Pare che di un progetto in Lombardia la forma ormai sia più importante dei contenuti. Che cosa cè di strano, direte? Ma, nel dirigismo corporativo, per forma sintende quella burocratico-amministrativa, annegata nella pletora paludosa di analitiche procedure preliminari, spacciate allopinione pubblica come straordinarie novità, in realtà noiose pillole manualistiche dingegneria gestionale dimenticandosi delle idee progettuali che dovrebbero appunto servire a prefigurare quello che sarà. Il gioco è fatto, con piena delegittimazione dellarchitetto e buona pace del carattere sintetico del progetto, con strategie fatte apposta per anestetizzare la critica e addomesticare le polemiche. Alla fine le idee alla base del processo sono spesso vecchie se non decrepite, e naturalmente la qualità ne risente; nel passaggio dal preliminare concorso didee al progetto esecutivo, anche le più brillanti invenzioni si appannano o vengono irrimediabilmente deformate quando, cambiati i tempi e i personaggi, le premesse della prima fase vengono spesso sconfessate dai risultati. Il concorso «allitaliana» è riuscito anche in questo: a trasformare un garantismo procedurale peloso nello strumento per affumicare gli occhi e addormentare le coscienze, con buona pace del suo contenuto conoscitivo, critico e di condivisione democratica. Per quanto riguarda i beni culturali, pubblici, il privato dovrebbe servire da panacea per tutto. Stracciarsi le vesti per i mercanti nel tempio è diventato ormai tautologico, quanto le eterne promesse mancate di recuperare luoghi del cuore segnati da lustri di abbandono e degrado, trasformati in emblemi dellindifferenza culturale e progettuale, sia locale che nazionale. Un affare per il privato o per il pubblico?
Il Consorzio Villa reale di Monza, costituito nel 2009 per valorizzare la Villa e il parco da Mibac, Regione Lombardia, Comuni di Monza e Milano, Provincia di Monza e Brianza e Camera di Commercio di Monza e Brianza, ha stimato una spesa di circa 17 milioni per il primo lotto funzionale del progetto del gruppo guidato da Giovanni Carbonara, vincitore di concorso nel lontano 2004, poi rivisto da Infrastrutture Lombarde. Il bando per restauro, gestione e conservazione programmata, è stato aggiudicato il 15 aprile allimpresa romana Italiana Costruzioni, già distintasi per il cantiere del Maxxi, il restauro in otto mesi del Palazzo Ducale di Genova per il G8, lemiciclo di Piazza San Pietro a Roma e il Palazzo della Ragione di Verona. Limpresa si accollerà 8,4 milioni di lavori. In sede di definizione dellaccordo sono stati abbassati i tempi di gestione, da 30 a 22 anni, e raddoppiato il canone da versare al Consorzio: 60.000 euro al posto dei contestati 30.000. Mentre i 930 giorni per i lavori di adeguamento e restauro sono ridotti a 730. Ulteriore ritocco anche per i fondi aggiuntivi corrisposti al Consorzio per le iniziative organizzate in Villa reale, da 0,5 a 0,7% degli introiti. Ritocchi in corso dopera che il concessionario si è accollato senza fiatare, ma che non hanno fatto desistere lassociazione «La Villa reale è anche mia» dalla volontà di studiare un ricorso al Tar, dopo aver presentato un esposto al Garante degli appalti contro la formulazione del bando nel 2010, seguito da un esposto al presidente della Repubblica raccogliendo oltre 11.000 firme tra cui quella del neosindaco Giuliano Pisapia.
Il regime convenzionato allitaliana lascia il dubbio amaro che questa sia solamente lultima spiaggia di un liberismo selvaggio che sta man mano colpendo università, servizi e welfare, con la foglia di fico dellargine di uno stato occhiuto «controllore» che dovrebbe offrire maggiori garanzie dello stato «gestore». Ma le condizioni di un mercato depresso sembrano favorire più della libera competizione una deriva neocorporativa e dirigista, inquinata dalla retorica delle «eccellenze», per giunta collocata in quel processo globale che va trasformando tutto in postmoderna merce dedicata al consumo. Il patrimonio architettonico sta subendo lennesima mutazione in una multi utility o shopping mall, come è già avvenuto in barba ai fautori dellelitarismo culturale con lirresistibile successo della formula, anche di pubblico, della metamorfosi della Centrale di Milano, in ossequio al progetto «Grandi Stazioni», ripiena di pubblicità invadente. Larchitettura rischia così di diventare una sottostruttura imbalsamata con annessa cappelliera moderna come quella che sovrasta Palazzo Aporti, lex sede delle Poste Italiane trasformata dalla joint venture tra il fondo immobiliare di Monte dei Paschi, lamericana Tiia e la Hines Italia con progetto di Antonio Citterio, e inaugurata a febbraio.
Non mancano invece soldi per il Mac, il museo tortile di Daniel Libeskind con il partner italiano City-Edge, di cui il 29 aprile è stato presentato il progetto definitivo. Frutto di un discusso incarico diretto, il Museo darte contemporanea è stato già finanziato, poiché CityLife ha già versato al Comune nel dicembre scorso i 45,3 milioni doneri di urbanizzazione, destinati a coprire le spese per lopera che doveva essere pronta per il 2011.
Rem Koolhaas ha scritto: «lo shopping è lultima formula praticabile di attività pubblica: maximun circulation=maximum sales volume»
ma è auspicabile la diffusione indiscriminata di questo modello? Nei casi lombardi abbiamo spesso assistito al mesto tramonto della centralità del progetto architettonico, prevaricato dai contenuti tecnico gestionali, burocratici ed economici uniti a valori formali spesso indecifrabili o deboli.
Come per un oscuro contrappasso, sembra inchiodato, nonostante tutte le sue velleità e 40 anni di occasioni mancate, il ministeriale progetto della Grande Brera (55 milioni per lampliamento della Pinacoteca, ma ce ne vogliono altri 45 e forse anche un concorso per il trasferimento dellAccademia per il nuovo campus nellex Caserma Mascheroni). Nonostante larticolato iter concorsuale, concentratosi nel 2009 più sulla scelta della figura guida di un progettista (Mario Bellini), non ci sono ancora tempi e programmazione certi per il progetto definitivo. Anche le più sofisticate procedure di gara non sono quindi condizione sufficiente per garantire lidentità dellopera e la sua realizzazione: de profundis definitivo o rilancio per i concorsi a natura esclusivamente pubblico-culturale?
Anche la Biblioteca europea di informazione e cultura (Beic) aggiudicata a Bolles+Wilson nel lontanissimo 2001, costo previsto 240 milioni, è stata esclusa dalle opere dellExpo ed è ferma, nonostante gli esecutivi approvati a metà maggio e lultimo disperato appello del presidente della Fondazione Beic, Antonio Padoa Schioppa, sul «Corriere della Sera» il 14 maggio. Si era addirittura parlato di trasferirla a San Vittore! Questo lamaro bilancio. Troppo cari? In fin dei conti alla scala internazionale si tratta di opere di media grandezza.
Quando invece si parte, i tempi sono troppo lunghi: la Città delle culture allex Ansaldo, con 46 milioni investiti dal Comune sarà pronta solo nel 2012: David Chipperfield vinse il concorso nel 1999! Tramontata lipotesi che le collezioni archeologiche in deposito al Castello Sforzesco fossero colà trasferite, a metà aprile è stata inaugurata, con una sistemazione da circa 3 milioni, la sede storica dellArcheologico in corso Magenta (consulenza museografica di Andrea Bruno). Chipperfield a Milano ha poi in agenda con Michele De Lucchi anche le scadenze (2011?) per il restyling dello Sforzesco (20 milioni).
Il presidente dellOrdine nazionale degli architetti, Leopoldo Freyrie ha scritto una lettera aperta chiedendo un impegno formale del nuovo sindaco affinché «lo strumento del concorso di architettura per un evento internazionale così importante come lExpo, sia di esempio per tutte le pubbliche amministrazioni che – come previsto nella Risoluzione europea firmata da tutti i premier dellUnione – sono chiamate a promuovere la qualità architettonica attraverso politiche esemplari nel settore della costruzione pubblica». Non è mancata neanche la reprimenda, il 24 maggio a Roma durante lassemblea generale In/Arch, del presidente Adolfo Guzzini: «…in Italia la pubblica amministrazione, a tutti i livelli, non chiede qualità ai progetti di trasformazione del territorio. Chiede carte, burocrazia, asseverazioni, giuramenti, metri cubi, rispetto di parametri inutili, verifiche di vincoli astratti e contradditori. Si compiace nel costruire corse ad ostacoli sempre più difficili e fantasiose, nel moltiplicare i centri decisionali, i diritti di veto, lattribuzione di competenze a soggetti incompetenti. Amplifica allinverosimile norme e contro-norme, livelli di pianificazione, inutili regolamenti».
Il bene pubblico è ancora un valore, e per di più non negoziabile? Già Adriano Olivetti nel 1957 aveva scritto: «Questa autorità vigile e appassionata, il committente nuovo che non sia il privato né lo Stato, manca nella società moderna; ed è qui la causa di tutti i mali». Stiamo ancora aspettando
ma in fondo quel committente siamo noi.
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