Da «marchio» a «brand»
Un brand perfetto. Che cosa vuole dire? Che una marca, un brand (per dirla oggi nel dovuto modo), deve risultare funzionale allo scopo di comunicare un prodotto. Una mera questione di creatività o di perizia professionale? O forse questi erano elementi utili fino a pochi anni indietro, quando la grafica pulsava ancora di un «eroismo dialettico» dettato anche da curiosità ideologiche e passioni segnico-antropologiche? Ma oggi, che il mercato è cambiato verso asperità dove la competizione è tutto o quasi, dobbiamo forse rinunciare a valori intellettuali? Niente affatto, non occorre rinunciare a nulla di tutto quanto ci è stato insegnato, purché si abbia chiaro che tutto questo non basta più.
Oggi, infatti, per arrivare a definire un brand perfetto, si devono acquisire nozioni da un mercato mobile e velocissimo, pronto a modificare pelle (intendendo con ciò le forme di percezione e trasmissioni dei segni), così come occorre sviluppare capacità sintattiche utili a una comunicazione a tutto campo.
Pensiero, segno, azione e ricerca di marketing come elementi di una mobilità creativa e risolutiva. È quanto cinsegna il libro realizzato da Elio Carmi (che da esperto comunicatore ne ha curato anche la grafica) e Elena Israela Wegher. Brand D.O. aiuta a cogliere elementi dinnovazione non solo nella specificità della realizzazione di un marchio, ma sposta in modo definitivo il passaggio dalla voce ormai piuttosto obsoleta «marchio» al termine, certo più idoneo ai nostri tempi, «brand». E, sia ben chiaro, lo sposta con buona pace dei nostalgici avulsi dagli attuali sistemi di comunicazione che richiedono una creatività basata su ibride forme dingegnerizzazione tra marketing e comunicazione.
Una nuova formula di disincanto che il libro cinsegna senza negare nulla. La storia come valore di memoria, la «maestria» come conferma di una civiltà in evoluzione, la poetica come necessità dellumanità, lanalisi dei «brand» di successo come prova di qualità, le marcate descrizioni dei «metodi» di alcuni studi come verifica dei risultati. Moreno Gentili
Elio Carmi, Elena Israela Wegher, Branding. Una visione design oriented, Fausto Lupetti Editore, Bologna 2009, pp. 286, euro 28
Design e beni culturali
È opinione condivisa che il design, in ragione della sua natura aperta ed espansiva, risulti difficilmente inquadrabile in termini di confini disciplinari. La sua tendenza ad esplorare i limiti e contaminarsi con altri saperi può fargli assumere anche il ruolo di agente dinnovazione strategica e competitiva per la valorizzazione del patrimonio culturale. Questa è la tesi di fondo del libro (Re)design del territorio, sintetizzata nelle parole introduttive di Andrea Granelli, curatore del volume insieme a Monica Scanu: «il (re)design richiede capacità di lavorare sui materiali e gli stili antichi e, contemporaneamente, di introdurre le nuove tecnologie e plasmare gli spazi funzionali; ma richiede anche coraggio e capacità imprenditoriali, conoscenze economico-finanziarie e visione strategica». Per strutturare questa affermazione, la prima parte del testo offre una serie di contributi teorici che affrontano macro temi del dibattito contemporaneo, come leconomia e il design dellesperienza (legato in particolare al settore della cultura); presentano approfondimenti sul contesto nazionale, come le iniziative di sviluppo economico «Industria 2015» (lanciata dal ministero dello Sviluppo economico) e «Distretti tecnologici della cultura» (Regione Lazio); indagano le più moderne tecnologie per la valorizzazione dei beni culturali e, infine, sintetizzano i principali fattori che rendono il nostro paese un fertile campo di sperimentazione. Nella seconda parte sono invece presentati oltre trenta casi studio che rendono possibile valutare come la metodologia dellexperience design sia stata applicata alla riqualificazione di edifici antichi e moderni e di territori italiani. Le schede di presentazione, che includono uneterogenea casistica di esempi, aiutano a riflettere sugli assetti organizzativi e istituzionali messi in campo per progettare e gestire i complessi culturali, ma forniscono anche un valido strumento agli addetti ai lavori, grazie alle puntuali descrizioni delle tecnologie impiegate nei progetti. Si potrà avere un assaggio delle tematiche del testo durante il salone «DNA Italia», dedicato alle tecniche (tecnologie e metodologie) per la conoscenza, conservazione, fruizione e gestione del patrimonio culturale, in programma a Torino dal 1° al 3 ottobre. Elena Formia
Andrea Granelli, Monica Scanu (a cura di), (Re)design del territorio. Design e nuove tecnologie per lo sviluppo economico dei beni culturali, Fondazione Valore Italia, Roma 2010, pp. 239, euro 20
54 anni di ADI
Nellanno della 13° edizione del suo bestseller Storia del design (Laterza), lo storico napoletano Renato De Fusco vede andare finalmente in stampa anche il saggio dedicato alle vicende dellAssociazione per il disegno Industriale, a lui commissionato nel lontano 2005 in vista del cinquantenario del sodalizio. Il volume reca infatti in copertina il numero 50, a evocare la ricorrenza del 2006, e diventa loccasione per fare il punto «sullunico referente organizzato del design italiano» fondato nel 1956 per «tenere unite tante persone» (e tanti interessi) intorno al sistema prodotto. Chi progetta, chi investe capitali, chi produce, chi distribuisce, chi comunica e promuove: le molte anime del design (a eccezione dellutente finale) sono così rappresentate nellassociazione la cui origine è individuata nel 1952 in un articolo pubblicato su «Domus» in cui si propone, tra laltro, di censire i disegnatori industriali. La narrazione, organizzata attraverso una scansione temporale per decenni, attinge da materiale darchivio intrecciando la storia dellADI a quella del Compasso dOro, il premio istituito nel 1954 da La Rinascente. Attraverso la lettura dei programmi e degli obiettivi dei comitati direttivi, De Fusco individua alcuni temi che ricorrono attraverso i decenni: la formazione e qualificazione dei designer (battaglia culturale che avrà un parziale epilogo nella fondazione del corso di laurea in Disegno industriale prima, e della facoltà del Design presso il Politecnico di Milano dopo) o il tema centrale della professione del designer, fino allapparentemente meno importante costituzione di un museo. Completa lo scritto unutile appendice che raccoglie le testimonianze dei presidenti che si sono succeduti nei 54 anni di storia dellassociazione, una sintetica illustrazione della struttura dellADI e della sua Fondazione (costituita nel 2001) e un elenco dei componenti dei comitati direttivi, per la maggior parte professionisti che hanno fatto la storia del design in Italia. Pier Paolo Peruccio
Renato De Fusco, Una storia dellADI, FrancoAngeli, Milano 2010, pp. 326, euro 35