1. Crede che la possibilità data alle Università e agli istituti di ricerca di partecipare alle gare dappalto pubbliche per la fornitura di servizi sia positiva? Perché?
In prospettiva forse. In prima battuta non credo. LUniversità sta vivendo un forte cambiamento per il quale molto personale docente, ricercatore e tecnico-amministrativo non è attrezzato. «Navigare nel libero mercato» prevede di operare scelte con rapidità e criteri di accordo e dinteresse che non sono nel Dna dellUniversità italiana. Senza contare che molti altri aspetti economico-gestionali (tipici del diritto pubblico) non possono essere eliminati con un colpo di bacchetta magica. Al di là della possibilità, nei fatti sarà molto complesso partecipare a gare dappalto pubbliche e qualora fosse anche possibile mettere in atto unofferta concorrenziale poi si dovranno gestire attrezzature e personale con una logica che, nellesecuzione dei servizi e delle opere, non produca un danno o un mancato utile. Quali sono i gradi di tutela e i fattori di rischio che lUniversità sarà pronta rispettivamente a mettere in campo e a sopportare? Oggi è molto difficile poterlo anche solo immaginare, in quanto i criteri con cui si sviluppa la gestione del «sistema pubblico» non prevedono neppure (il più delle volte) che questo tipo di ragionamento venga attivato. Il mio parere nasce dal punto di vista di un osservatorio privilegiato, essendo in questo momento responsabile scientifico della Piattaforma costruzioni dei tecnopoli della rete ad alta tecnologia della Regione Emilia-Romagna e avendo collaborazioni costanti con il Consorzio Ferrara ricerche, un ente giuridicamente privato senza fine di lucro a capitale misto che opera in regime di libera concorrenza, con il quale è stato possibile vincere gare dappalto nazionali e internazionali.
2. Quali conseguenze avrà sul mercato, dal vostro punto di vista?
Nel tempo (forse) qualche conseguenza si potrebbe anche innescare, ma dovranno cambiare molti atteggiamenti autoreferenziali tipici di un processo decisionale che utilizza un ruolo «dominante», non tanto di privilegio come era un tempo (un privilegio che era per lo più fondato sulla «sicurezza» economica determinata da «sicuri» finanziamenti pubblici che ora non esistono più), quanto piuttosto dallabitudine consolidata di procedure e modalità contrattuali impostate su criteri poco flessibili e adattativi. Poi ci saranno delle compatibilità statutarie che dovranno essere valutate caso per caso ma, visto il processo di riforma che obbligherà le Università a riscrivere i propri statuti al massimo entro nove mesi, è da immaginare che si terrà conto di queste nuove opportunità. Se lobiettivo principale delle norme comunitarie in materia di appalti pubblici vuole essere quello della libera circolazione dei servizi e lapertura alla concorrenza non falsata in tutti gli stati membri, è facile immaginare che nel tempo alcuni modus operandi non avranno più cittadinanza e lingresso delle Università (del futuro) possa anche aiutare a migliorare il clima e il contesto delle domande e delle offerte. UnUniversità più disponibile a capire il ruolo dellimpresa, a sviluppare trasferimento tecnologico e di formazione finalizzata, a valorizzare un grado di competitività rivolto verso lalto.
3. Riformulerebbe quindi la norma? Quali parti modificherebbe?
Non mi sento attrezzato e competente per consigliare nuovi testi, in un settore come quello dei lavori pubblici che da trentanni è così tragicamente coinvolto dagli effetti devastanti di leggi e normative per lo più estranee al «buon senso del fare e delloperare». Norme che avevano sempre un fine diverso da quello per cui venivano prodotte. Se si potesse monitorare con serietà landamento delle gare dappalto (nel farsi e soprattutto nel continuo disfarsi) si avrebbe un quadro molto triste in cui il procedimento «andato a buon fine» è una rarità, senza contare la condizione di crisi in atto, che produrrà le contrazioni più dolorose nei prossimi due anni, quando non ci saranno progetti sui quali immaginare investimenti e di conseguenza gare dappalto. Insomma, secondo me è giusto interrogarsi sul ruolo di «operatore economico» o di «imprenditore» in rapporto a finalità istituzionali e ai sensi delle varie direttive comunitarie, dei vari codici e nel rispetto di sentenze, orientamenti e pronunciamenti dellAutorità o della Corte di giustizia, ma credo che non potrà bastare. Quando lUniversità per essere concorrenziale sul mercato dovrà chiedersi se è «utile» proporre uno sconto del 45% (come sta accadendo oggi), che cosa farà? Se si vuole un sistema della ricerca applicata in cui le professionalità siano rispettate anche a contatto con il mondo dellimpresa, molte altre norme dovranno cambiare, come molti cervelli dentro lUniversità.