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Written by: Professione e Formazione

Fronte del(l’aero)porto: lavoro e ristoro per nomadi globali

Zurigo. È andato al giapponese Riken Yamamoto il primo premio nel concorso internazionale in tre fasi per The Circle, complesso multiservizi da 200.000 mq che inizierà a essere costruito nel 2012 di fronte all’hub cittadino (il primo ambito dovrebbe concludersi nel 2016). Obiettivo/scommessa dell’operazione è sfruttare la prossimità con uno scalo internazionale da oltre 60.000 passeggeri al giorno. Non un edificio al servizio di un aeroporto ma, viceversa, un edificio servito da un aeroporto; qui l’interesse del tema dal punto di vista dell’architettura. Nelle ambizioni del promotore del concorso, Flughafen Zürich Ag (la società che gestisce lo scalo), The Circle dovrebbe diventare una meta primaria nei circuiti di un nomadismo globale di alto profilo, la cui descrizione nel bando sembra fatta apposta per avverare le tesi di Saskia Sassen sulle nuove elite planetarie. Il target è un pubblico internazionale, colto e ricco, fatto di professionisti con elevato grado di specializzazione ed «efficienza nel gestire il proprio tempo».
Il programma di The Circle è basato su sette moduli, dedicati a salute e bellezza (10.000 mq: dal dentista al chirurgo estetico, comprese aree di degenza), istruzione (8.500 mq: spazi per think tank e per corsi di aggiornamento di alto livello), cultura e arte (2.500 mq: spazi per mostre e ricevimenti, auditorium), showroom (17.000 mq), spazi di contrattazione per transazioni riservate (7.000 mq: la riservatezza svizzera è più volte richiamata come fattore di attrazione…), spazi per l’ospitalità (45.000 mq: un hotel di lusso, un tre stelle, oltre a stanze e appartamenti serviti), uffici corporate (90.000 mq), una zona di stoccaggio a elevata sorveglianza (15.000 mq).
Il tutto, secondo le richieste del concorso lanciato nel febbraio 2009, da ospitarsi in un ambiente «decisamente svizzero, sorprendente in modo rinfrescante, autenticamente cosmopolita». Se le seconde due caratteristiche parlano più il linguaggio del marketing che quello dell’architettura, la prima è stata decisiva nell’orientare il parere dei giurati (15 tra rappresentanti della committenza e tecnici, con Wiel Arets come nome di spicco), che hanno individuato in un misto di understatement e qualità architettonica la «svizzerità» del progetto di Yamamoto. Tuttavia, più che in una presunta identità svizzera, il punto originale del progetto vincitore è nella scelta di frammentare l’enorme volumetria in una serie di edifici parallelepipedi più piccoli, affacciati verso la collina non costruita di Kloten e protetti sul lato verso l’aeroporto da una monumentale facciata continua curvilinea che segue il confine del lotto. Il progetto «Divers(c)ity» riesce così a confrontarsi sia con la scala e l’aggressività dei terminal sia con la quiete suggerita dalla vista verso un paesaggio intatto e molto «svizzero», il tutto con una sufficiente dose di sostenibilità suggerita dai tetti verdi.
Tra i quindici concorrenti, scremati in mezzo alle 93 candidature della fase iniziale distribuite su circa un terzo di svizzeri, uno di europei e uno di extraeuropei, solo Chipperfield (che a Zurigo sta lavorando sull’ampliamento della Kunsthaus, concorso vinto nel 2008, cfr. «Il Giornale dell’Architettura», n.68, p.15) ha percorso una strada analoga. Ma non è stato ammesso nella cinquina dei finalisti, che hanno giocato tutti, tranne il vincitore Yamamoto, su colossali edifici continui, senza sfumature di scala: il newyorchese Asymptote, lo studio locale Dürig Ag, il belga Xaveer de Geyter, l’immancabile Zaha Hadid (la forma curva del lotto da 37.000 mq sembrava fatta apposta per accenderne le fantasie più spinte, e così è stato).

Autore

  • Manfredo di Robilant

    Architetto e storico dell’architettura, è stato associato alla ricerca della XIV Biennale di architettura di Venezia, per cui ha curato i libri su ceiling e window (Marsilio, Rizzoli International, 2014). Ha conseguito il dottorato di ricerca in Storia dell’architettura presso il Politecnico di Torino ed è stato visiting scholar al Canadian Centre for Architecture di Montréal. Insegna alla Domus Academy di Milano e ha tenuto lezioni alla Washington University di St. Louis, all’Institut für Kunstwissenschaft di Brema, allo Strelka Institute di Mosca, alla Harvard GSD. Ha scritto per «Il Giornale dell’Architettura», di cui è stato assistente alla direzione, «Arch+», «Baumeister», «Domus», «World Architecture». Condivide con Giovanni Durbiano lo studio DAR-architettura.

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Last modified: 17 Luglio 2015