Visit Sponsor

Christine DesmoulinsWritten by: Interviste

Nella Biblioteca ho messo tutti gli elementi della mia architettura

Parigi. Il concorso internazionale per la Biblioteca nazionale di Francia a Parigi del 1989 lanciò Dominique Perrault (nato a Clermont-Ferrand nel 1953). L’architetto francese s’impose poi sulla scena mondiale con il velodromo e la piscina olimpica di Berlino e, più recentemente, con la grande estensione della Corte di Giustizia della Comunità europea in Lussemburgo, il Centro olimpico di tennis di Madrid (la «scatola magica») e l’Università femminile Ewha di Seoul. Per quest’ultimo intervento, in occasione dell’ultima Biennale di Venezia, dove era commissario del padiglione nazionale, Perrault ha ricevuto il premio Afex per l’architettura francese nel mondo. In Italia, alle torri pendenti degli hotel presso la Fiera di Rho sta facendo seguito la trasformazione di piazza Garibaldi a Napoli, con la realizzazione di un «quartiere delle stazioni», di un polo multifunzionale e di un giardino. A Salerno, invece, Perrault ha progettato un polo culturale all’interno delle ex cave, mentre a San Pellegrino è stato scelto per ripensare il centro termale. In Giappone, l’inaugurazione della torre Fukoku a Osaka alla fine dell’anno scorso ha coinciso con la presentazione di una mostra monografica a lui dedicata presso la Tokyo Opera City Art Gallery. Infine, quest’anno Perrault consoliderà la sua attività in Francia e proseguirà il suo giro del mondo con le torri DC di Vienna (le più alte della capitale), il palazzo dei congressi di León (Spagna), la pianificazione urbanistica del quartiere europeo di Sofia e del nuovo quartiere della stazione ferroviaria di Locarno.

Negli ultimi anni lei ha lavorato in molti paesi. Quali differenze ha riscontrato tra l’Asia e l’Europa?
In Asia tutto è più rapido e dinamico. In Europa, chi ha il potere decisionale tende sempre più a nascondersi dietro le procedure. Così lo scenario diventa a volte poco stimolante. Se fino alla sua realizzazione la Biblioteca nazionale di Parigi aveva rappresentato per noi un grande valore aggiunto per la nostra immagine all’estero, in Francia, in realtà, aveva frenato il nostro sviluppo. Dalla mostra monografica nel 2008 presso il Centro Pompidou, la nostra posizione in patria si è tuttavia consolidata grazie a numerosi progetti, dal palasport di Rouen al museo Dobrée di Nantes, passando per il grande teatro di Albi o gli uffici e le residenze di Lille.
In Francia, in genere, l’architetto è il responsabile di un’equipe di lavoro e si occupa anche degli aspetti ingegneristici, mentre in molti altri paesi l’ingegnere ha un contatto diretto con il committente. Nel caso dei nostri progetti internazionali, la firma del permesso di costruzione spetta ai nostri associati locali salvo quando si creano delle nostre sedi distaccate come in Lussemburgo o a Madrid. In Italia, la situazione è problematica. Abbiamo operato in perfetta armonia con i committenti della Fiera di Milano o con la Metropolitana di Napoli, che ha un ufficio di ingegneria col quale lavoriamo con un contratto «design-build», come avviene in Asia. Tuttavia, quando la Città di Salerno o i committenti delle terme di San Pellegrino [gruppo Percassi, n.d.r.] affidano i nostri progetti ad altri architetti affinché ne traggano ispirazione, questo diventa motivo di scontro.

Limpida, potente, la Biblioteca nazionale di Francia poggia su un vuoto incorniciato da quattro torri. Il vuoto come elemento costituente dell’architettura e del paesaggio è un tratto distintivo delle sue opere così come il ricorso al tessuto metallico. Come si è evoluto il suo lavoro rispetto agli esordi?
Non si tratta di un’evoluzione, ma di una presa di coscienza. Nella Biblioteca si ritrovano già tutti gli elementi che ho sviluppato in seguito. La nozione di vuoto, ad esempio, è presente nel progetto dell’Università Ewha come in quello del velodromo o della piscina di Berlino. Con i suoi tetti apribili e la sua polivalenza, la «scatola magica» di Madrid cambia forma in base al suo utilizzo; inoltre, l’involucro a maglia metallica, di volta in volta filtrante, riflettente o opaco, scintilla durante il giorno e lascia filtrare la luce di sera. Il tessuto metallico della Corte di giustizia invece evoca luoghi simbolici. Istituzione grande e unica nel suo genere, come la Biblioteca nazionale di Francia, questo complesso dotato di una forte di mensione simbolica ne è uno sviluppo diretto. Nel caso della Corte di giustizia, però, cemento, metallo e legno sono declinati in modo diverso. Nel corso del tempo, abbiamo forse acquisito maggiore esperienza e abilità che ci consentono di adattare il nostro lavoro a scale differenti. Il concetto d’incisione e la «fuga» dell’Università di Seoul verso il paesaggio circostante sono in tal senso scelte progettuali consapevoli ed esplicite. E tra i vari progetti, quello coreano è forse il più compiuto.

Come si realizza questo rapporto con il paesaggio nel caso di una torre alta e sottile come quella di Barcellona, o nel caso della torre Fukoku di Osaka che dialoga con un paesaggio verticale?
Le torri cui lavoriamo sono raramente oggetti singoli: sono state due a Milano, quattro per la Biblioteca di Francia e presto saranno tre per la Corte di Giustizia in Lussemburgo. Abbiamo quindi l’opportunità di lavorare su progetti in cui ciascuna torre dialoga con il suo alter ego. L’hotel ME di Barcellona comprende due torri congiunte e sfalsate che creano una sporgenza a 25 metri di altezza da terra e, nella parte alta, una «antenna» di 25 metri visibile da ogni angolo della città. Grazie a questa morfologia, si sfugge alla nozione di edificio singolo. Il dialogo che s’instaura tra due oggetti introduce un punto di vista sul paesaggio e sull’urbanistica. La torre Fukoku, collegata al centro commerciale sotterraneo della città da cui attinge la sua energia, è pienamente connessa al suo contesto geografico e urbano, in particolare grazie al gioco di specchi incastonati nella facciata che riflettono l’ambiente circostante.

Di fronte al proliferare d’improbabili immagini, il suo linguaggio dà forma a un’architettura contemporanea che oltrepassa i confini del tempo. Si può dire che lei s’ispira ai grandi architetti razionalisti e ai grandi costruttori?
Le mie costruzioni più datate, come l’Esiee a Marne-la-Vallée, sono sempre attuali. La permanenza è importante perché quegli edifici trasformano la città, e ciascun luogo è molto più che la sua architettura. L’essenziale non è dunque la postura artistica o lo stile architettonico, ma il fatto di applicare delle informazioni e delle strategie politiche a dispositivi architettonici pensati come strumenti urbani di produzione.
La produzione industriale è legata all’economia del progetto, e ogni grande progetto si fonda su un contesto specifico. Tale mescolanza impone un dispositivo di volumi e forme e il loro radicamento sul sito. Il progetto si trova all’incrocio di un fascio di concetti. Non si tratta più di questioni d’immagine o d’istinto; col passare degli anni ho acquisito consapevolezza rispetto a ciò che produco. La Biblioteca nazionale di Francia era legata in larga parte a un’intuizione. A poco a poco però i concetti si fanno più leggibili, e questo fatto mi consente di giocare con i concetti stessi. In quegli anni, la Biblioteca immetteva un grande vuoto tra quelli della ferrovia e della Senna; era quindi una proposta sorprendente che poteva anche sembrare assurda. A mio avviso, la Biblioteca conserva ancora oggi tutta la sua chiarezza espressiva, ma non saprei dire se mi consentirebbero ancora di costruire un edificio simile. La «scatola magica» madrilena con il suo tetto apribile è un altro oggetto architettonico rischioso, tanto per il cliente quanto per l’architetto e l’ingegnere. Con quella sua immensa sporgenza, la torre di cemento e metallo di Barcellona è anch’essa un’opera da costruttore.
In Germania e in Italia, la scuola razionalista ha avuto un senso grazie ad architetti formidabili come Gropius e Terragni. Per me il razionalismo è una forma di intelligenza che consiste nel saper distinguere ciò che è giusto da ciò che è inutile e inappropriato. Tale nozione presuppone di adottare una posizione identificabile che si collochi al posto giusto, nel momento giusto e con giusta misura, al fine di creare un luogo da vivere di qualità tangibile. Il mio obiettivo è di sviluppare in ciascun contesto questa idea di dispositivo per stabilire una relazione di forme e volumi in armonia col luogo, cercando di «dosarle» con cura, dalla concezione del progetto alla sua realizzazione. In questo modo, la verità trionfa, anche se, in preda a mille dubbi, mettiamo continuamente il progetto in discussione. I nostri modelli, i piani e i prototipi cercano di avvicinarsi il più possibile alla realtà. Tra il disegno della «scatola magica» e la realtà non ci sono pressoché differenze! Evitare di raccontarsi bugie è di fondamentale importanza oggi, quando tutti possono disegnare e copiare via internet a discapito di una seria riflessione. Noi lavoriamo personalmente ai disegni riguardanti l’esecuzione di parti che conferiscono significato all’architettura, anche quando l’opera è in fase di costruzione. La ripartizione dei compiti tra noi e i nostri associati locali varia quindi in base al progetto poiché è nostra abitudine occuparci degli aspetti cruciali dell’opera nella loro interezza.

Che cosa vi seduce di questo mestiere e che cosa vi irrita?
Il fatto che questo mestiere sia sempre aperto all’insieme delle grandi questioni della società lo rende stimolante. Lo sviluppo urbano, il paesaggio, le tecnologie e l’economia s’intersecano e questo dà un valore all’architettura. Resta dunque un grande mestiere concettuale. Sul piano operativo, invece, l’opacità crescente delle procedure sta diventando opprimente. Quanto ai committenti e alle imprese, siamo ben lontani dagli anni eroici delle grandi opere, dei grandi progetti e dei grandi costruttori.

Autore

  • Christine Desmoulins

    Giornalista e critica di architectura francese, collabora con diverse riviste ed è autrice di numerose opere tematiche o monografiche presso diverse case editrici. E’ anche curatrice di mostre: in particolare «Scénographies d’architectes» (Pavillon de l’Arsenal, Parigi 2006), «Bernard Zehrfuss, la poétique de la structure» (Cité de l’Architecture, Parigi 2014), «Bernard Zehrfuss, la spirale du temps» (Musée gallo romano di Lione, 2014-2015) e «Versailles, Patrimoine et Création» (Biennale dell'architettura e del paesaggio, 2019). Tra le sue pubblicazioni recenti: «Un cap moderne: Eileen Gray, Le Corbusier, architectes en bord de mer» (con François Delebecque, Les Grandes Personnes et Editions du Patrimoine, 2022)

    Visualizza tutti gli articoli

About Author

(Visited 121 times, 1 visits today)
Share
Last modified: 10 Luglio 2015