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Antonio AngelilloWritten by: Forum

La Milano che cambia: riflessioni in 10 punti

In questo numero il Giornale fa il punto sulle politiche territoriali e sui principali progetti di trasformazione in corso e in previsione per Milano. La città sta vivendo profondi cambiamenti, governati da strategie di cui le elezioni amministrative di marzo potrebbero decretare o meno la conferma. Dai contributi pubblicati in queste pagine emerge una serie di criticità qui sintetizzate. Invitati a discuterne, il sindaco uscente Letizia Moratti e l’immobiliarista Salvatore Ligresti hanno gentilmente declinato.

1. È noto che Milano rappresenti attualmente uno dei più dinamici mercati immobiliari europei e contemporaneamente il luogo dove si concentrano e si depositano storicamente, a diversi livelli, gli interessi finanziari di tutto il resto d’Italia.
2. La continuità politica dei tre livelli amministrativi tra Comune, Provincia (escludendo solo le giunte Tamberi e Penati) e Regione che si verifica dal 1993 ha permesso per la prima volta in Italia di sperimentare senza ostacoli sul campo le politiche territoriali che privilegiano i principi della deregulation e di un maggior spazio all’azione dei privati. L’antico Prg, che «regolava» cioè gli interessi privati e pubblici, è stato messo in soffitta con tutto il suo bagaglio riformista. Non si può quindi negare che l’attuale condizione del territorio milanese sia il risultato di tali politiche.
3. Il primo risultato del federalismo consiste nella delega alle regioni della legislazione urbanistica: una legge regionale ha quindi permesso di rielaborare l’intero impianto normativo, rendendo possibile ai singoli comuni di dotarsi di strumenti ad hoc. Nel caso di Milano sono stati rielaborati e sono in fase di approvazione i tre principali piani: Pgt (Piano del governo del territorio; Comune), Ptcp (Piano territoriale di coordinamento provinciale), Ptr (Piano territoriale regionale). In sintesi, la filosofia che guida tali politiche consiste nella riduzione del peso specifico dell’ente pubblico all’interno della pianificazione del territorio, a fronte di un maggior impegno degli investitori privati nella seguente modalità: taglio del bilancio e dell’organico degli uffici di pianificazione ed edilizia privata, snellimento delle procedure di approvazione e di controllo; interpretazione più ampia nell’applicazione degli standard urbanistici; impiego della contrattazione al fine di ottenere benefici pubblici a fronte della libertà del modo con cui si ottengono profitti dall’investimento; messa a disposizione sul mercato di aree per incentivare l’edificazione e incassare gli oneri di urbanizzazione; liberalizzazione del mercato degli affitti e delle vendite con riduzione del ruolo calmieristico dell’ente pubblico, operato tradizionalmente dall’ex Istituto autonomo case popolari.
4. Le aree industriali dismesse sono state negli ultimi 20 anni la grande risorsa di sviluppo immobiliare per Milano. Nel limbo prodotto dalla mancanza del nuovo piano si è operato per singoli progetti, lasciando un maggior spazio ai privati sul disegno morfologico di parti di città.
5. I grandi gruppi immobiliari, che si possono contare sulla punta delle dita, si sono accaparrati tra la fine degli anni ottanta e gli inizi dei novanta tutte le aree edificabili (e non) concordando i benefici previsti per norma direttamente con i responsabili delle amministrazioni pubbliche. Questo ha aperto un’ampia area di contiguità/conflittualità in cui coesistono gli interessi della rappresentanza politica e quelli dei grandi gruppi proprietari delle aree. L’Expo è solo un esempio; i quotidiani locali sono pieni di casi analoghi.
6. Le numerose archistar o presunte tali che hanno risposto all’appello della nuova politica immobiliare hanno sconvolto, sotto gli occhi degli ordini professionali e del Politecnico, lo skyline urbano con grattacieli più adatti alle nuove megalopoli orientali che a una città che ha fatto di sé l’immagine di eleganza e di stile nell’architettura e nel design. Niente a che vedere con la storia del Movimento moderno, che ha realizzato la città che conosciamo tra anni trenta e cinquanta.
7. Il «blocco immobiliare» che va dalla rete delle piccole agenzie controllanti il mercato dell’usato alle cooperative, alle società costruite ad hoc, ai grandi gruppi che gestiscono le nuove realizzazioni definisce prezzi, tempi e modalità di vendita in modo tale che (giustamente) nessun privato ci rimetta. È quindi l’oligopolio immobiliare a incassare la maggior parte dei benefici delle grandi operazioni; operazioni che immettono sul mercato, a prezzi che in altri luoghi non sarebbero competitivi, uffici e residenze risultati da uno scarso investimento nella ricerca tecnologica, nella varietà dei tipi edilizi, nella qualità degli spazi privati e pubblici; con buona pace degli studi sulla tipologia edilizia e sulla morfologia urbana, nati proprio al Politecnico di Milano negli anni settanta.
8. C’è da domandarsi se i nuovi piani in approvazione riusciranno a restituire all’amministrazione il ruolo guida nella gestione del territorio, a riequilibrare lo sviluppo verso interessi più aderenti alla collettività, a rendere accessibili gli alloggi anche alle fasce più deboli della popolazione, a creare spazi adeguati al mondo variegato delle imprese, a creare una città più attraente per le famiglie.
9. Al momento una cosa è certa: a pagare l’attuale performance di listino dei grandi gruppi immobiliari è la collettività locale, che dovrà ripartirsi nelle prossime generazioni anche i danni sociali e ambientali prodotti da uno sviluppo senza controllo.
10. È vero che Milano drena risorse finanziarie dal resto d’Italia, ma queste non vengono investite in attività innovative. Una società che investe prevalentemente sulla rendita immobiliare anziché sulle attività produttive è una società parassitaria e in declino, il cui motore economico è destinato a perdere potenza, come è dimostrato dalla perdita di competitività internazionale e dalla recente notizia del declassamento di Milano nel settore in cui si ritiene più all’avanguardia, quello dell’alta moda.

Autore

  • Antonio Angelillo

    Nato a Gorizia nel 1961, dopo la laurea in architettura a Venezia nel 1986 svolge un tirocinio con Alvaro Siza a Porto e dal 1989 al 1997 è redattore di «Casabella», pubblicando articoli e servizi sui fenomeni emergenti che attraversano l’architettura e la città contemporanea. Nel 1994 fonda il Centro Italiano di Architettura ACMA, di cui è direttore, e nel 2014 la piattaforma editoriale web paesaggio.it. Attraverso le svariate iniziative internazionali organizzate con ACMA e le frequenti pubblicazioni, in Italia ha contribuito a sensibilizzare alle problematiche connesse alle trasformazioni del paesaggio. Svolge attività di consulenza per enti ed amministrazioni. Per conto del MiBACT ha realizzato la procedura di selezione italiana per il Premio del Paesaggio del Consiglio d’Europa. Dal 1986 svolge attività di ricerca e di docenza a contratto tenendo laboratori e corsi presso diverse università italiane (Venezia, Milano, Ferrara, Roma, Trento, Napoli, Cagliari, Perugia, Sassari). Dal 2008 è co-direttore del master in Architettura del Paesaggio della Universitat Politécnica de Catalunya di Barcellona organizzato da ACMA a Milano, nonché dei seminari internazionali estivi “Rifare paesaggi” realizzati in collaborazione con la Città di Lisbona.

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Last modified: 13 Luglio 2015