Territori palestinesi occupati. La «sindrome di Ramallah» descrive una sorta dillusione di prosperità economica e stabilità diffusa tra la classe dirigente palestinese, secondo cui possono coesistere occupazione militare e libertà.
A nove chilometri da Ramallah sta sorgendo la newtown di Rawabi, che sarà la prima municipalità palestinese costruita seguendo un masterplan e, quando sarà completata, fornirà case, uffici e spazi pubblici a 40.000 persone. Basata su un piano di sviluppo che copre circa 6,3 kmq di superficie, Rawabi è un progetto da 600 milioni di dollari, promosso dal governo del Qatar (tramite la Qatari Diar Real Estate) e da un uomo daffari palestinese, Bashar Masri, arricchitosi negli Stati Uniti, tornato in Palestina nel breve momento di pace successivo agli accordi di Oslo e ora desideroso dinvestire nella propria nazione. Il progetto di sviluppo urbano è stato affidato alla società americana Aecom, in collaborazione con le Università di Birzeit e An Najah.
La politica di controllo del territorio applicata da Israele dal 1967 ha congelato il patrimonio abitativo palestinese. Gli insediamenti dei coloni bloccano fisicamente lespansione delle città e le autorità rifiutano nella maggioranza dei casi i progetti di masterplan per i villaggi, causando scarsità di abitazioni e innalzamento dei prezzi dei terreni.
Ramallah, la città palestinese più vicina a Gerusalemme, è divenuta capitale de facto, in quanto sede del governo e centro economico del Paese. Tra i suoi abitanti si mescolano gli immigrati dai villaggi, obbligati a trasferirvisi dalla difficoltà degli spostamenti quotidiani, e ricchi borghesi tornati dopo il 1994 dallesilio nei paesi del Golfo o negli Stati Uniti. Questi ultimi, dopo aver importato spazi e modi di vivere «cosmopoliti» (a Ramallah il boom di centri commerciali, torri per uffici e complessi residenziali di lusso sta suscitando un certo dibattito sullimportazione di modelli urbani occidentali), manifestano ora il desiderio di allontanarsi da una città che ritengono invivibile e sovraffollata, guardando alle gated communities.
In una prima fase del cantiere di Rawabi (che occuperà circa 10.000 lavoratori) sono previste 6.000 case a prezzi abbordabili per una popolazione di 25.000 persone, destinata in seguito a crescere fino a 40.000. Il progetto rispecchia quello di colonie israeliane come Har Homa o Maale Adumim: villette da suburbio con tetti rossi e giardinetti o palazzine rivestite in lastre di «pietra di Gerusalemme». Gli elementi che per Israele hanno motivazioni militari o politiche (i tetti rossi che identificano le residenze dei coloni in Cisgiordania, la pietra che richiama la città di Davide) sono divenuti, per i nuovi palestinesi, confusi simboli di ricchezza e distinzione sociale.
Nonostante sia costruita su terreno in area A, che secondo gli accordi di Oslo è completamente sotto controllo palestinese, Rawabi ha comunque bisogno dellapprovazione dIsraele per poter completare il necessario sistema infrastrutturale che passerà nellarea C, sotto controllo militare. Il ministro dellAmbiente israeliano Gilad Erdan ha appena bloccato i lavori per motivi «ambientali», nonostante il progetto preveda energie rinnovabili, spazi verdi, tecnologie avanzate per lapprovvigionamento dacqua e il riscaldamento geotermico degli edifici. Ancora una volta la trasformazione dello spazio in Palestina si lega alle geografie del potere.
Articoli recenti
- Modello albanese? Problema architettonico 8 Gennaio 2025
- Yoshio Taniguchi (1937-2024) 7 Gennaio 2025
- Quo vadis architetto? Tre architetti e una villa, la E-1027 6 Gennaio 2025
- Da Koolhaas a Morozzo della Rocca, se la teoria è progetto 5 Gennaio 2025
- Ri_visitati. Le Albere a Trento: sogni, treni e appartamenti vuoti 3 Gennaio 2025
- Il mio commiato al Giornale, miracolo che si rinnova settimanalmente 1 Gennaio 2025
- L’archintruso. Calendario 2025 per architetti devoti 19 Dicembre 2024
- 30 racconti per un anno 18 Dicembre 2024
- Inchiesta: Roma e il Giubileo 18 Dicembre 2024
- Brescia: dalla mostra al museo al territorio 18 Dicembre 2024
- Tobia Scarpa, 90 anni e non sentirli 18 Dicembre 2024
- Salvare Milano ma non sfasciare l’Italia 16 Dicembre 2024
- Reinventare il costruito con il riuso adattivo 16 Dicembre 2024
- “Paesaggi aperti”, per dare valore ai territori 16 Dicembre 2024
Tag
Edizione mensile cartacea: 2002-2014. Edizione digitale: dal 2015.
Iscrizione al Tribunale di Torino n. 10213 del 24/09/2020 - ISSN 2284-1369
Fondatore: Carlo Olmo. Direttore: Luca Gibello. Redazione: Cristiana Chiorino, Luigi Bartolomei, Milena Farina, Laura Milan, Arianna Panarella, Michele Roda, Veronica Rodenigo, Ubaldo Spina.
«Il Giornale dell’Architettura» è un marchio registrato e concesso in licenza da Umberto Allemandi & C. S.p.A. all’associazione culturale The Architectural Post; ilgiornaledellarchitettura.com è un Domain Name registrato e concesso in licenza da Umberto Allemandi & C. S.p.A. a The Architectural Post, nuovo editore della testata digitale, derivata e di proprietà di «Il Giornale dell’Architettura» fondato nell’anno 2002 dalla casa editrice Umberto Allemandi & C. S.p.A.
L’archivio storico
CLICCA QUI ed effettua l’accesso per sfogliare tutti i nostri vecchi numeri in PDF.
© 2024 TheArchitecturalPost - Privacy - Informativa Cookies - Developed by Studioata