Milano. Questanno nella fiera del real estate, dal 7 al 9 giugno alla Fiera di Rho, sembrava regnare unaria sospesa, leggermente dimessa, sottotono. Eppure i dati trasmessi dagli organizzatori (Ge.Fi. spa) paiono confermare le stesse presenze dello scorso anno: 14.000 operatori professionali e ben 502 imprese presenti, un aumento del 6% sul dato del 2010.
Ma anche ammesso che i visitatori, gli stand e lo spazio espositivo fossero in egual numero, latmosfera era quella dell«attesa». Attesa dinvestitori, di economia in ripresa, attesa di rappresentanti della pubblica amministrazione, e attesa di tornare a lavorare per investire in edifici o realizzare quartieri o finanziare operazioni. Durante lattesa, si ripensa al «sistema» immobiliare italiano e ne vale la pena, del resto non cè molto altro da fare.
Per questo levento dapertura è stato il convegno degli Stati generali del real estate italiano, anticipato da riunioni preliminari, articoli e dibattiti, e forse originato dalla tempesta generata dalla frase di quellinvestitore che al Mipim di Cannes comunicò che in Italia non investirebbe per il «rischio paese» (cfr. «Il Giornale dellArchitettura», n. 94, maggio 2011).
Gli Stati generali hanno dato corpo a un prodotto di sintesi, un «Manifesto del real estate» che è stato diffuso alla chiusura della fiera immobiliare. In sintesi il settore dovrebbe fare più «sistema», anche tramite gli incontri che si tengono a Eire, ideare una strategia di comunicazione e dotarsi di un codice deontologico basato sul «gusto del bello» e sulla «centralità della persona» per (ri)trovare la propria identità dindustria allinterno dellapparato produttivo italiano. Il manifesto auspica un quadro legislativo nazionale con parametri urbanistici unitari per tutto il paese, e un patto tra real estate e banche per ritrovare la sintonia persa negli ultimi tre anni.
Poi solo un breve cenno di autocritica: il real estate non fa abusivismo e non coincide coi prodotti finanziari «derivati». Legittimo e corretto, quelle sono attività da piccoli speculatori, specie labusivismo; ma questa presa di posizione non è sufficiente per far cambiare opinione al pubblico che vede nellimmobiliarista un soggetto negativo e sino a oggi mai portatore di valori e innovazione. La frammentazione delle imprese del settore (tantissime e piccole) rende difficile una coesione anche solo di comunicazione, figuriamoci per codice deontologico, ma si auspica che questo manifesto abbia un seguito, anche per lapprezzamento che ne deriverebbe per gli investitori internazionali, a Eire praticamente assenti.
Lo scenario del mercato, del resto, non aiuta a rendere interessante linvestimento immobiliare, tantomeno lo sviluppo di nuove costruzioni: il residenziale mostra un calo delle compravendite del 3,7% rispetto allo stesso trimestre 2010, con flessioni più forti nella provincia italiana.
Il terziario e il commerciale non vanno meglio: -4% di uffici venduti e -8,9% di negozi, con un picco negativo in entrambi i settori nel Sud
(-12% e -12,3%, su base annua, secondo i dati dellAgenzia del territorio).
Ma con una forte differenziazione, come già scritto su queste pagine, tra mercati liquidi e non: a Roma limmobiliare regge, anzi con aumenti nelle transazioni (+1,3%), ma anche Torino che mostra un sorprendente +8,3% nelle vendite di abitazioni e Bologna con +5,7%. Non è più un mercato basato sulle attese, anticipatore, ma sulleconomia locale «qui ed ora», alimentato dai tassi locali di occupazione e dal fatturato delle aziende, per rispondere alle esigenze di dipendenti o imprese che necessitano spazi per abitare e operare.
E queste sono le fasce di domanda sui cui diversi operatori puntano: alberghi low cost per professionisti e social housing.
In crescita come rappresentanza in Eire, 90 partecipanti hanno presentato ben 70 progetti innovativi per risparmio energetico, gestione, sistemi costruttivi dedicati alla domanda di affitto nella Social Housing Exhibition, unarea dedicata, la più dinamica, per convegni, incontri tra operatori e scambio didee progettuali e dinvestimento. Nel monitoraggio gestito da Eire e redatto dal Gruppo Clas (Bocconi), il 32% dei progetti di social housing è in Lombardia, il 18% in Umbria; seguono Piemonte, Abruzzo ed Emilia-Romagna.
Nei tre giorni di «calma piatta» questo settore dedicato agli immobili di prima necessità ha portato un po di brezza.
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