Bologna. Di un nuovo obolo per San Petronio non se ne parla. I bolognesi lo hanno già pagato per secoli tra il 1390 e il 1663, e ora la loro attenzione è volta piuttosto a Santo Stefano che, avendo in una ben «sette chiese», moltiplica le necessità di restauri fino a 3 milioni, richiesti con i toni dellemergenza dai padri olivetani che la gestiscono. Così oggi «SalviAmo Santo Stefano» è anche il grido sui pettorali della Enjoy Gran Zinella, la squadra di volley bolognese. Un progetto di restauro è anzitutto un progetto di comunicazione e «Il Resto del Carlino» ha saputo trasformare lannunciata catastrofe in un motore di eventi che coinvolge Coni e Uisp, panificatori e Coldiretti, Hera e Atc, bersaglieri e scout e tutti i cittadini di buona volontà che potranno fare la propria offerta nei conti correnti aperti per loccasione e vedere i loro nomi scritti «in cielo», si sarebbe detto una volta ma, ora che il cielo è vicino, si dice «sul web»: e con tanto di cifra versata.
La convergenza mediatica su Santo Stefano rischia di lasciare nellombra altri monumenti ugualmente ammalorati. La primavera scorsa è caduto dalledicola trecentesca del Rendentore alla sommità della facciata di San Giacomo Maggiore (40 metri dal suolo) un elemento lapideo che si fatica a definire frammento: una zampa di leone stiloforo. La provvidenza, che ha decretato benevolmente che nessuno ne venisse graffiato, ha così assicurato poca visibilità agli improcrastinabili restauri, che la soprintendente ai Beni architettonici Paola Grifoni sta avviando con le sole finanze della propria istituzione. Dalla grande volta della seconda campata percolava solo dellacqua ma qui la Soprintendenza aveva già avviato i lavori e larchitetto Graziella Polidori è riuscita a ricollocare le antiche tegole «squamate» su questa articolata copertura di vele rinascimentali che sostituirono le capriate medievali, aumentando il fascino della chiesa ma pregiudicandone assai la statica.
Su questi antichi edifici di culto i restauri non si possono più pensare come interventi occasionali e definitivi, ma come una terapia cronica, da antica fabbriceria medievale. Quella di San Petronio esiste ancora ma con pochi dipendenti e sempre più scarsi bilanci, tali da rendere la chiesa un patchwork di tecniche e dinterventi, se non per i grandi restauri condotti negli anni novanta da Domenico Rivalta della Soprintendenza sulla carpenteria di copertura e sullestradosso delle volte, e quelli degli anni settanta di Otorino Nonfarmale sulla parte marmorea della facciata, inventando quel «Bologna cocktail» che riportò il portale di Jacopo della Quercia al centro del dibattito scientifico internazionale. Tuttavia un restauro sullintera facciata, per i suoi 55 metri daltezza, non era mai stato tentato, e un piano di coordinamento dei diversi interventi sulla basilica (la quinta della cristianità cattolica) non poteva più essere prorogato: la Diocesi non grida allallarme ma confeziona un progetto, nominato «Felsinae Thesaurus», in cui i restauri divengono parte di un programma culturale complesso che prevede tanto la presentazione della basilica e del suo antico cantiere, quanto proiezioni multimediali e visite guidate. La fine lavori è prevista per il 2013: 350 anni dopo la conclusione della fabbrica. Lobolo, questa volta, lo garantiscono le istituzioni bancarie (Fondazione Cassa di Risparmio in Bologna, Carisbo, Unicredit, Banca Popolare dellEmilia Romagna e Banca di Bologna) che agiscono in cordata per un primo lotto di lavori da 1,2 milioni, buona parte dei quali profusi in ponteggi, larghi ben 7 metri per i primi 22 metri di paramento marmoreo, e tre metri fino alla sommità della chiesa, per la prima volta interamente velata a consentire un faccia a faccia con la muratura che lascia presagire un lavoro accurato. La progettazione è stata affidata a un gruppo di esperti coordinati dagli architetti Roberto Terra e Guido Cavina, che svolgeranno anche la direzione lavori, mentre la diagnostica della parte lapidea è a cura dellOpificio delle Pietre Dure di Firenze, che vaglierà le tipologie dintervento.
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