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Giovani: postideologici, programmatici ma non iconoclasti

Negli ultimi mesi del 2010, una serie di volumi pubblicati per i tipi della Utet, «ItaliArchitettura» curata da Luigi Prestinenza Puglisi e «GiArch. Progetti di giovani architetti italiani» curata da Luca Paschini», hanno presentato, attraverso un numero consistente di opere costruite, alcune linee di ricerca della nuova generazione di architetti italiani. No­nostante i differenti presupposti e modalità di selezione dei progetti, emergono giovani profili con ottime capacità manageriali e di controllo sul cantiere. Il risultato, non così scontato, è un gran numero di opere di alta gamma, progettate da studi non coinvolti nel circoscritto star system italiano. Emerge il tema della «rete» e dell’architetto-regista: immagini sintetiche di un modo di fare professione necessario, a ogni scala, per esistere e resistere nel mercato dell’edilizia. È utile dare centralità nel dibattito architettonico al network e ai processi: non più solo alla costruzione, ma alla comunicazione del progetto e alla nascita di alleanze virtuose. Nessun pregiudizio su iniziative editoriali come quella di GiArch, intraprese da gruppi attivi di professionisti con chiari intenti di auto-promozione, purché le si legga come tali, con un giusto pragmatismo, privo di retoriche e intellettualismi.
Per meglio comprendere le peculiarità di questa generazione è importante sottolineare alcune caratteristiche del contesto entro il quale agisce. Gli studi rappresentati dalla selezione di «GiArch. Progetti di giovani architetti italiani» sono medio-piccoli, lavorano prevalentemente in Italia, dove a contendersi gli incarichi è il 9% degli architetti mondiali (1 architetto ogni 470 abitanti, contro una media mondiale di 1 ogni 3.757 ed europea di 1 ogni 1.353); le principali commesse sono di piccola scala, per lo più private. In generale negli studi (di taglio medio piccolo: 1,4 addetti contro 6,6 in UK) tempo e risorse economiche dedicate ad approfondimenti teorici e concorsi sono investimenti difficili da sostenere, tramutandosi in esperienze sporadiche; la possibilità di confrontarsi su temi di ampio respiro è quasi negata anche dalla rarefazione delle pratiche concorsuali, precluse ai giovanissimi non in possesso dei requisiti economici fissati dai bandi. Lo spostamento verso incarichi privati, per lo più abitazioni unifamiliari, produce «un insieme di frammenti di qualità che sfuggono a ogni possibilità di creare un plausibile quadro d’insieme» (Fulvio Irace) e riduce la ricerca alle specificità richieste dal committente. Gli under 40 lavorano in una realtà molto diversa da quella in cui i maestri della Ricostruzione dibattevano sul grande tema dell’abitare, che alla luce dei nuovi flussi migratori è ancora cruciale ma stenta a trovare voci nel dibattito politico, prima ancora che architettonico. 
«Post ideologici, programmatici, sincretici, duttili»: da una definizione di Franco Purini emergono i punti di forza di una generazione dissimile dalla precedente. Gli scambi internazionali nell’era del web hanno prodotto una soluzione di continuità e alimentato una diversa forma mentis che incoraggia alla scelta autonoma dei modelli. Emerge l’assenza di scuole nazionali e di riferimenti forti alla maniera dei progettisti italiani senior. Gli edifici segnalati da GiArch sono la rielaborazione, spesso abile (in pochi casi superficiale e scialba) di codici assorbiti in altri paesi europei da questi protagonisti della «generazione Erasmus»: efficaci ed eleganti opere di traduttori di gusto, che mutuano in italiano un lessico dall’accento ancora iberico o fiammingo. Mancano opere dirompenti e pensieri dissidenti, mancano approcci radicali o iconoclasti. La domanda non è se sperare in una nuova Tendenza, o se la competenza organizzativa soffochi la creatività; la domanda è come figure o momenti creativi possano trovare realisticamente spazio e tempo in realtà imprenditoriali medio-piccole, le più diffuse in Italia. 
Il rapporto tra mondo professionale e ricerca universitaria sembrerebbe interrotto. Le economie di scala, o di rete, forse permetterebbero di liberare risorse da dedicare attivamente alla riflessione progettuale? A fronte di una fortissima accelerazione che la rete ha dato al processo di circolazione dei modelli un nuovo ruolo che le riviste di architettura dovrebbero responsabilmente assumere è di guide critiche anche a una navigazione esperta, selettiva, integrata con attività strutturanti di crescita (workshop, convegni, stage) a livello internazionale, esperienze che appaiono, a un primo bilancio, i momenti più importanti per la costruzione degli strumenti necessari a professionisti attivi: dinamismo dei contatti, potenziamento delle capacità di comunicazione e team building, trasversalità delle esperienze, efficacia di ruolo, competitività e ricerca dell’eccellenza.
Acquisire dati sul territorio e monitorare per dare evidenza della qualità è un primo passo per riflettere sui bachi di un sistema in fieri. È troppo presto per dare un giudizio su figure così giovani e pragmatiche nell’adeguarsi alla realtà da rispondere a essa con coerenza di codici e chiarezza di linguaggi, comprensibili da un pubblico sufficientemente vasto. Non serve chiedersi chi tra questi architetti tra quindici anni riuscirà a entrare nello star system mondiale, ma cosa si dovrà intendere per successo di una generazione.

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Last modified: 10 Luglio 2015