone è ricca di stadi tutto sommato validi. Non dimentichiamo che il Mondiale è stato organizzato qui ventun anni fa, con stadi nuovi o rimessi a nuovo, e che un impianto di un certo calibro deve durare almeno mezzo secolo, sennò è una bufala.
4) Tutto il divenire dello sport mondiale contempla una rappresentazione televisiva sempre più allargata e sofisticata, «contro» la presenza fisica, testimoniale, lì accanto allevento con i nostri poveri due occhi. Il grande stadio è ormai assurdo, e infatti quello juventino è intelligentemente «medio».
5) In Italia le stesse società calcistiche che chiedono che le istituzioni vengano loro incontro per la costruzione di nuovi stadi (terreni, urbanizzazioni, crediti, trasporti
), che chiedono insomma che il contribuente si accolli indirettamente tanto della spesa, si disputano i milioni dei diritti televisivi, basano su questi soldi il loro bilancio, ne vogliono sempre di più, piangono se devono darne un po al resto dello sport. Insomma generano, pagatissime, unofferta tale di calcio servito in casa a tutte le ore, da uno o più televisori, che soltanto una famiglia di pazzi va a spendere soldi allo stadio.
I punti 4 e 5 da soli bastano e avanzano per ogni tipo di perplessità. O no?
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