Classe 1932, tedesco, Ingo Maurer può parlare di luce senza pause. Nellarco di 50 anni ha disegnato oltre 150 prodotti di successo, firmato interventi di lighting design (ultimo dei quali la stazione della metropolitana Münchner Freiheit a Monaco), avviato una società, la Ingo Maurer GmbH, e sperimentato lo sperimentabile.
Da giugno è ospite del Bauhaus-Archiv di Berlino. Il direttore Annemarie Jaeggi, conferendole il German Designer Award 2010, lha definita «Light Magician». Dopo molti anni di professione e tante nuove tecnologie sul mercato trova ancora magia nella luce?
La luce era e resta il mio materiale preferito. È spirituale, non si può toccare, non ha sostanza. Ne sono sempre stato attratto. Non so se si tratta di magia o seduzione: dopo 40 anni di lavoro credo ancora che la luce debba colpire al cuore.
Nella mostra al Cooper-Hewitt di New York «Provoking Magic – Lighting of Ingo Maurer, 2007» ha realizzato un allestimento spettacolare. Vedremo lo stesso anche a Berlino?
La sede berlinese del Bauhaus Archiv non ha gli stessi metri quadrati del Cooper Hewitt. «Complete with Bulb» sarà una mostra più piccola, allestita in una sola stanza, presenterà una trentina di lampade per un racconto intorno alla luce. Non ci saranno nuovi progetti. La progettazione ha bisogno di tempo, disegno e respiro. Dopo le grandi fiere come Francoforte e Milano, sento il bisogno di una pausa rigeneratrice.
Tra le sue ultime creazioni cè «Zufall», una lampada «contorsionista» nata per caso (Zufall in tedesco). Caso, funzione, ricerca, sostenibilità, emozione: che cosa privilegia quando progetta?
Il caso – lhasard – è una componente importante non solo del progetto ma anche nella vita. «Zufall» è nata per caso. Stavo lavorando al progetto di un tavolo con lintenzione di realizzare una parte in silicone da fissare tra due piastre metalliche. È stato proprio il contatto con questo materiale morbido e piacevole al tatto a farmi desiderare di realizzare qualcosa di più.
Dal 1° settembre 2010 anche le lampadine a incandescenza trasparenti da 75 W non saranno più sul mercato. Il bando totale è previsto entro due anni. I sostituti sono già in commercio: lampadine fluorescenti, Led e Oled che ha già avuto modo di sperimentare. Per lei – lha confidato pubblicamente – è stato uno shock. Più in generale che cosa perderemo e che cosa guadagneremo da questo passaggio obbligato?
Non mi è mai dispiaciuto mescolare diverse fonti e diversi colori di luce. Anche una luce artificiale può creare unatmosfera misteriosa. Il mio interesse per gli Oled nasce da due motivi. Credo che questa tecnologia verrà utilizzata ampiamente in futuro, come è già accaduto con il Led. E, fin dallinizio degli anni ottanta, ho sempre trovato intrigante sperimentare nuove tecnologie che aprono la strada a nuove forme. Si tratta non solo di progresso tecnologico, ma anche di promuovere un cambiamento negli aspetti formali. La nuova lampada «Flying Future», per esempio, è la realizzazione di un sogno a lungo accarezzato. Gli Oled hanno un aspetto completamente diverso dalla sorgenti luminose tradizionali. Non hanno bisogno di riflettori che rivolgano la luce nella direzione giusta né dingombranti alloggiamenti.
Gli Oled sono destinati a raggiungere entro il 2013 un valore di mercato stimato in 4,5 miliardi di euro. Quali sono le principali sfide per il settore?
Dimensione, prezzo, potenza e durata.
Qualcuno ha fatto scorta di bulbi a incandescenza (io per esempio). Lei ha fatto o farà lo stesso?
Lho fatto anchio, ma con misura. Conosco persone che hanno fatto scorte più ingenti. Forse assisteremo alla nascita di un mercato nero (sorride, ndr).
Molti evergreen si sono convertiti al Led. Tra gli ultimi, la Falkland di Bruno Munari che sotto la calzamaglia ha cambiato anima. Che cosa pensa di questo «rito» di passaggio?
Lincandescenza garantisce ancora una luce più calda. Led e Oled non sono certo la stessa cosa. Non credo che il risparmio energetico verrà garantito dalleliminazione delle vecchie lampadine. Ci sono infiniti altri accorgimenti e indicazioni di stili di vita che potrebbero risultare molto più efficaci. Avremmo potuto e possiamo risparmiare in altre cose. Per esempio, usando meglio la lavatrice, evitando di farla funzionare con tre calzini e due magliette.
Ingo Maurer è contemporaneamente designer e produttore: come dialoga con se stesso in questa duplice posizione? Non si è mai trovato in «conflitto dinteressi»?
Quando ho iniziato a lavorare, ho ricevuto offerte da importanti brand internazionali come Artemide e Flos. Venendo dal nulla, pensai che la strada migliore fosse anche quella più difficile: lautoproduzione. Questa strada mi ha garantito maggiore libertà. Certo, cè anche una grande componente di rischio. Ma senza il rischio si è morti. Oggi lo studio di Monaco conta 74 persone: non è sempre facile, ma siamo una famiglia. Il mio lavoro è la mia vita.
Lighting design in spazi pubblici: oggi la metropolitana di Monaco, ieri Praga dove ha illuminato una pala medioevale in una chiesa ma anche il celebre edificio «Ginger e Fred» di Frank Gehry. Con quale criterio accetta o rifiuta questo tipo di incarichi?
Valuto il fattore umano, prima che lo spazio o i budget, i quali nei progetti dilluminazione per spazi pubblici non sono mai generosi. Il buon design nasce da un lavoro in team: sia che il committente sia unistituzione oppure un privato. Se la squadra non funziona, non funzionerà nemmeno il progetto.
Quando nel 1966 ha disegnato «Bulb Clear», la prima lampada prodotta da Design M, Charles Eames – cui qualcuno aveva regalato la lampada – le scrisse per complimentarsi. A chi fa i complimenti oggi Ingo Maurer?
A Paul Cocksedge, direttore dellomonimo studio londinese.
Qual è la lampada che Ingo Maurer ha sul comodino?
Da un lato la mia «Don Quixote» che p rende nome dal personaggio di Cervantes. Sullaltro lato del letto cè una «Taccia» di Castiglioni che resta un grandissimo punto di riferimento. La mia «Hot Achille» è un omaggio al suo lavoro, una celebrazione della «Parentesi» del 1971.