Parigi. La Semapa, società responsabile per la pianificazione della Rive Gauche di Parigi, incoraggia la varietà funzionale dei quartieri che costeggiano la Senna per una superficie di 130 ettari, di cui 70 di terreni e 28 ricavati da un piastrone che copriva la ferrovia. Si assiste anche a un ritorno (benvenuto per la capitale francese) di destinazioni duso universitarie, talvolta ospitate in edifici industriali ristrutturati come i Grands Moulins o la Halle aux Farines. Se si guarda a tale perimetro a partire dalla Biblioteca nazionale, esso è delimitato da ovest a est dalla stazione di Austerlitz e dal boulevard périphérique, mentre da nord a sud è bordato dalla Senna per 2,5 km e dal xiii arrondissement. Tra i quartieri ristrutturati negli ultimi 20 anni, quelli della Rive Gauche sono i più accattivanti per limpatto, la diversità e un costante arricchimento tra le prime pianificazioni (dinizio anni novanta) e il recente quartiere Masséna-Grands Moulins. Qui a coordinare i progetti cè Christian de Portzamparc, che declina su 12 ettari la sua teoria dell«isolato aperto», da lui concretizzata per la prima volta nelle poco distanti abitazioni di rue dHautes Formes (1974-1979). Se lobiettivo è di ottenere un quartiere denso, aperto alle evoluzioni urbane e dei programmi, questa morfologia appare tanto più efficace e le opzioni urbanistiche tanto più convincenti quanto più gli edifici, firmati da vari architetti, sono diseguali. Là dove cominciava la periferia e la diversità di scala tra i sobborghi e le torri del xiii arrondissement era evidente, Parigi aveva bisogno di un vero quartiere moderno che affermasse la propria identità a partire da uno dei suoi ingressi. Tuttavia, le Zac (Zones à aménagement concerté, zone di pianificazione concertata) sono rimaste per lungo tempo appannaggio della pianificazione neo-razionalista tipica delle nuove città francesi. Nonostante la forza della Biblioteca di Dominique Perrault, la prima parte della Rive Gauche non era sfuggita a questo destino. Al contrario, il settore di Portzamparc celebra un concetto che egli di volta in volta sperimenta in situazioni inedite, da New York a Bruxelles.
Nel 1995 lei ha vinto con il paesaggista Thierry Huau il concorso di urbanistica per il quartiere di Masséna-Grands Moulins. Come possiamo definire lisolato aperto?
Ho lavorato a questo concetto sin dal progetto delle Hautes Formes. Lisolato è il punto nevralgico dove urbanistica e architettura si congiungono. Tuttavia, personalmente mi opponevo a un ritorno regressivo alla città nella sua accezione più tradizionale quale si vedeva in Europa. Lisolato aperto è uno strumento che risponde allaleatorio, allo sconosciuto dei programmi, al bisogno di spaziare con lo sguardo, al bisogno di luce, di densità; tutto a favore dellautonomia dei singoli edifici. Si può parlare di unapertura programmatica dellisolato, ma anche di unapertura fisica. Lisolato aperto integra con le sue innumerevoli forme urbane le specificità di ogni luogo. Con la sua porosità e apertura spaziale, risolve questioni fondamentali. Lascia entrare la luce, evita i cortili chiusi e apre gli edifici su quattro fronti. Offre lopportunità di trasformare o di accogliere edifici diversi tanto in altezza quanto volumetricamente, uno in mattoni e rame, laltro in calcestruzzo… La separazione degli edifici facilita la compravendita dei terreni e consente di ripensare la forma universale della strada grazie alla convivenza di elementi disomogenei.
Dopo la città tradizionale e il Movimento moderno, la strada sembra essere un elemento essenziale nellalternativa da lei proposta.
Sin dagli anni ottanta ho visto levoluzione delle città come un processo sintetizzabile in tre periodi a partire dallinvenzione della via nella Grecia antica. Questa invenzione formidabile, che ha la funzione di disegnare lo spazio pubblico prima ancora di lottizzare i terreni che corrono lungo di essa, riunisce le idee del «circolare» e dell«abitare» in una logica che definisce la città da 2500 anni. Il secondo periodo, quello moderno, che va dal 1945 al 1975, è stato caratterizzato dalle teorie di Le Corbusier e ha decretato la morte della via; è stato un periodo di trentanni in cui si è costruito quanto in dieci secoli. Negli anni ottanta, il ritorno alla città tradizionale ha denunciato lurbanistica del Movimento moderno come una parentesi negativa. Ho capito in quegli anni che la città classica, nonostante le sue virtù, non deve essere riproposta nel presente perché ormai tutto è mutato: economicamente, tecnicamente, socialmente ed esteticamente. A fianco degli antimoderni o postmoderni, sostenitori del ritorno regressivo alla città tradizionale, altri, che si definivano «moderni», si meravigliavano del caos delle città asiatiche e parlavano di crisi dellurbanistica. Era quindi necessario affrontare nuove problematiche, quelle di un terzo periodo, ammettendo che lurbanistica doveva reagire. Siccome i grandi sconfitti del secondo periodo si rivelarono essere la pianificazione rigida dello zoning e i piani urbanistici non aperti al caso, sostenevo che la strada fosse la forma più semplice e più aperta di fronte allo scorrere del tempo. Questo strumento, che conferisce unità su larga scala assemblando la varietà, è ora da reinventare per reagire alla frantumazione delle convenzioni della città tradizionale e di quella moderna. Non cè più uno stile preciso associato a unepoca ma tutti convivono, e limprevedibile diversità degli edifici è lincubo degli urbanisti che, per reazione, continuano a predicare lallineamento e lomogeneità. Nel 1988, opponendomi a un ritorno alluniformità della città tradizionale, ispirato tanto alla Tendenza italiana degli anni settanta quanto alla città immaginata da Le Corbusier nel 1925, ho evocato in «Paris Match» una «città variegata» a opera di architetti diversi tra loro come diversi sono «gli animali di uno zoo». Spetta a noi il compito di definire regole nuove. Sicuramente, San Paolo, Rio, Tokyo e New York hanno nutrito la mia visione dellisolato aperto.
Come si è evoluto lisolato aperto dopo le Hautes Formes?
Per far alloggiare comodamente 200 famiglie sul trapezio esiguo delle Hautes Formes, lo studio degli orientamenti, delle distanze, della vista di elementi vicini e lontani mi ha portato a progettare sette edifici, nove tipologie di appartamento e una piazza alberata, il tutto attraversato da una strada che lasciava circolare la città. In una città non esistono situazioni identiche e ciascun luogo, ciascuna finestra, possiedono un carattere distintivo. In seguito ho continuato a lavorare ad altri progetti aprendo lisolato. In occasione di alcuni concorsi ho fatto dei piani disolato aperto a quinconce, a scacchiera, ho proposto edifici che lasciano passare la luce per dare aria e vista a tutti e infine strade luminose. Ma la mia formula dellisolato aperto veniva sempre rifiutata. Parallelamente ho realizzato la Città della musica alla Villette che riprende lidea dellisolato aperto. A partire dal 1988 ho affrontato lavori su più vasta scala. Sono stato invitato a partecipare a concorsi per progetti urbanistici e non più di architettura come a Aix, Metz, Strasburgo e Tolosa. Questi progetti nascevano in concomitanza con la decentralizzazione e una crescente responsabilità dei sindaci che dovevano provvedere a sistemare grandi terreni incolti, magari proprio nel cuore della città. Venivo consultato perché mi interessavo non solo alla città e allurbanistica ma anche allarchitettura. Vinsi il concorso per lAtlanpôle di Nantes con la prima griglia di isolati aperti e interpretabili su una superficie di 4 km, ma il progetto non fu realizzato a causa della crisi economica.
Il sito di Masséna rappresenta quindi la «città variegata»?
Il concorso per lAtlanpôle mi offrì lopportunità di sperimentare le questioni legate al quartiere e allisolato. Il programma presentato da Thérèse Cornil, direttrice della Semapa, era interessante per la volontà di garantire il mix funzionale (appartamenti, uffici, attività commerciali, luniversità verrà dopo). La mia proposta consiste in una griglia di strade perpendicolari alla Senna che continuano la trama del tessuto del sud della capitale. In questa griglia disolati è possibile garantire la «porosità» delle costruzioni. Le dimensioni di strade e isolati sono state oggetto di una lunga messa a punto a partire dal concorso. Le aperture tra gli edifici previste dal progetto hanno generato una forma combinatoria, tanto che i disegni presentati al concorso rappresentano solo uno tra i molti scenari possibili. Non si tratta più di un piano urbanistico in senso stretto. Se paragoniamo questi piani con le effettive realizzazioni, sono identici e nel contempo completamente diversi. La libertà dei promotori e degli architetti ha dunque potuto trovare espressione. La novità è che volevo delle vie strette per non sprecare troppa superficie a livello del suolo. Ho potuto ridurre la larghezza della strada rispetto ai 25 metri che sarebbero la norma. Dato che gli edifici devono susseguirsi in quinconce, ho fissato un margine di tolleranza evitando di disporli esattamente uno di fronte allaltro. Ho dovuto organizzare anticipatamente gli isolati per permettere a più operazioni di svolgersi senza entrare in conflitto. Ho anche prefigurato i limiti di proprietà allinterno dellisolato e ho definito una specie di particellare tridimensionale, isolato per isolato, che assicuri la penetrazione della luce e garantisca delle zone di trasparenza. Avevo definito questi piani come dei «cappotti di una taglia più comoda»; noi infatti stabiliamo dei volumi superiori rispetto alle norme affinché larchitetto abbia un margine importante per la sua interpretazione. Questo quadro volumetrico edificabile, più ampio del volume e della superficie autorizzati dal programma, offre una relativa libertà per giocare con i volumi e le forme. I progetti devono solo rispettare il piano dallineamento delle facciate su strada secondo un certo valore percentuale.
Qualche controindicazione?
Nel 1994 in occasione dellorale del concorso, di fronte alla commissione giudicatrice, Paul Andreu mi aveva detto: «il tuo principio di libertà va bene, ma come farai se si presentano contemporaneamente Bofill e Foster?». Ho risposto che si trattava proprio della scommessa dellurbanistica di domani che presentiva che le disparità stilistiche sarebbero diventate la nuova grande sfida. Non possiamo più sognare lomogeneità. Le regole urbane devono poter integrare forme variegate e persino edifici più ambiziosi di altri. Ciò che è di qualità inferiore verrà assorbito dallinsieme. Nella seconda ondata di costruzioni, a est della Halle aux Farines trasformata da Nicolas Michelin, sorgono degli isolati più lunghi e più stretti che formano delle parcelle da una via allaltra. Gli architetti saranno liberi di creare. Tuttavia, siccome non credo interamente al caso, abbiamo formato dei gruppi di lavoro per consentire il confronto, coordinare e armonizzare loperato dei diversi architetti che arrivano in seguito a operazioni private o ai concorsi. Il nuovo spirito sta nellidea che larmonia non sia più da ricercare nellomogeneità e nella somiglianza come nelle epoche classica e moderna. Larmonia nasce dai contrasti forti lungo una stessa linea.
A New York, lei ha integrato nellisolato aperto la verticalità delle torri scultoree. Su un terreno pari a due isolati della griglia, di fronte al fiume Hudson, il promotore di Riverside voleva realizzare numerosi appartamenti in un numero limitato di edifici senza avere troppi ingressi. Laltezza non è in genere un problema se si lascia passare la luce offrendo una combinazione di altezze variabili. Ho dunque progettato degli edifici-isolato integrando diversi programmi e accostando varie altezze e volumi. Attorno agli appartamenti, ai piedi delle costruzioni, si trovano una scuola, delle attività commerciali, dei cinema, degli hotel. Come nel caso delle Hautes Formes, ci sono una strada, una piazza e cè un gioco di altezze, ma il tutto è demoltiplicato.