Milano. Descrivere il Salone è come parlare di un pezzo di Coltrane o analizzare un dripping di Pollock. Difficile focalizzarsi sul dettaglio, la comprensione può avvenire solo a distanza e in ogni caso linterpretazione può essere solo soggettiva. Sensazioni rapsodiche che non contribuiscono a costruire un affresco sistematico del fenomeno. Alcune macro-evidenze sono sotto gli occhi di tutti: la polarizzazione tra grande fiera a Rho e le città nella città (Zona Tortona, Zona Romana, Brera District, Fuorisalone Isola, Ventura/Lambrate), la mediatizzazione spinta di ogni evento e la trasformazione di spazi in mercatini delle pulci, lo sganciamento tra ricerca e mercato (anche se su questo ci sono opinioni discordanti). In tutto ciò la cosa più dolente (oltre alle gambe martoriate dalla gimkana impossibile tra oltre 400 eventi in contemporanea in 6 giorni) è la quasi totale assenza di quellutopia che Alessandro Mendini, autore dellallestimento annuale «Le cose che siamo» del Triennale Design Museum, invoca nel numero di aprile di «Domus», quello iniziale della sua direzione. E lutopia che esiste è, ahimè, quasi tutta straniera; una su tutte: quella proposta dalla Design Academy di Eindhoven. Per (ri)trovarne un po si segnala la sezione milanese della mostra «Il grande gioco. Forme darte in Italia 1947-1989» alla Rotonda della Besana (che si potrà vedere completa da luglio a settembre a Lugano). Esperienza istruttiva per ricordare il passato e ripensare il futuro del design italiano.
Silvana Annicchiarico (direttrice Design Museum Triennale): «Penso che questanno le cose più belle si siano viste nei luoghi di Milano meno scontati, nelle zone interstiziali o periferiche: dalle vetrine di via Sarpi, occhi per guardare in modo nuovo ai temi dellintegrazione e dellibridazione, alla vivace sperimentazione di zona Ventura. Fra i giovani italiani i Carnovsky e la loro carta da parati, da Jannelli & Volpi con allestimento di Markus Benesch. Si confermano fra i progettisti più interessanti Maarten Baas, con l«orologio vivente», e Matali Crasset, alla galleria Luisa delle Piane, che proponeva anche i divertenti francesi 5.5. Fra i maestri, Gaetano Pesce con il suo fervido spirito di ricerca testimoniato dalle nuove sedute per Meritalia».
trong>Alberto Bassi (docente Iuav, Università di San Marino): «Salone e dintorni confermano che fenomenologie e questioni rilevanti non riguardano più (ormai da tempo o, a scelta, da sempre) i linguaggi, bensì il significato. Capire quale siano ruolo, senso e utilità del design per consumatori, imprese, sistema-pianeta. Di fronte a mercati, economia, tecnologie e società in movimento fluido e velocissimo, appare irrilevante dedicar tempo e denari a effimero, stravaganze, designerstar, movida festaiola, new-trend (questanno va il traforato, il fiore, il rosa ). E allora tutti (o almeno i preparati da investimenti/ricerca/innovazione) a fare, di nuovo, affari; e poi a guardare i giovani del Satellite o le scuole come Royal College, Eindhoven, Iuav Treviso e San Marino in una zona Lambrate di qualità; o ancora a cercare il design: real, natural, usable, sustainable».
Luisa Bocchietto (presidente Adi): «Mediamente, in questo salone non cerano grosse novità, segno della crisi che ha colto le aziende nel corso del 2008-2009. Alcune però si sono attivate e dimostrano di investire. Ho colto inoltre un impegno e una serietà che non vedevo da anni, con meno frivolezze superficiali da rivista patinata, maggiore rigore e attenzione alla qualità dei materiali e dei progetti. Leggo tutto ciò come un messaggio positivo. Infine, molti progettisti si sono attivati come imprenditori (partendo dalla produzione di piccole serie), esasperati dalla onnipresenza delle poche star che continuano a godere dellattenzione delle imprese in una fase di eccesso di comunicazione e scarsa attenzione alla qualità intrinseca del progetto».
Antonio Cos (designer): «La Società dello spettacolo, di Guy Debord, descrive a meraviglia levento Salone. Detournement del prodotto che diviene interpretazione visiva, scenografica ed effimera. Durante questa settimana il verbo creare è coniugato in tutte le lingue e in tutti i suoi significati, anche i più insospettati: stimola, fa arrabbiare, lascia perplesso, stufa; insomma scatena una positiva reazione. Ma poi? 359 giorni di quasi vuoto fino al prossimo capodanno del design. Pensavo che il design fosse unarte applicata, ma non allo spettacolo bensì al quotidiano».
Odoardo Fioravanti (designer): «Questo Salone lo ricorderanno tutti di certo per via del vulcano islandese che ha impedito a pochi di arrivare e ai più di andare via. Per me è stato un Salone di lavoro vero, di contatti con le aziende che a loro volta testimoniavano un ritorno di pubblico e vendite reali come non se ne vedevano da almeno tre o quattro anni. Le nuove proposte delle aziende erano poche e con un occhio ben attento al mercato. Il fuori salone ormai invade tutta la città anche nei suoi recessi più strani con il colore di una festa di paese che rende bella – sì proprio bella – la città un po arcigna che viviamo per tutto il resto dellanno. Il nostro sconfinato amore per Milano è corrisposto solo durante quella settimana, mentre per il resto dellanno rimane un empito platonico».
Giulio Iacchetti (designer): «Reinterpretazione dei classici, inediti accoppiamenti di materiali e nuovi linguaggi formali: queste sono le tre tendenze progettuali che ho colto e che vorrei esemplificare citando tre sedute viste in fiera. Magis è di gran lunga quella che esprime i livelli migliori in termini di ricerca. Tra le numerose novità presentate dallazienda veneta vorrei segnalare la seduta Cyborg di Marcel Wanders in midollino e polipropilene perché incarna perfettamente il tema dellaccoppiamento tuttaltro che scontato di materiali diversi. Il secondo filone di ricerca è la reinterpretazione dei classici; così mi piace leggere lesemplare sgabello AP di Shin Azumi in legno curvato (…e che curve!) per La palma: una sorta di rilettura semplificata del mitico Butterfly del maestro Sory Anagi. Infine, lo sgabello da bar Armillaria di Odoardo Fioravanti per Plust che segna un punto di svolta nel percorso del designer milanese: Fioravanti disegna un pezzo che resta sospeso tra ciò che potrebbe essere e ciò che non è ancora; non è design biomorfo, ma non è neppure ricollegabile alla sua riconoscibile cifra stilistica. Forse si tratta dellannuncio di una sua nuova interpretazione dellestetica del prodotto industriale, se così fosse sarà allora ancor più interessante seguire i prossimi sviluppi».
Ilaria Marelli (designer): «Ho visto meno prodotti per lo show e più prodotti che si possono davvero usare; meno novità e più riedizioni di pezzi storici delle aziende; più legno, pelle, colori naturali in un trend da fascinazione naturale (lecosostenibile è ancora spesso solo una moda o unintenzione più che realtà). Una ricerca del prodotto normale ma fatto con qualità. Credo che questo sia un Salone di transizione: la crisi economica che si è innescata lo scorso anno sta portando a una riorganizzazione di tutto il settore, nelle strategie, nei processi, nelle finalità, i cui risultati concreti ritengo si vedranno a partire dal 2011».
Maddalena Padovani (redattrice di «Interni»): «Certo non sono state presentate grandi innovazioni e sono mancati persino i singoli pezzi da copertina a cui i marchi di tendenza ci avevano abituati negli ultimi anni. Gli sforzi delle aziende sono infatti andati, prevalentemente, allottimizzazione dei prodotti e dei sistemi produttivi esistenti; lobiettivo primario è stato quello della riduzione dei costi e dellimpatto ambientale legato alla realizzazione, alluso e alla dismissione di ogni nuovo elemento darredo. In termini scenografici, ovvero di definizione tipologica e funzionale del prodotto, questa scelta non ha prodotto novità eclatanti, ma ha gettato le basi di un nuovo modus operandi sicuramente salutare, che nel caso dellimbottito, per esempio, ha spinto i progettisti a uninteressante operazione di reinvenzione – nascosta ma consistente – del principio strutturale di divani e poltrone. Un altro tipo di considerazione merita invece il Salone inteso come settimana milanese del design. Il numero dei marchi extra-settore che questanno hanno preso parte alla grande kermesse la dice lunga sul potere attrattivo di questo appuntamento: erano almeno una trentina le griffe della moda presenti con allestimenti speciali e mostre che per la prima volta hanno rivelato unattinenza e un certo interesse per la cultura del progetto, oltre a parecchie case automobilistiche che hanno approfittato delloccasione per lanciare ufficialmente nuovi modelli di auto più design minded».
Matteo Ragni (designer): «Salone 2010: meteo incerto, prime giornate di sole ma ancora vento gelido: un caso? Forse no. Il sole si è fatto vedere ma tira ancora il vento della crisi; chi è ottimista e pensa che esistano ancora le mezze stagioni ha visto un Salone pieno di buoni propositi e tanta gente in giro per i padiglioni, per le strade e negli showroom della capitale del design mondiale a tempo determinato. Molte aziende con prodotti nuovi ma cauti; un progetto su tutti la Chairless di Vitra, specchio di un periodo di recessione che necessita di un ripensamento di usi-costumi-consumi».
Francesco Zurlo (docente Facoltà del Design, Politecnico di Milano): «A volte in grandi eventi come la design week milanese ciò che rimane è qualcosa dinaspettato, lontano dalla volontà ostentativa (merci, luci, suoni, colori, frizzi e lazzi) dimprenditori, designer e direttori artistici. Io ricordo macchie quadrate e nere presenti dappertutto: i codici QR. In fiera se volevi subito un catalogo bastava fotografare con il cellulare uno di questi codici, impreziositi da loghi, per accedere alle storie (un banale download) di quello che stavi osservando dal vivo. Sistema ormai vecchiotto, ma ormai in un ciclo di diffusa adozione, e buon esempio di disegno industriale (binomio in disuso da un po) e di realtà amplificata: andrebbe proposto a Paola Antonelli del Moma, che ha acquisito gratuitamente la famosa @. Certi che questa macchia nera e confusa non vi sfigurerebbe vicino ».