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Il Museo dell’ebraismo di Ferrara: l’edificio prigione diventa edificio libro

Ferrara. Il 26 gennaio, vigilia della Giornata della Memoria, si è concluso con la vittoria del raggruppamento formato dal bolognese Studio Arco e dal romano -Scape (con Michael Gruber, Kulapat Yantrasast e Stefano Massarenti e consulenti Ariel Toaff per la cultura ebraica, Maricetta Parlatore per il restauro e Vertov per la museografia) per il concorso internazionale di progettazione per il Museo Nazionale dell’Ebraismo Italiano e della Shoah (Meis) di Ferrara, bandito dal Mibac – Direzione regionale per i Beni culturali e paesaggistici dell’Emilia Romagna, d’intesa con il Comune e la Fondazione Meis. Il secondo premio è andato a Ove Arup & Partners nel cui raggruppamento figurava Peter Eisenman, mentre il terzo a Politecnica Società Cooperativa (Modena) con Benedetto Camerana e Luca Zevi, mentre la proposta dello studio Libeskind non è stata premiata.
Il museo, istituito dalla Legge 296/2006, è destinato a illustrare la presenza ebraica in Italia, lungo l’arco di due millenni. Inserita nel nome stesso del Meis è la missione di testimoniare l’orrore delle persecuzioni razziali e della Shoah nel nostro paese, promuovendo attività attorno ai «temi della pace e della fratellanza tra popoli e dell’incontro tra culture e religioni diverse». Mentre le comunità ebraiche italiane verranno raccontate anche attraverso i loro rapporti con le altre comunità mediterranee ed europee.
La sede del museo è stata individuata nelle ex carceri di via Piangipane, costruite nel 1912 e dismesse nel 1992. Il complesso penitenziario, comprendente edifici d’interesse storico-architettonico, è composto da corpi paralleli, uniti da un percorso centrale che distribuiva celle e cortili, circondati da una doppia cinta di mura perimetrali. Le ex carceri occupano un’area prossima alle mura di sud-ovest, al ghetto e agli elementi che manifestano la storica, e profonda, presenza ebraica nella città estense.
Il bando richiedeva la ridefinizione degli spazi esistenti, la progettazione di nuovi ambienti e un allestimento espositivo multimediale. A questo fine era richiesta la modifica del corpo centrale, la conservazione del blocco-celle (ma non a fini espositivi), la demolizione delle superfetazioni e l’inversione dell’accesso al complesso (tramite modifica parziale delle cinte murarie) per aprire il museo verso l’area della Darsena, di prossima riqualificazione.
La giuria, presieduta dal direttore regionale dei Beni culturali dell’Emilia Romagna Carla Di Francesco e composta da Roberto Bonfil, Guido Canali, Margherita Guccione e Carlo Magnani, ha selezionato il progetto vincitore (tra le 52 proposte partecipanti) perché «…misurato e flessibile, di grande permeabilità urbana» e per le sue «notevoli potenzialità comunicative sul piano simbolico». È proprio il simbolo a caratterizzare la nuova identità del complesso «avvolto» dalla Torah e immaginato come un libro aperto alla città. La nuova veste conferita ai diversi edifici è impostata su una sequenza di setti che formano nuovi volumi sospesi e permeabili e filtrano la severità dell’ex blocco delle celle. Luce e leggerezza accompagnano il percorso museale anche all’esterno, dove vengono erose le mura di cinta e tutte le superfici diventano «parlanti», in un continuo rimando di trasparenze e riflessioni.
Il museo (apertura prevista entro il 2015 e una spesa stimata in 30 milioni) potrà contare su oltre 3.000 mq di superficie espositiva e su un insieme di spazi aperti alla città come un auditorium, un ristorante (con cucina tradizionale ebraica), un centro studi, una biblioteca, un archivio e un’emeroteca.

Autore

  • Domenico Mollura

    Nato a Milazzo (Messina), consegue la laurea in Architettura presso l’Università degli Studi di Palermo nel 2006. Dopo aver lavorato presso una società di ingegneria di Ravenna, esercita la professione in Sicilia, occupandosi anche di pubblicistica nel campo dell’architettura e dell’urbanistica. Dal 2009 collabora con «Il Giornale dell’Architettura»

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Last modified: 10 Luglio 2015