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Gino Valle come era lui

Archistar, blogger e developer hanno cavalcato l’onda del boom architettonico degli anni 2000 fino alla crisi del 2008. Restano cantieri aperti, rare grandi opere e siti web ricolmi, alla rinfusa, di architetture piccole, nuove e quasi sempre interessanti. L’opera omnia di Gino Valle (1923-2003) ci ricorda che esiste altro. Non è, infatti, il solito mattone con saggio introduttivo di taglio storico e schedatura pedante delle opere. Non è solo un’affettuosa riscoperta di un vecchio maestro e neppure una rilettura a distanza per capire un lavoro storicamente archiviato. È un libro ostinato che affronta le questioni a fondo, attento ai risvolti professionali e culturali, e poco interessato agli effetti speciali. È un libro che assomiglia molto all’autore che vuole raccontare e che, avanzando nel metodico disvelamento di un corpus estesissimo e profondissimo, vuole convincere che l’idea di architettura di Valle sia la più giusta e vera in questo paese così incoerente ed esposto a varie tentazioni.
L’opera di Valle vi è rappresentata in tutta la sua complessità. Emergono i diversi periodi, le intuizioni geniali, gli innamoramenti e i superamenti delle tendenze e delle mode dei periodi attraversati. Dagli anni cinquanta, forse i più creativi e sorprendenti, ai tesori nascosti negli edifici di piccole dimensioni (dove raggiunge i risultati più stimolanti e attuali), alle ultime grandi opere in cui, ancora, si accavallano approcci e strategie apparentemente discordi. Monumentalismo Novecento, nel Palazzo di giustizia di Padova, ma anche l’esercizio della scomposizione del volume e del dettaglio plastico, nella stessa città, per la facoltà di Psicologia. Due i grandi «landmark» della sua carriera: gli uffici Zanussi a Porcia (Pordenone, 1957-1961), che segnano la piena maturità e l’affermazione di una forza espressiva consapevole e, quarant’anni dopo, la sede della Deutsche Bank (1997-2005) a Milano, che raggiunge un punto di equilibrio dinamico difficile, a confronto con il rigidissimo sistema urbano della Bicocca.
Riconosciuto il valore dell’opera e del libro che la racconta, si può obiettare che l’impresa di Croset e Skansi non arrivi a una sintesi finale, non ci consegni un’idea, magari semplificata, in grado di restare nella memoria come il marchio di un’intera carriera. Il riconoscimento dell’interesse e del valore di molti e diversi progetti prolifera in un’immagine da caleidoscopio, in sfaccettature che corrispondono alla personalità di Valle e alla sua resistenza a pensare l’architettura come un fatto formale. Il libro accetta il rifiuto di Valle per l’iconicità utilizzando l’apparato fotografico in senso documentario e funzionale alla spiegazione del progetto. Non siamo più abituati a un’impostazione così austera. Nel numero di «Lotus Navigator» (Electa, 2000) dedicato a Valle ci eravamo posti esattamente questo problema, costruire a posteriori l’immagine di un’architettura che sembra votata alla «non forma» (come scrissero lo stesso Valle e poi Giuseppe Mazzariol), più tattile che visibile. Un’architettura quasi troppo adulta, con un indice etico, un senso di responsabilità e un’assenza di narcisismo che possono mettere in imbarazzo un pubblico follemente egocentrico come quello di noi architetti. 

Pierre-Alain Croset , Luka Skansi, «Gino Valle», Electarchitettura, Milano 2011, pp. 400, euro 75

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Last modified: 10 Luglio 2015