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L’architettura, arte della mediazione

È centrato sulla crisi del mandato sociale dell’architettura il testo di Alessandro Armando La soglia dell’arte, mentre il sottotitolo indica i due eroi, rispettivamente negativo e positivo, che costruiscono l’argomentazione: Peter Eisenman, Robert Smithson e il problema dell’autore dopo le nuove avanguardie. Il fallimento di questi due tentativi speculari di varcare la soglia che separa i mondi dell’architettura e dell’arte è raccontato nelle prime due parti del libro.
Vivisezionando gli edifici di Giuseppe Terragni con procedimenti geometrici che vogliono assimilare l’architettura a prodotto di una logica universale, Eisenman arriva alla serie delle Houses ma deve ammettere che il suo è, alla fine dei conti, un gioco arbitrario («Casabella», n. 386, 1974). Dato che l’architettura è totalmente autonoma, nessuno può partecipare, nemmeno i clienti; ma, anche, nessuno può capire. La torre d’avorio dell’architetto si rivela come una prigione, che sancisce la perdita d’incisività della disciplina, come sottolinea Manfredo Tafuri.
Smithson si arena a sua volta davanti all’impossibilità di rendere partecipabile la sua idea di arte che, per quanto rivoluzionata nelle premesse e nei modi di espressione, non vuole comunque rinunciare all’esistenza di un autore/tutore del processo di realizzazione. Nell’economia del testo, Smithson incarna così una sorta di don Chischotte, il cui viaggio ambizioso è partito dal versante sbagliato della soglia che dà il titolo al libro.
La terza parte costruisce una terza via fra autonomia ed eteronomia dell’architettura fondandosi sull’idea di mediazione, attraverso una ramificata genealogia che inizia dal dibattito statunitense sul ruolo dell’arte dopo la modernità (affine quindi sia a Eisenman che a Smithson) e che arriva al pensiero di Franco Rella. Una mediazione intesa non come compromesso per cui, data un’idea progettuale platonica, e quindi «pura», se ne salva il salvabile durante il processo di trasposizione nella realtà, con la conseguenza che il progetto di qualità è quello che è riuscito a subire meno modifiche possibili. Al contrario, la mediazione diventa l’essenza del progetto, la sua garanzia e il suo banco di prova. Il progetto di qualità è quello più malleabile alle pressioni degli attori intervenuti nella sua trasposizione in sostanza urbana costruita. Questo processo non è assimilabile alla progettazione partecipata, in cui gli architetti delegano una parte del proprio ruolo all’utenza, in una sorta di sovranità limitata sul proprio sapere disciplinare.
L’idea dell’architettura come mediazione porta infatti con sé una rivendicazione del ruolo del progettista come disegnatore di scenari aperti, espressi attraverso il proprio codice disciplinare. Il progetto è così identificato con gli strumenti efficaci a far procedere la concertazione; quelli che messi su un tavolo possono far parlare i vari attori convenuti (tanti o pochi, a seconda della complessità del tema). Premettendo che ogni progetto ha un diverso gradiente di coinvolgimento con la società e che si può dare il caso limite in cui i vincoli vengono meno, La Soglia dell’arte ha la forza di proporre una lettura operabile su quale possa essere il ruolo dell’architettura, senza rinunciare alla complessità narrativa delle argomentazioni.
 
Alessandro Armando, La soglia dell’arte. Peter Eisenman, Robert Smithson e il problema dell’autore dopo le nuove avanguardie, Edizioni Seb27, Torino 2009, pp. 336, euro 14.

Autore

  • Manfredo di Robilant

    Architetto e storico dell’architettura, è stato associato alla ricerca della XIV Biennale di architettura di Venezia, per cui ha curato i libri su ceiling e window (Marsilio, Rizzoli International, 2014). Ha conseguito il dottorato di ricerca in Storia dell’architettura presso il Politecnico di Torino ed è stato visiting scholar al Canadian Centre for Architecture di Montréal. Insegna alla Domus Academy di Milano e ha tenuto lezioni alla Washington University di St. Louis, all’Institut für Kunstwissenschaft di Brema, allo Strelka Institute di Mosca, alla Harvard GSD. Ha scritto per «Il Giornale dell’Architettura», di cui è stato assistente alla direzione, «Arch+», «Baumeister», «Domus», «World Architecture». Condivide con Giovanni Durbiano lo studio DAR-architettura.

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Last modified: 17 Luglio 2015