Utrecht (Olanda). Vi ricordate la famosa Schröder House e laltrettanto acclamata sedia rosso blu, le due opere di Gerrit Thomas Rietveld (1888-1964) che hanno segnato la storia dellarchitettura a cavallo fra il primo e il secondo decennio del XX secolo? Bene, dimenticatele. La mostra «Rietvelds Universe» allestita al Centraal Museum con curatela di Ida van Zijl e Linda Vlassenrood del Nai, ha lobiettivo di ampliare lo sguardo verso lopera dellarchitetto olandese, noto per essere stato un falegname reinventatosi architetto, collocandola allinterno di un contesto internazionale. Lintento dei curatori, come si legge nella prefazione al catalogo di accompagnamento, è quello di presentare non solo un Rietveld fuori da quel provincialismo di cui spesso è stato accusato da storici e critici doltreoceano, ma di sottolineare le dirette e poco ovvie interrelazioni con il Movimento moderno di cui era parte integrante. Ma se il catalogo (edito da Nai Publishers e curato da Ida van Zijl, Rob Dettingmeijer, Marie-Therese van Thoor) presenta unampia e documentata ricerca su quelluniverso transnazionale, condotta fin dal 2006 dallarchivio di Rietveld grazie a una partnership con luniversità di Utrecht e il Politecnico di Delft, la mostra si basa su meri e scarni parallelismi visivi fra larchitetto di Utrecht e i suoi colleghi stranieri. Poche opere presentate, qualche progetto architettonico, molti di quei mobili che hanno erroneamente segnato Rietveld come disegnatore di arredi a vita. Se le intrinseche relazioni con Mies van der Rohe, Le Corbusier, Frank Lloyd Wright e altri esponenti del panorama architettonico di quegli anni vengono sezionate minuziosamente nel catalogo, nella mostra tutto scompare in un blob iconografico alla maniera olandese. La mostra è divulgativa nel senso negativo del termine, squalificando il valore scientifico di tutta loperazione. Forse i curatori hanno pensato di attuare quella volgarizzazione di un linguaggio sofisticato che già Rietveld mise in pratica (come il bel saggio di Maristella Casciato ci racconta) attraverso parte della sua produzione residenziale?
Lorganizzazione stessa della mostra fa però con preoccupazione pensare ad altro. Cè unabitudine tutta olandese di presentare la mostra di architettura come una Disneyland dimmagini, modellini, video in cui i non addetti ai lavori si perdono inesorabilmente in una confusione di molteplici interpretazioni. Se il breve ma denso contributo al catalogo di Antony Alofsin sottolinea quanto la natura delle influenze stilistiche sia problematica di per sé, la mostra ci catapulta di fronte allaccostamento di disegni in un intreccio nel quale a un certo punto si perde lorientamento. La ciliegina sulla torta: la misera audioguida con brani di registrazioni di Rietveld stesso riguardo ad alcune opere, poche, presentate con qualche aneddoto.
«Rietvelds Universe», Centraal Museum Utrecht, fino al 30 gennaio