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Chandigarh dietro le quinte

Come ha scritto Stanislaus von Moos in uno dei saggi introduttivi a Chandigarh 1956, a meno di una pluralità di varianti intermedie, la fotografia d’architettura inevitabilmente oscilla tra due diversi generi: da un lato, immagini commissionate da architetti o clienti, imprese di costruzione, musei o istituzioni, che celebrano l’edificio esaltandone, a seconda dei casi, la purezza formale, la concezione spaziale o il primato tecnologico; dall’altro immagini ambientate in una scena architettonica, destinate a veicolare
messaggi, non intenzionalmente attinenti il mondo della costruzione e della professione architettonica. Nel primo genere ricade la fotografia di cantiere, da sempre potente strumento retorico al servizio dell’impresa, dei committenti e dei tecnici, ma di questo gruppo sono le fotografie che gli architetti commissionano ai fotografi, a costituire il nucleo più consistente, oggetto, ormai da qualche anno, di un
autonomo e fiorente mercato del collezionismo. Ed è fuor di dubbio che soprattutto le foto d’autore delle architetture abbiano rappresentato un elemento fortemente condizionante, finanche un ostacolo, ai modi in cui certe opere sono state lette nel corso della storia, ad esempio cristallizzandone l’immagine alla fase
della loro prima giovinezza, ignorandone i cambiamenti subiti e i segni del tempo. La rassegna di fotografie scattate alla metà degli anni cinquanta nella capitale del Punjab dal fotoreporter svizzero Ernst Scheidegger, solo recentemente pubblicata dalla casa editrice zurighese da lui fondata nel 1962 nell’elegante edizione bilingue, inglese e tedesca, illustrata da poco meno di 300 scatti in bianco e nero e a colori, appartiene alla categoria del reportage piuttosto che a quella delle foto a scopo promozionale, costituendo così una benefica eccezione nel panorama della pubblicistica illustrata di architettura. Come ha scritto von Moos, l’anno che dà il titolo alla rassegna, il 1956, non è certamente un anno chiave nella storia dell’architettura contemporanea, ma si può tuttavia considerare il momento in cui Chandigarh inizia ad affermarsi, almeno nella letteratura specialistica, come uno dei più prolifici laboratori di una nuova idea d’architettura e città. Oggetto, ancor prima di essere inaugurata, di campagne fotografiche, da parte, oltre a Scheidegger, di Lucien Hervé, la nuova capitale dello stato del Punjab suscita da subito l’attenzione di fotogiornalisti ed etnografi. L’8 febbraio di quell’anno Le Corbusier consegna la versione finale del progetto, mentre la decisione di cancellare dal piano la costruzione dell’originario monumentale Palazzo del Governatore, giudicato incompatibile con il programma democratico del nuovo governo e la concomitante istituzione dell’Università di Chandigarh, si accompagnano ai primi riscontri nella pubblicistica di settore: il numero speciale dedicato all’India de «L’Architecture d’Aujourd’-hui» nell’agosto di quell’anno e la pubblicazione di Architektur und Gemeinschaft, di Siegfried Giedion, prima versione in tedesco del più diffuso Architecture You and Me, sanciscono questa città letteralmente costruita dal nulla come indiscussa «Mecca dell’architettura e dell’urbanistica contemporanea». Malgrado ciò, Chandigarh stenterà a entrare nei circuiti dell’attenzione mediatica internazionale e i suoi edifici pubblici, a differenza di quelli di Brasilia, non saranno mai parte di una politica di costruzione dell’immagine nazionale di portata e ambizioni comparabili a quella promossa dal governo di Juscelino Kubitschek intorno ai progetti di Costa e Niemeyer. Come nasce questo libro? Dal 1954, Ernst Scheidegger, fotografo dell’agenzia Magnum, compie una serie di viaggi nel sito della futura capitale con l’intenzione di documentarne le fasi di costruzione. Nel lavoro di Scheidegger le architetture diventano la scena quasi naturale della vita quotidiana della città: il contrasto tra i progetti degli edifici e i modi in cui questi saranno usati e occupati è forse l’elemento di maggior interesse, al quale solo in rari casi la fotografia
di architettura ha prestato attenzione. Mentre le foto della città in costruzione restituiscono i ritmi di un lavoro ancora largamente artigianale, mostrando i volti di una manodopera locale tra cui si riconoscono gli stessi destinatari degli edifici, le immagini della vita ordinaria offrono un ritratto insolito di un’opera-
icona da sempre conosciuta quasi esclusivamente attraverso le superfici, i volumi e gli spazi rigorosamente vuoti delle sue architetture. Un rapido sguardo alla cronologia aiuta a precisare il valore di
questa pubblicazione: nell’agosto 1947 l’India ottiene l’indipendenza dalla Gran Bretagna; il subcontinente si scinde in due nazioni, il Pakistan (musulmano) e l’India (a maggioranza indù). Lahore, l’antica capitale
dello stato del Punjab si trova ora in territorio pakistano: la costruzione di un nuovo polo amministrativo
si presenta come un’istanza urgente. Com’è noto, l’incarico della progettazione di un masterplan è dapprima affidato a Albert Meyer: dal gennaio al luglio 1950 l’urbanista nordamericanolavora alla stesura di un piano che nelle intenzioni del primo ministro Jawaharal Nehru deve rappresentare «il tempio della
nuova India». Sarà l’improvvisa morte di Matthew Nowicki, nominato da Meyer architetto capo della città, alla fine dello stesso 1950, a segnare un decisivo cambio di rotta nella vicenda progettuale, con l’improvviso ingresso sulla scena di Le Corbusier (affiancato dal cugino Pierre Jeanneret e dagli inglesi Edwin Maxwell Fry e Jane Drew) quale nuovo consulente architettonico e unico responsabile del complesso
capitolino. A breve distanza dall’uscita del catalogo Twilight of the Plan. Chandigarh, Brasilia pubblicato
dall’Accademia di Architettura di Mendrisio nel 2007, qual è il contributo originale di questo nuovo lavoro alla conoscenza di Chandigarh? Innanzittutto va riconosciuto come l’obiettivo di Scheidegger metta in luce alcuni materiali utili a ricalibrare ruoli e paternità nell’ideazione e realizzazione dell’opera: a risultarne
valorizzata è la responsabilità dei collaboratori di Le Corbusier, in primo luogo del cugino. Il libro è articolato in tre parti: la prima costituita dai saggi storici di Stanislaus von Moos e Maristella Casciato; quella centrale, destinata al reportage fotografico suddiviso in quattro sezioni (Città in costruzione; Abitazioni statali; Scuole e ospedali; Campidoglio); la terza, dedicata al progetto del libro proposto da Scheidegger all’editore Girsberger ma rimasto inedito.

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Last modified: 14 Luglio 2015