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Ma questa mostra non è da manuale

Montréal (Canada). Il mondo dell’editoria legata all’architettura ha registrato una crescita esponenziale nel corso degli ultimi decenni parallelamente al moltiplicarsi delle istituzioni votate allo studio e alla promozione della disciplina. Esiste senza dubbio un interesse generale per l’architettura, che si può dividere in tre filoni editoriali: i volumi illustrati per il grande pubblico, le opere saggistiche destinate a far riflettere e stimolare il mondo accademico e i manuali tecnici che seducono studiosi e professionisti alla ricerca di esempi in scala che offrano suggerimenti utili per la progettazione. Rispetto a queste tre prospettive delineate dall’editoria, divergenti ma complementari, la posizione dei musei è forse la più ambigua. Che cosa privilegiare? Le immagini, la teoria o la pratica? È possibile integrare diversi tipi di pubblico? Esiste un giusto equilibrio tra queste tre dimensioni? La mostra «Sur les traces de… fenêtres», presentata al Centre canadien d’architecture, intesse un confronto diretto con il mondo editoriale ispirandosi ai tre eleganti manuali della casa editrice Birkhaüser intitolati Basics che, sotto forma di piccola guida tecnica, riescono a combinare i principi (la teoria) e gli esempi (la pratica). La sintesi offerta da questi manuali è attenta ed equilibrata: sufficientemente sobria da concentrarsi sull’essenziale e documentata a dovere per stimolare l’immaginazione di studiosi e professionisti. La presentazione del manuale di Andreas Achilles e Diane Navratil (Basics: Glass Construction) diventa un’occasione per il Cca di svelare qualche frammento dei suoi archivi, come disegni e foto di dettagli o d’intere opere realizzate nel xx secolo e variamente caratterizzate dal progetto delle superfici finestrate. La mostra si snoda attraverso le bacheche del corridoio principale che conduce alle grandi sale espositive. Una certa inquietudine tuttavia assale il visitatore mentre avanza lungo il corridoio. I documenti d’archivio hanno senza dubbio un loro valore, ma la scelta di esporli da soli, sotto il patrocinio di Birkhaüser, solleva dei dubbi sul loro senso. Dobbiamo interpretarli come immagini che rappresentano un ideale da raggiungere? Esiste forse un codice per svelarne il messaggio? Ciò che si annunciava come una mostra orientata alla concretezza diventa, bacheca dopo bacheca, un’esposizione astratta. Tornando all’inizio, alla ricerca di un senso, si scoprono i nomi dei sei collaboratori, che sembrano decisamente troppi per un risultato così limitato. La delusione è sincera e si resta increduli di fronte a un progetto che appare troppo debole nei suoi esiti e troppo ambizioso nelle sue premesse. Non si tratta peraltro di un caso isolato. Le altre due esposizioni, «Other Space Odysseys: Greg Lynn, Michael Maltzan, Alessandro Poli» e «Iannis Xenakis: Composer, Architect, Visionary», più vaste e collocate nelle altre sale, sollevano le stesse perplessità riguardo ai criteri con cui sono state allestite in quanto oscillano tra le immagini, la profondità teorica e l’esperienza concreta. Un’impressione di disorientamento sorge dinnanzi all’eleganza delle forme e all’incomunicabilità del contenuto, che lascia trasparire una certa spossatezza. Il Cca sarà di nuovo in grado di emozionare e stimolare al contempo il grande pubblico, i ricercatori e gli architetti?

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Last modified: 18 Luglio 2015