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Written by: Inchieste

Il colpo di stadio: stadi in Italia e in Europa

Non c’è società di calcio professionistico (grande, piccola, metropolitana, provinciale, blasonata o squattrinata) che non sogni e progetti un nuovo stadio. Lo ripetono come un mantra: dev’essere moderno, comodo, sicuro, senza pista di atletica, adatto alle famiglie, aperto non solo la domenica, pieno di attività commerciali per espandere i fatturati. Del resto così fanno in tutta Europa. Oggi gli impianti sportivi sono generalmente vecchi (età media 59 anni), scomodi, senza servizi e poco adatti al calcio, in quanto edificati come «polisportivi». Proprietari i comuni, che li danno in concessione d’uso alle squadre. Risultato: nessuno ne cura manutenzione e ammodernamento. Non i comuni, perché non li usano. Non le società, che ne usufruiscono a titolo parziale. Inoltre suscitano contenziosi milionari.

Il «sistema» Protezione civile
Niente impedisce alle società di costruirsi un nuovo stadio, ma a parte la Juventus, che rispettando i tempi previsti inaugura il suo nuovo impianto da 122 milioni edificato al posto del mai amato Delle Alpi, nessuno ha ancora posato un mattone. Perché? Pretendono suoli e soldi pubblici, procedure amministrative accelerate, varianti urbanistiche à la carte, deroghe paesaggistiche. La politica le accontenta: prima insegue invano un «grande evento» che apra squarci derogatori nel cielo del diritto comune e scateni diluvi di soldi pubblici, ma l’Uefa ci sbatte due volte la porta in faccia, preferendoci  Polonia, Ucraina e Francia per l’organizzazione degli Europei 2012 e 2016. Poi ci riprova con un piano B autarchico: nel 2009 il Senato vota con accordo bipartisan una legge sugli stadi cucita sui desiderata pallonari. La filosofia è quella, allora in voga, del «sistema» Protezione civile: procedure emergenziali per eventi ordinari, diritto di eccezione e poteri speciali. Gli stadi diventeranno «complessi multifunzionali» con «strutture destinate ad attività commerciali, ricettive, di svago, per il tempo libero, culturali e di servizio, nonché eventuali insediamenti residenziali o direzionali». Per far presto, «le opere sono dichiarate di preminente interesse nazionale, di pubblica utilità, indifferibilità e urgenza». I Comuni garantiscono aumenti di cubature, cambi di destinazione d’uso, tempi rapidi. Ai soldi penserà il contribuente: finanziamenti speciali e prestiti agevolati. E il gioco è fatto.

No alle deroghe
Qualcosa s’intoppa alla Camera: insorgono urbanisti e ambientalisti, il ministero per i Beni culturali non gradisce le deroghe, il mondo del calcio litiga sui soldi. Il testo viene riscritto più volte. Nell’attesa dell’approvazione definitiva, i presidenti delle società calcistiche fanno a gara ad accaparrarsi aree a basso prezzo da trasformare con una bacchetta magica in preziosi «complessi multifunzionali». Esibiscono progetti faraonici e rendering luminescenti.

Giro d’Italia
A Roma, i nuovi stadi entrano nel programma elettorale del sindaco Gianni Alemanno. Dopo il trionfo del 2008, le società presentano il conto. Claudio Lotito, patron della Lazio, presenta il progetto dello Stadio delle Aquile. Altro che stadio, questa è una città: sui 600 ettari di proprietà del suocero Gianni Mezzaroma troverebbero posto 1.500 appartamenti, un centro commerciale su due piani, un hotel, un’area concerti, quattro ristoranti, altri quindici campi sportivi, tre piscine olimpioniche, un palasport. Investimento totale: 800 milioni. Peccato che il terreno faccia parte dell’agro romano vincolato (il Prg prevede appena 11.000 mc, il piano Lotito 2 milioni) e sia a rischio di esondazione del Tevere. Ostacoli non insormontabili grazie alla legge prêt-à-porter in discussione in Parlamento.
L’agro romano stuzzica anche la Roma. Rispetto alla grandeur di Lotito, il progetto giallorosso pare poca cosa. «Solo» 300 milioni di budget, «solo» 150 ettari sull’Aurelia di proprietà di un altro costruttore capitolino, Sergio Scarpellini, che entra nel business ottenendo volumetrie compensative. Comunque, sono previsti addirittura 3.000 appartamenti, affiancati ça va sans dire da albergo e centro commerciale di 300.000 mc. Servirebbe una variante al Prg, ma la «benedizione» di Pd e Pdl lascia pensare che non sarà un problema.
Inter e Milan nicchiano: per quanto San Siro sia vetusto, conserva fascino impareggiabile, ottima visibilità, capienza adeguata. I nerazzurri avevano fatto un pensierino alla zona Expo, i rossoneri a Rogoredo, ma tutto è fermo. Non c’è fretta, le scelte definitive arriveranno quando il quadro normativo sarà definitivo. Ma è un’eccezione: da Siena a Salerno, da Gubbio a Padova, non si perde tempo.
Napoli in pochi anni ha già cambiato tre volte idea sulla collocazione della nuova arena: Marano, Scampia, Castelvolturno. A Palermo, Maurizio Zamparini ha optato per un complesso prefabbricato da montare in sei mesi al posto del velodromo nel quartiere Zen con centro benessere e fitoterapico, zona congressi, ristoranti, cinema. La parola al Comune per la variante urbanistica.
A Bologna il sogno (e il progetto) nel cassetto riguarda 300 ettari da riempire di stadio, strutture per allenamenti, ristoranti, residence, alloggi, zona commerciale, stazione ferroviaria, due campi da golf e altrettanti parchi tematici. La bocciatura del Comune nel 2007 potrebbe essere ribaltata dalla nuova febbre da stadi.
A Bergamo tutto si sdoppia: due squadre, due stadi, due shopping center. Antonio Percassi, re dei centri commerciali, ha già individuato e acquisito l’area agricola per collocare la nuova casa dell’Atalanta: stadio più palasport, progettisti inglesi, investimento di 50 milioni. Ora la palla è nella mani del settore urbanistica del Comune, perché sono in gioco volumetrie imponenti per ristoranti, strutture sanitarie e per il tempo libero. I cugini dell’Albinoleffe non intendono sfigurare: anche se navigano nelle profondità della serie B con un migliaio di spettatori fedelissimi, sono pronti a mollare il vecchio stadio Azzurri d’Italia per trasferirsi a Orio al Serio. Il progetto prevede un investimento di 60 milioni e un’arena da 12 mila posti.
Verona non è da meno. Quando ancora militava in terza serie, la società aveva presentato un progetto degno del Barcellona: solo 80 dei 400 milioni d’investimento previsti e 50 degli 850.000 mq interessati per il nuovo stadio. Il resto per edificare centri commerciali, grattacieli di uffici, ristoranti, musei, hotel e perfino l’auditorium più grande d’Italia. Tutto su un’area pubblica.
A Genova dal 2003 sono stati presentati nove progetti per un nuovo stadio. Il primo portava la firma di Stefano Boeri. Edoardo Garrone, presidente della Sampdoria, aveva scelto un’area a Sestri Ponente a ridosso dell’aeroporto, ma ha dovuto rinunciare prendendosela con imprecisate «forze del male». Storia simile a Cagliari: il presidente Massimo Cellino vuole un nuovo stadio vicino all’aeroporto. Ha già acquisito le aree e il sì del Comune. Ma l’Enac si oppone: troppo vicine le piste, sicurezza a rischio durante decolli e atterraggi. E Cellino sbotta: «Sono tornati i vicerè».
Si è bloccato tutto a Firenze. Il nuovo stadio (con uffici, residenze e una Disneyland del calcio) firmato da Massimiliano Fuksas era previsto su 80 ettari nell’area Castello di Salvatore Ligresti, al posto del parco in cambio del quale il finanziare-costruttore aveva ottenuto una variante urbanistica da 1,4 milioni di mc. Il Comune ci sta, la Procura no e ha sequestrato tutto, inducendo Della Valle a ripiegare sul restyling del vecchio stadio progettato da PierLuigi Nervi quasi un secolo fa. Costo: 60 milioni.

Il modello inglese
Resta un dubbio: del modello inglese invocato con giaculatorie domenicali questa casistica rappresenta una traduzione fedele? Le società britanniche sono tutte padrone degli stadi, perché comprano le aree e costruiscono di tasca propria. Tra il 2002 e il 2006 le squadre di prima divisione hanno investito 2,5 miliardi. Quattro volte la somma messa a disposizione dal governo italiano per organizzare un Europeo. Oltremanica tanti investimenti privati. Qui pochi soldi pubblici. Modello inglese, ma molto italianizzato.

In controtendenza
C’è l’Udinese, che sta avviando un parziale rifacimento dello stadio Friuli. Il terreno resta comunale, la società lo prende in concessione per 30 anni e lo ristruttura con 25 milioni. Niente ampliamenti volumetrici o varianti urbanistiche, né centri commerciali, saune, appartamenti, grand hotel. L’Udinese è una società piccola ma di sana gestione economica e di eccellenti performance tecniche. Sarà tutto un caso?

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Last modified: 10 Luglio 2015