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Le ricette dell’immodesto Landry

Dopo anni di bombardamento mediatico da parte di Richard Florida, sentire parlare di «città creativa» dovrebbe, secondo la logica, suscitare un impetuoso desiderio di ricorrere alla pistola. E invece il successo di Charles Landry, che ha pensato in origine ciò che Florida ha divulgato e che si autodefinisce «un’autorità internazionale in materia di creatività e futuro delle città», è universale. La recente traduzione del suo ultimo libro The Art of City Making è stata accolta con pari entusiasmo dalla stampa generalista e dalla critica radicale.
Per comprendere i motivi del gradimento è sufficiente sciogliere la rigidità delle formule e operare una distinzione fondamentale: la creatività urbana invocata da Landry non è assimilabile all’elogio della gentrification declinato da Florida. All’ascesa della creative class – colei che rigenera i tessuti urbani a spese dei cittadini meno abbienti, reimmettendo pezzi degradati di città sul mercato immobiliare – Landry contrappone la valorizzazione di una creatività diffusa, della capacità di tutti gli abitanti, se messi nella condizione di farlo, di proporre soluzioni intelligenti ai problemi. In breve, si tratta di una difesa a pieno titolo della partecipazione, contro la logica dell’esclusione che ha caratterizzato e tuttora definisce lo sviluppo urbano di matrice neoliberista. Forte di un’esperienza professionale straordinariamente ampia – con la sua società di consulenza Comedia (Communication+Media, fondata nel 1978) ha contribuito a centinaia di progetti di riqualificazione urbana in ogni parte del mondo -, Landry argomenta in modo pacato e ragionato contro la bassa mercificazione del contesto urbano messa in atto dalle grandi catene commerciali come Tesco o Wal Mart, contro il culto del turismo che rende i luoghi dipendenti da un’economia capricciosa ed effimera, contro il city branding, da lui definito una forma di prostituzione, persino contro la proliferazione incontrollata di certi eventi culturali, che pure sono il suo cavallo di battaglia.
La cultura, nella sua visione, è lo strumento principe della rinascita urbana e costituisce insieme ai servizi, alla logistica, il cosiddetto «software» della metropoli: solo intervenendo su questa dimensione sarà possibile costruire la città ecosostenibile e interculturale che apparentemente tutti sognano. Insistere sul solo «hardware», sulla pianificazione fisica, sulle soluzioni tecniche amate da urbanisti e ingegneri, è a suo parere non meno inefficiente e pericoloso della pura subordinazione agli interessi del mercato. Per essere all’altezza delle grandi sfide dei nostri tempi diventa fondamentale incrociare le competenze, abbattere le barriere tra i saperi, eliminare gli specialismi. In un sistema come questo Barcellona o Bilbao sono ovviamente assai meglio di Dubai, che ha avuto l’unica capacità «di cogliere il senso d’insicurezza e lo spirito conservatore dei dirigenti d’azienda che cerca di attrarre», ma il non plus ultra è Helsinki.
Tutti argomenti condivisibili, affiancati da ben documentati esempi. Però, ad affrontare le oltre 500 pagine scritte con un linguaggio sciolto, volutamente banale, si viene assaliti da un senso d’inutilità. Una volta ripudiato il paradigma scientifico – fin dal titolo Landry rivendica la dimensione «artistica» – che senso ha compilare un manuale pragmatico sul «fare città»? Scorrendo l’Ouverture s’incontrano sconcertanti slogan come «Bilanciare locale e globale» o «concepire città che esprimano al tempo stesso passione e compassione», mentre il nutrito indice rassomiglia a una lista d’istruzioni surreali: «Ridestare l’incanto», «Riconcepire la città», «Rimodellare i comportamenti», «Riconsiderare la città che impara», «Ribaltare il declino», «Rimisurare le proprie risorse», «Un’ultima appendice: Riconsiderare il gergo».
Vaste programme, come rispose De Gaulle all’invocazione di ammazzare tutti gli imbecilli. Sono stati versati fiumi d’inchiostro sulle pretese moderniste di modellare la vita dell’uomo attraverso l’organizzazione dello spazio, sul senso di onnipotenza che permeava l’urbanistica delle buone intenzioni: viste in prospettiva, appaiono quasi modeste.

Charles Landry, City making. L’arte di fare la città, a cura di Marco Rainò, prefazione di Franco La Cecla, Codice Edizioni, Torino 2009, pp. 535, euro 37.

Autore

  • Lucia Tozzi

    Studiosa di politiche urbane e giornalista, ha pubblicato tra le altre cose “Dopo il turismo” (Nottetempo 2020), “Napoli. Contro il panorama” (Nottetempo 2022), “L'invenzione di Milano” (Cronopio 2023) e, insieme a Stefano Portelli e Luca Rossomando, “Le nuove recinzioni” (Carocci 2023)

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Last modified: 16 Luglio 2015