Visit Sponsor

Written by: Design

Nuovi settori: il «green» è di gran moda

Milano. Il 23 giugno l’Istituto europeo di design ha ricevuto il premio per la creatività nella moda eco-sostenibile, convincendo una giura di esperti attraverso l’interpretazione dei temi proposti dal progetto del Fashion FaSE Ecology: Last minute travel kit, Camicia bianca e Paper! Why not. L’impiego di materiali e tessuti naturali, riciclati o ecologici, insieme a una riflessione sull’ecosostenibile quale strumento di rinnovamento e sviluppo economico del comparto moda, sono alla base dei motivi del premio. In occasione del Fashion FaSE Ecology (prima edizione di una manifestazione che ha fatto dialogare la moda «green» con la cultura tessile) l’Università Iuav di Venezia ha inaugurato la mostra «The Upcycling gallery»: esercizi di pirateria nel design (a cura di Amanda Montanari, con la collaborazione di Rita Cassetta, di Nicolò Artioli e degli studenti del workshop «Hackers»).
Finalmente anche la moda inizia a occuparsi di sostenibilità ambientale in modo concreto. Lo si comprende dalle numerose (oltre alle due citate) iniziative culturali, editoriali, seminariali, espositive e progettuali che si susseguono negli ultimi mesi a livello nazionale. L’Italia arriva però in ritardo rispetto a molti altri paesi che hanno iniziato ad associare i termini fashion e sostenibilità già da qualche anno, e con risultati innovativi, nei prodotti, nei processi e nei servizi. Oggi la moda deve riflettere sul proprio modus operandi e assimilare il tema del rispetto per l’ambiente nei diversi ambiti di cui è composto il settore: progettare (disegnare)/produrre/vendere, acquistare, mantenere, dismettere/comunicare. Molti sono gli esempi di approcci a una moda sostenibile in fase di sperimentazione, molteplici le iniziative di artigiani o piccole imprese che inducono a comportamenti responsabili. Anche le grandi case iniziano a rispondere a una richiesta sempre maggiore di attenzione a queste grandi tematiche: iniziative eticamente corrette, scelte consapevoli dei materiali, progetti talvolta greenwashing, talvolta realmente eco. Certamente ancora poca è però la consapevolezza delle potenzialità che l’approccio eco può avere per innovare, tipologicamente ed economicamente, un settore industriale troppo spesso legato al solo concetto instabile della creatività.
Più complesso sarà il passaggio da moda a moda sostenibile, rispetto a quanto accaduto con oltre vent’anni di anticipo nel mondo del design, per via dei valori semantici e sociologici che caratterizzano fortemente il sistema. Moda, infatti, non è l’abbigliamento visibile ma l’insieme degli elementi invisibili in esso incorporati, afferma Yuniya Kawamura nel volume La moda (il Mulino, 2006), e per questo sembra essere più difficile la diffusione di logiche di sostenibilità. Ma forse il tema della sostenibilità sta diventando esso stesso un fenomeno di moda, con ricadute anche positive sulle tendenze e sui comportamenti. Dal vintage al collaborative consumption (l’idea che possiamo condividere o scambiare qualsiasi cosa, dai vestiti ai posti auto al tempo libero) può essere considerata una forma di decrescita felice in ottica di sostenibilità.
I Clothes’ swishing di grande successo negli Stati Uniti, per esempio: eventi collettivi dove i partecipanti, pagando una quota d’ingresso per l’organizzazione, possono donare abiti usati ricevendo in cambio crediti di scambio da utilizzare per l’acquisto di altri abiti. È un esempio di come l’aspetto esperienziale dell’atto di acquisto, tipico della moda, possa diventare predominante sul consumismo con vantaggi non solo per l’economia, in crisi a livello mondiale, ma anche perchè esiste davvero un interesse diffuso per la sostenibilità.
 

Autore

(Visited 63 times, 1 visits today)

About Author

Share
Last modified: 10 Luglio 2015