Mumbai (India). 216 ettari per oltre un milione di abitanti, una densità abitativa che non ha eguali nel mondo. Questo è Dharavi, il più grande quartiere-ghetto di Mumbai e forse, come tutti qui orgogliosamente ti ripetono, dellAsia intera. Un record di emarginazione e sofferenze, ma pur sempre qualcosa di cui vantarsi: molti abitanti ne sono ingenuamente, istintivamente fieri. Dati precisi comunque non esistono, perché Dharavi è in continua trasformazione, crescendo al di fuori delle poche regole e dei fragili controlli.
Incastrato fra due importanti tronchi ferroviari (western e central railway) e il Mahim Creek, una palude di mangrovie, il quartiere si trova oggi in unarea che per posizione e potenzialità è una delle più interessanti per realizzare investimenti immobiliari. Nei dintorni, infatti, i lotti edificabili hanno valori più alti che a Hong Kong o New York.
Dharavi è solo sfiorato dalla ricchezza e dal kitsch dei grattacieli che gli sorgono accanto. Nelle baracche arrivano a malapena i cavi elettrici, i più fortunati hanno anche le tubazioni idriche, ma le fognature sono del tutto assenti. Lacqua proviene per lo più da pozzi che attingono dallinquinatissima falda sotterranea. Esistono in alcuni punti delle latrine pubbliche, ma quando arrivano i monsoni la melma invade ogni cosa.
Il «National Geographic» nel maggio 2007 lo ha definito la città-ombra di Mumbai, ed è una buona definizione. Dharavi recupera, produce e assembla nel buio dei suoi vicoli tutto quanto Mumbai richiede e offre. È una specie di «fabbrica diffusa», un settore produttivo formato da migliaia di micro-aziende e botteghe. Mukesh Mehta, architetto e investitore formatosi negli Stati Uniti, vorrebbe risanarlo utilizzando le nuove norme urbanistiche in vigore. La storia del suo progetto è emblematica: Mehta ha sviluppato unampia rete di sostenitori arrivando a formalizzare un masterplan presentato a fine 2007 prima a Mumbai e poi alla prestigiosa School of Economics di Londra. Il progetto prevede la distruzione delle baracche e la suddivisione dellarea in cinque settori, da affidare alliniziativa privata sotto la supervisione dello stato. Ai residenti sarebbero assegnate nuove abitazioni, con una superficie netta di circa 21 mq/famiglia, oltre a servizi e scuole, in cambio della possibilità dinnalzare gigantesche torri residenziali da collocare fruttuosamente sul mercato. Lo stato non dovrebbe sborsare un soldo; apparentemente un buon affare per tutti. Non è proprio così: sebbene le autorità locali e centrali abbiano fatto proprio il progetto, i residenti sono apertamente contrari. I motivi sono evidenziati in uno studio del Kamla Raheja Viyanidhi Institute for Architecture che mette a nudo le ipocrisie del piano proposto, criticando lelevato indice di fabbricabilità concesso agli investitori e lassenza di una strategia per il trasferimento delle attività produttive. Case senza lavoro significa solo emarginazione. Il trasferimento negli edifici multipiano sradica gli abitanti dall«economia di strada» e dalla consolidata rete dei rapporti sociali, abbandonandoli a unesistenza di alienazione e miseria. Per analoghi motivi, contro il progetto si è levata la voce di molti attivisti, sociologi, intellettuali, alcuni dei quali sostengono che occorre anzitutto togliere a Dharavi letichetta mortificante di «slum» perché esso rappresenterebbe invece la «città informale» dei nostri tempi, la città del provvisorio e del momentaneo. Una singolare posizione ideologica che, nel tentativo di bloccare i piani speculativi, sirrigidisce in un immobilismo che non ammette neanche gli interventi di micro-riqualificazione. Intanto i progetti si susseguono: fra gli altri, nel 2008 anche lo studio internazionale Hok, con sede anche a Hong Kong, ha presentato una proposta globale dintervento. Il motivo di questo vasto interesse è che la partita di Dharavi è cruciale. Non si tratta solo di fare un buon affare; qui si decide anche la strategia di trasformazione delle città asiatiche. Chi riuscirà a trasformare Dharavi è potenzialmente il miglior referente per la riqualificazione degli slum delle congestionate metropoli cinesi, pakistane e indiane. È per questo che le polemiche su Dharavi non si spengono. La partita è ancora aperta.
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