New York. Il World Trade Center (distrutto, comè noto, in una sola mattina da due aerei di linea) fu disegnato nel 1965 come un imponente complesso modernista. In realtà era un gigantesco basamento di cemento, spesso freddo e battuto dal vento o insopportabilmente caldo, realizzato su un parcheggio sotterraneo e un centro commerciale a sette livelli. Ideato da Minoru Yamasaki ed Emery Roth and Sons, il blocco di 16 acri sostituiva una fitta griglia del XIX secolo, nota come Radio Row, nelle cui basse strutture erano ospitati negozi di elettronica. Di fatto, i sei edifici sono diventati il simbolo nazionale della progettazione urbana modernista, finita male non solo per la prepotente altezza delle sue banali torri in stile finto gotico, ma perché la pianta della piattaforma in cemento non era con le proporzioni della storica griglia di New York.
Dalla distruzione del Wtc sono passati quasi dieci anni, e la storia della sua ricostruzione è diventata metafora della riconsiderazione di come il rinnovamento urbano della città modernista successivo alla Seconda guerra mondiale possa tornare a essere integrato nel piano urbano. Inoltre, vista la complessità della tradizione urbanistica di New York che conferisce potere a stato, città, azionisti commerciali privati e, in questo caso, alle famiglie delle vittime degli attentati, il processo di progettazione è stato complesso, arduo e controverso. Mi spiego meglio.
Il terreno su cui poggia il Wtc è di proprietà di una società pubblica e privata, la Port Authority portuale di New York e del New Jersey, ed è supervisionato da due stati. È un lotto unico, perché per legge non deve attenersi alle rigide ma intricate norme di New York in materia di azzonamento. È di fatto un suolo a sé nella città, che può evolversi con un in tervento minimo delle autorità pubbliche. Inoltre, prima dell11 settembre, la Port Authority aveva dato in affitto il complesso, di oltre 900.000 mq, al costruttore Larry Silverstein, che a sua volta ne aveva commissionato il restauro a David Childs dello studio Skidmore Owings & Merrill. Quando gli edifici sono stati distrutti, Silverstein si è rivolto a Childs chiedendogli di «essere il suo Yamasaki» e disegnare un complesso totalmente nuovo.
Tuttavia, in reazione al forte interesse pubblico per il progetto, anche la Port Authority voleva avere voce in capitolo. Nella speranza di esercitare un qualche controllo, il governatore di New York ha creato lente indipendente Lower Manhattan Development Corporation (Lmdc) per gestire i 21 miliardi di dollari federali promessi. Lente ha subito ingaggiato lo studio newyorchese Beyer, Blinder, Belle e gli ingegneri del Parsons Brinkerhoff per progettare sei «opzioni di uso della suolo» o «piani concettuali» complessivi, in modo tale da stabilire come organizzare sul sito le strade, gli edifici, gli spazi pubblici e le esigenze di trasporto di Lower Manhattan. Questi piani, che mantenevano la pianta del complesso esistente, sono però stati scartati quasi subito dallopinione pubblica (che ha comunque frainteso, poiché si trattava di modelli in 3D e non di proposte di design) in quanto banali e privi di creatività, troppo simili al Wtc originale. Questa reazione ha costretto la Lmdc e la Port Authority a bandire una seconda gara per uno «studio di design innovativo». E così, nel dicembre del 2002, in un forum pubblico dinanzi a migliaia di newyorchesi, sono stati presentati nove progetti nuovi. Un paio di mesi dopo ne sono stati selezionati due come finalisti: quello dello studio di Daniel Libeskind e la proposta di Think, un gruppo che includeva Rafael Viñoly, Frederic Schwartz, Shigeru Ban, David Rockwell, il paesaggista Ken Smith e altri. In una serie di eventi che preannunciavano la confusione finale su chi avrebbe disegnato quale edificio del Wtc, il «New York Times» ha pubblicato in prima pagina un articolo secondo cui Think aveva vinto la gara ma il giorno seguente, dopo un controverso incontro, Lmdc ha annunciato la vittoria di Libeskind.
La storia della progettazione di Ground Zero è diventata ancora più stravagante. Lintensa attività di progettazione voluta dalle autorità pubbliche non aveva alcun senso per il locatario degli edifici, Silverstein, che aveva già scelto Childs di Som. In sostanza Silverstein ha detto: «potete organizzare tutte le gare che volete, ma io ho già il mio architetto». Eppure, per via dellunicità e della notorietà del sito, sia Silverstein che Childs sono stati costretti ad accettare un compromesso con Libeskind. Larchitettura dellex Freedom Tower (ora «1 World Trade Center») è il risultato di tale processo. Nel suo libro Breaking Ground, Libeskind lo descrive come un «matrimonio forzato». Il progetto del sito, come si pensa verrà costruito (il futuro potrebbe riservare piccoli cambiamenti), è tuttavia ancora più complicato ed è il prodotto di altre figure, idee e gruppi dinteresse.
Dal primo progetto è evidente come lo spazio di 4,7 acri che comprende la pianta originaria delle torri gemelle resterà aperto e non edificato, un memoriale pubblico. Così, nel 2003 Lmdc ha bandito un concorso per disegnare il Memorial delle vittime dellattentato dell11 settembre. Nel 2004 una giuria di tredici membri ha scelto il paesaggista Michael Arad (che aveva lavorato per la New York Housing Authority) e Peter Walker per realizzare il progetto «Reflecting Absence». La proposta è in linea con il piano originale di Libeskind, che imponeva al memoriale di concentrarsi sulle piante delle ex torri gemelle rendendole il sito di due imponenti cascate di 9 m che scendono sotto il livello del suolo in una «vasca dacqua riflettente» e nellarea verde.
Attraverso questo processo e le successive iterazioni di vari programmi e requisiti, ciò che resta del piano originale è quanto presentato da Libeskind, con la sua spirale di edifici, il «cuneo di luce» che ogni 11 settembre permetterà al sole dilluminare il sito e i requisiti dello spazio centrale aperto e del memoriale. Il contributo di Childs al piano, però, prevede la significativa introduzione delle strade Fulton e Greenwich. È ancora troppo presto per stabilire se il nuovo complesso resterà una zona isolata o se – come sperano Libeskind e Childs – si fonderà in maniera uniforme nella città che lo circonda. Comunque vadano le cose, il piano sarà di certo una pietra miliare del processo di adeguamento della ripianificazione del progetto modernista, quello che esigeva la sua indipendenza dalla città storica.
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