Bologna. «La produzione è il mezzo di comunicazione più efficace del nostro tempo, un mezzo che può essere usato come veicolo di stupidità o di civiltà». Con queste parole si apre «Dino Gavina. Lampi di design»,mostra che sviscera il rapporto tra questo «anomalo» imprenditore bolognese (1922-2007) – come lha definito Beppe Finessi nel catalogo pubblicato da Corraini – e gli artisti, i designer, gli architetti di cui si è circondato per tutta la vita: Lucio Fontana, Marcel Duchamp, Man Ray, Sebastian Matta, i fratelli Castiglioni, Marcel Breuer, Carlo e Tobia Scarpa, Kazuhide Takahama, Luigi Caccia Dominioni. Unavventura industriale (basti pensare alle varie incarnazioni produttive che ne hanno segnato il percorso: Gavina,Simon International, Flos, Sirrah, Simongavina Paradisoterrestre), ma anche e soprattutto intellettuale. Con Gavina, Bologna diviene patria di un intero mondo creativo. A inizio anni sessanta è questa città – e non Milano – la culla del design italiano e internazionale; qui trovano una seconda casa gli artisti e i «bravi architetti» (per usare unespressione di Fontana) in cui Gavina simbatte. Alcuni, come il giapponese Takahama, vi si stabiliranno per sempre.
Ogni sezione del percorso espositivo, articolato per nuclei tematici (uno per collaborazione, più le eccezioni di Flos e Sirrah) propone foto, disegni e modelli che raccontano, anche grazie al dettagliato apparato descrittivo, la costante ricerca nel progetto e nel processo produttivo. Questa suddivisione, pur nella sua didascalicità, non risulta banale. Gli oggetti presentati, realizzati a partire dal 1950 (molti ancora in produzione), spaziano nei campi dellarredamento, dellilluminazione e dellarredo urbano. Molteplici sono i fili conduttori che si possono individuare: limportanza dello strumento comunicativo, lapplicazione dei principi delle avanguardie (primo fra tutti, il ready made) al design, la serialità, lutilizzo dei materiali.
Lesposizione presenta due appendici, una presso lUrban Center Bologna (Sala Borsa)e laltra presso le rinnovate torri dellacqua di Budrio, dove si approfondiscono particolari aspetti del suo lavoro: i progetti di arredo urbano e il rapporto con gli artisti (in particolare, Alessandro Aldrovandi e Tatsunori Kano). Per la durata della mostra, sono inoltre in programma visite guidate e conversazioni con un nutrito gruppo di amici e colleghi di Gavina.
Tuttavia, nel frattempo, unombra scura si allunga sulle sorti del MAMbo: lallarme è scattato a causa della cospicua riduzione dei fondi comunali, dimezzati dal 2008 a oggi. In queste condizioni, secondo i vertici dellistituzione museale, si rischia di non riuscire a garantire lapertura per il 2012 e di non poter programmare mostre di rilievo. Starà ai futuri amministratori della città (al momento ancora commissariata) riannodare i fili del dialogo, interrotti da almeno un biennio.
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