Con Renzo Zorzi (1921-2010) si chiude una stagione insieme culturale e operativa. Nei molti necrologi che sono usciti si coglie soprattutto un disagio a confrontarsi con quella parabola e una voglia di considerare chiusa quella storia. Dopo linfelice libro del ministro Bondi su Adriano Olivetti il disagio può essere comprensibile. In realtà la vera «lezione» che Zorzi lascia è la sua capacità di tradurre in pratica idee e progetti. Zorzi non ha solo completato il disegno architettonico di Ivrea, ma ne ha continuato e arricchito la strategia culturale. È stato insieme il committente e il guardiano di opere, pubblicazioni, mostre, iniziative culturali e scientifiche. Lo ha fatto sempre nella convinzione che la ricerca fosse lelemento essenziale di una società democratica e che la cultura dovesse restituire alle comunità (locali o scientifiche, anche questa sua capacità di muoversi tra scale così diverse è stata fondamentale) i suoi risultati.
Una dimensione etica della responsabilità intellettuale che oggi è davvero rara. Perché oggi è lintero suo percorso, da committente a creatore di strumenti per realizzare i progetti, a essere in crisi. E ancor più lo è letica della responsabiità di chi avrebbe lonere di attuarlo. Oggi la nostalgia per Zorzi, per le sue opere (a Ivrea, Milano, Mantova, Venezia), per «Comunità» o «Zodiac», per la sua presenza a Palazzo del Tè o alla Fondazione Cini, non può che essere insieme grande e grata per quanto ha saputo fare, partendo dai circoli di un Movimento di Comunità che stava cercando di costruire nessi tra città e società, tra vita civile e strumenti culturali, su cui forse varrebbe la pena tornare a riflettere.
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