Sono anni che stenta a decollare un disegno organico per Bologna. Dellinerzia di più amministrazioni si è fatta vicaria la sollecitudine delle Fondazioni. In periferia la Fondazione del Monte ha costruito un nuovo sistema di centralità urbane; in centro la Carisbo ha aperto al pubblico i principali palazzi storici: quali strumenti intende adottare per omogeneizzare la qualità urbana, e con quali orizzonti temporali?
È vero, ma aggiungerei che in Italia si tratta di una condizione diffusa, benché ogni città sia «triste a modo suo». Le ragioni sono sempre diverse e il compito forse più difficile è proprio individuare quali siano le difficoltà specifiche e da dove sia possibile cominciare. La titubanza delle amministrazioni e la sollecitudine delle Fondazioni bancarie sono due facce della stessa medaglia ed esprimono la doppiezza e la stranezza di questa città, come metteva in luce giorni fa Vittorio Monti in un suo fondo sul «Corriere di Bologna». A me sembra però che non vi siano più margini per galleggiare, che la storia recente e recentissima invochino delle decisioni. Bologna è una città davvero bella, uno straordinario manufatto dove a una parte storica molto famosa si aggiunge una parte moderna di buon livello. Una città che presenta una gamma di condizioni abitative non descrivibili come centro e periferia e che nel Psc mi hanno spinto a lavorare per un progetto declinato su sette città (cfr. «Il Giornale dellArchitettura», n. 51, maggio 2007). Quella strategia territoriale, concepita in una prospettiva metropolitana, mi sembra ancora un riferimento perché poggia su due presupposti: valorizzare le differenze e tenere insieme il tutto diffondendo e articolando un sistema di spazi urbani di qualità, un telaio dinfrastrutture tecnologiche e ambientali, oltre che per la mobilità.
Queste saranno diverse nel nucleo storico centrale, nei quartieri giardino, nelle espansioni dense degli anni cinquanta o nei quartieri di edilizia economica e popolare, per esempio, là dove si manifesta una domanda di qualità che comporta una serie combinata di progetti, programmi, azioni e politiche che mettono in crisi tutte le forme di settorialità. È un processo i cui segnali devono essere leggibili nei tempi brevi (un anno o due anni) e che può dare pieni frutti in un decennio, come mostrano le città europee che hanno saputo reinventarsi uscendo da crisi gravi.
A volte sembra che Bologna si riduca al suo centro storico. Oggi, la città ha diverse occasioni con le aree militari dismesse e grandi opere (stadio, auditorium…). Urbanistica e architettura sono entrambe scelte strategiche: come crede si possa rilanciare limmagine dellintera città?
A Bologna le difficoltà hanno accentuato il ripiegamento sul centro storico, portando il discorso su poche questioni ripetute fino alla noia, a riesumare vecchie opposizioni che hanno a che fare con la cultura di questa città, ma sono state comunque esacerbate. Le aree militari e ferroviarie costituiscono il campo dintervento dei prossimi anni, e non è difficile immaginare il cambiamento profondo che la loro trasformazione produrrà.
Penso però che non sia utile moltiplicare le proposte progettuali, dimenticando quelle che già gli strumenti urbanistici hanno fatto proprie e per le quali si stanno faticosamente creando le condizioni di realizzazione. Fare e disfare non è il modo che ha consentito i cambiamenti nelle città che invochiamo come esempio: la persistenza su una linea tracciata è fondamentale per ottenere dei risultati. Le opere di architettura, poi, esprimono la loro valenza attrattiva se interagiscono con lintorno, se vengono incluse e si fanno includere. Io non riesco a vedere larchitettura disgiunta dallurbanistica.