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Laura MilanWritten by: Professione e Formazione

Affidamenti d’incarico: Università vs Professionisti

La seconda puntata della querelle tra Università e professionisti relativa alla partecipazione agli appalti pubblici passa dall’Abruzzo. Dopo che il Cnappc si è ufficialmente opposto alla Determinazione dell’Autorità per la vigilanza n. 7 del 21 ottobre 2010 che dava il via libera alle Università, alle Fondazioni e agli Istituti di formazione o di ricerca (cfr. «Il Giornale dell’Architettura» n. 89, 2010), la battaglia si è spostata all’Aquila, dove Giovanni Rolando, presidente del Consiglio nazionale degli ingegneri (Cni), ha attaccato la Struttura tecnica di missione durante la conferenza stampa del 14 gennaio presso la sede dell’Ordine degli ingegneri dell’Aquila incentrata sulla decisione della Struttura di conferire all’Università la progettazione e la gestione dei piani di ricostruzione (news.ordingaq.it). Questa dura presa di posizione ha mosso varie facoltà, tra cui Architettura a Camerino, Firenze e la Seconda università di Napoli, oltre a Ingegneria a Genova e Bari che, in un comunicato congiunto, hanno risposto invitando alla collaborazione per una migliore ricostruzione.

1. Crede che la possibilità data alle Università e agli istituti di ricerca di partecipare alle gare d’appalto pubbliche per la fornitura di servizi sia positiva? Perché?
No. La mission dell’Università non è fare progettazione o attività professionale ma insegnare: in quest’ottica si «distrae» l’Università dal suo compito principale. In seconda battuta, si crea una concorrenza sleale verso le strutture professionali, che vivono solo della loro attività e non hanno nessuna delle agevolazioni di cui possono usufruire gli atenei (le strutture pagate dallo Stato, i finanziamenti pubblici e studenti che lavorano a costo nullo o quasi). In realtà è un problema puramente economico: se avessero fondi sufficienti per l’istruzione, non credo si rivolgerebbero verso il mondo professionale. L’Università deve limitarsi a fare ricerca, grande consulenza sui grandi temi, ma non progettazione né direzione lavori: tutte le attività professionali devono essere svolte dalle strutture professionali. Vorrei poi che fosse chiarita una cosa: come fa l’Università a fare la doppia attività? È come se noi Ordini ci mettessimo a insegnare. Ognuno deve fare le cose per le quali è abilitato a operare. Nel tempo si è tentato più volte di dare affidamenti diretti all’Università e noi ci siamo opposti, vincendo anche ricorsi. Affidare le progettazioni direttamente alle Università è al di fuori delle regole del mercato.

2. Quali conseguenze avrà sul mercato, dal vostro punto di vista?
Questa apertura peggiorerà la crisi di un mercato già in crisi, che ha subito un’involuzione terribile negli ultimi venti anni. Nel 1992 c’erano 10 volte i lavori pubblici di oggi, mentre negli ultimi 15-20 anni il numero di professionisti è raddoppiato. Abbiamo il doppio di professionisti per un decimo di lavori pubblici e, quindi, un ventesimo di possibilità che un professionista si possa dedicare ai lavori, e alle gare, pubblici (la clientela privata di solito si rivolge a professionisti di fiducia). Ma nel momento in cui il mercato si è ristretto a un ventesimo teorico e subentrano anche altri soggetti esterni, come l’Univeristà, il piccolo sparisce. Dai recenti dati elaborati dal nostro centro studi, risulta che la quota parte di mercato del pubblico riservata ai liberi professionisti (ingegneri, architetti e tecnici in generale) è marginale, dell’ordine dell’1-3%, con la gran parte delle poche gare, molto grandi, che va alle società di ingegneria. A questo si aggiunge anche il patto di stabilità, a causa del quale molti Comuni stanno soffrendo (sforarlo significherebbe lo scioglimento del Consiglio), che contribuisce allo stallo del «sistema Italia» e approfondisce la crisi per tutti gli addetti ai settori, dai professionisti, alle imprese a tutta la filiera. A mio giudizio l’unica cura è l’utilizzo di risorse private (tramite partenariati, project financing o leasing in costruendo), che premerebbero alle amministrazioni, dando al privato una contropartita che deve essere ben bilanciata tra l’interesse comunale e il minimo di utile dell’investitore, di rispettare il patto facendo opere pubbliche.

3. Riformulerebbe quindi la norma? Quali parti modificherebbe?
G.R. La possibilità per le Università di entrare negli appalti dev’essere limitata moltissimo, e legata a condizioni molto particolari, come situazioni nelle quali sia necessario un contributo d’innovazione totale, quasi «da scienziato» e non da tecnico (ingegnere o architetto). Se, ad esempio, si studiano nuove apparecchiature di altissimo livello tecnologico, ci può essere il contributo dell’Università, anche perché la ricerca non può essere fatta da un professionista. Dal mio punto di vista, posso assicurare che i 230.000 ingegneri iscritti all’albo (che per la maggior parte sono liberi professionisti o dipendenti) sono qualificatissimi a gestire tutta l’attività professionale che esiste in Italia. Le problematiche dell’Università sono economiche, e comprensibili. Però credo che i fondi dovrebbero essere ricercati insieme alle parti professionali nella formazione permanente. Noi facciamo aggiornamento professionale continuo, che a oggi, come abbiamo deliberato in assemblea dei presidenti, dev’essere quasi un «bollino di qualità», non obbligatorio, per ogni professionista. Ogni professionista frequenta ogni anno più di un corso di aggiornamento e in quest’ottica può nascere una collaborazione che, attraverso una gestione strutturata dei corsi a pagamento, può portare nuove e ingenti risorse al mondo universitario. In questo modo ognuno fa il proprio lavoro, ma si attiva una sinergia e si fa «sistema» andando verso un modello che rispetta i ruoli: io riconosco la capacità d’insegnamento dei docenti universitari, ma ritengo che la mia categoria professionale sia più qualificata ai lavori «sul campo» di quanto non lo sia l’Università.

Autore

  • Laura Milan

    Architetto e dottore di ricerca in Storia dell’architettura e dell’urbanistica, si laurea e si abilita all’esercizio della professione a Torino nel 2001. Iscritta all’Ordine degli architetti di Torino dal 2006, lavora per diversi studi professionali e per il Politecnico di Torino, come borsista e assegnista di ricerca. Ha seguito mostre internazionali e progetti su Carlo Mollino (mostre a Torino nel 2006 e Monaco di Baviera nel 2011 e ricerche per la Camera di Commercio di Torino nel 2008) e dal 2002 collabora con “Il Giornale dell’Architettura”, dove segue il settore dedicato alla formazione e all’esercizio della professione. Dal 2010 partecipa attivamente alle iniziative dell’Ordine degli architetti di Torino, come membro di due focus group (Professione creativa e qualità e promozione del progetto) e giurata nella nona e decima edizione del Premio architetture rivelate. Nel 2014 costituisce lo studio associato Comunicarch con Cristiana Chiorino

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Last modified: 10 Luglio 2015