Visit Sponsor

Bruno PedrettiWritten by: Reviews

Ho un buon amico: il passato

Rovereto (Trento). Memoria biografica, culturale e disciplinare: è su queste tre forme che prosperano i giudizi sulla produzione artistica meritevole di essere segnalata, quindi ricordata. Ma non mancano purtroppo gli equivoci. La prima memoria si lascia infatti sedurre da anacronistici culti della personalità; la seconda è spesso viziata dall’ansia di allungare gli elenchi già intasati dei nostri famedi; la terza rischia a sua volta di ridursi a rivendicazione corporativa dell’autonomia di una specifica arte. Privilegiando l’una o l’altra di queste memorie, è inevitabile che ne faccia le spese la complessità del significato delle opere, dei loro autori e delle culture di cui sono portatori.
La mostra «Mario Botta. Architetture 1960-2010», allestita al Mart da lui stesso progettato a cavallo del millennio, in un aspetto va dunque particolarmente apprezzata: propone un possibile ricongiungimento delle diverse memorie artistiche. Non saprei dire se ciò fosse chiaro sin dalle prime intenzioni; o se il risultato, come talvolta accade, sia diventato un’intenzione a posteriori. Fatto sta che l’esposizione sembra volersi muovere su questo delicato crinale.
Nel nostro mondo, stordito dalle strategie della notorietà personale, si potrebbe ritenere che anche tale mostra indulga in riti celebrativi a causa della grande visibilità che riserva ai segni dell’Io biografico del noto architetto svizzero. Eppure, proprio dove Botta sceglie di mettersi in scena con ricordi d’incontri, con opere d’arte che ne hanno segnato la formazione e immagini recuperate dallo scrigno amicale, egli chiede viceversa di vedere nella memoria soggettiva un tassello dei più ampi «debiti culturali» dell’autore e di conseguenza un mezzo per la costruzione di un linguaggio disciplinare che, lungi dal fermarsi all’individualità creativa, si fa «contestuale» in senso sia progettuale sia storico.
La prima sezione mostra l’«atlante» biografico dell’architetto, con una scelta di opere originali di Picasso, Klee, Tinguely, Dürrenmatt e altri, cui si affiancano richiami all’amata architettura romanica, così come a Giotto e naturalmente a Borromini. Matrici formative, frequentazioni artistiche e rievocazioni culturali convivono. Tanto che, inoltrandosi poi nelle sale delle vere e proprie architetture, ci si sente invitati ad accostare le circa ottanta opere presentate inserendole – secondo la formula usata dallo stesso Botta nella postfazione al ponderoso catalogo – in un «territorio della memoria» insieme privato, storico e disciplinare dell’architetto. I lavori esposti (tutti realizzati) si offrono così come i testimoni di quella «condizione di reciprocità tra il presente e il passato» che Botta ha deciso di esplorare cercando d’innestare sin dentro i principi del moderno «un’antichità del nuovo».
La mostra scorre suddivisa per tipi architettonici, passando dalle prime case unifamiliari in Ticino alle chiese e musei costruiti in mezzo mondo, per concludere con i lavori di design e scenografia, dove scopriamo allestimenti poco noti per il teatro d’opera. Nelle opere vediamo definirsi sempre meglio l’impronta dell’autore, ma questi pare tuttavia volersi sottrarre per lasciar riaffiorare gli intrecci di memorie che ne definiscono il linguaggio. È una peculiare etica dell’artefice messa peraltro in luce da vari contributi al catalogo e che lo stesso Botta ribadisce nella postfazione. In essa parla infatti di un’architettura che «si trasforma da azione singola in opera collettiva», afferma di non aver mai incontrato nessun «creativo» che non avesse «debiti culturali» e, affinché non sussistano dubbi circa la sua dichiarazione di poetica, pone a epigrafe una citazione da Louis Kahn: «Il passato come un amico».

Autore

  • Bruno Pedretti

    Scrittore e saggista milanese, da anni è docente presso l’Accademia di architettura - USI a Mendrisio. Ha lavorato per le case editrici Einaudi e La Nuova Italia. Ha curato le pagine culturali di «Casabella» ed è stato tra i fondatori de «Il Giornale dell’Architettura». È autore di saggi su arte, architettura, estetica: Il progetto del passato (1997), La forma dell’incompiuto (2007), Il culto dell'autore (2022), e di testi letterari: Charlotte. La morte e la fanciulla (1998, nuova ed. 2015), Patmos (2008), La sinfonia delle cose mute (2012), Il morbo della parola. Una tragedia (2020), Memoria della malinconia (2022). Ha partecipato alla curatela di mostre: Carlo Mollino architetto 1905-1973: costruire le modernità (Archivio di Stato, Torino 2006-2007), Gillo Dorfles. Kitsch: oggi il kitsch (Triennale di Milano, 2012), e curato personalmente: L’immagine maestra. Opere di Arduino Cantafora e dei suoi atelier (Museo d’arte Mendrisio, 2007) e Charlotte Salomon. Vita? o Teatro? (Palazzo Reale, Milano 2017)

    Visualizza tutti gli articoli

About Author

(Visited 84 times, 1 visits today)
Share
Last modified: 13 Luglio 2015