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Sergio PaceWritten by: Reviews

Storie di paesaggi, fuori dai luoghi comuni

Può prendere una vertigine al povero recensore che riceve l’incarico di selezionare qualche pubblicazione recente dedicata al paesaggio: della sola parola landscape Google offre 94.300.000 ricorrenze. E nelle librerie, più o meno specializzate, sempre più spesso compaiono banchi sovraccarichi di volumi che propongono nel titolo questa parola magica, ripetuta in decine di corsi di laurea ovunque nel mondo. Paesaggio è ormai un mantra, in grado di liberare la mente da ogni preoccupazione accessoria.
Onde evitare una navigazione a vista, occorrono punti saldi di riferimento: soprattutto agli architetti, talvolta facili a essere presi per incantamento da tutto ciò che suona pop e snob allo stesso tempo. Occorrono, ad esempio, autori che non confondano la pluridisciplinarietà, quasi obbligatoria per affrontare tali temi, con una perniciosa superficialità; autori che abbiano chiara la labilità semantica del termine e, quindi, non provino tanto ad affastellare nuovi significati quanto a circoscrivere quelli esistenti.
Per avere qualche prova di quanto d’abitudine si scriva a sproposito d’un termine che, peraltro, da molti decenni è oggetto di studi e ricerche, è utile l’antologia curata da Paolo D’Angelo, studioso di estetica. Vi si trovano testi che discutono la questione a partire da prospettive diverse, ma trovano una chiave di lettura comune proprio nell’estetica, intesa come percezione della bellezza naturale, in senso lato e quasi più etimologico che filosofico. La varietà e complessità dei contributi, che l’introduzione del curatore mette in rilievo, è affascinante: da Georg Simmel a Rosario Assunto, da un geografo come Augustin Berque a un filosofo come Gianni Carchia, fino a un outsider come Rainer Maria Rilke. Tante le strade aperte: si può percorrerle tutte, purché s’abbia a disposizione una guida esperta che aiuti a decifrare i segnali molteplici e, talvolta, contraddittori.
Michael Jakob, studioso poliglotta di storia e (non a caso) di letterature comparate, ha gli interessi e le competenze giuste per riuscire a confrontare Claude Lorrain e Michelangelo Antonioni, il mont Ventoux di Francesco Petrarca e lo sprawl suburbano. Due le pubblicazioni sul tema che, di recente, ha dato alle stampe con obiettivi e pubblici differenti. Il volume de Il Mulino, ben illustrato da una trentina d’immagini di grande nitidezza, si configura come un’introduzione al tema: compito non facile, come sembra chiarire subito l’autore intitolando il primo capitolo a un felice neologismo (onnipaesaggio), il secondo a una rassegna dei possibili scenari teorici del discorso e soltanto il terzo alle «condizioni di possibilità» d’una definizione del paesaggio. E qui è la prima sorpresa, poiché tale definizione è espressa in termini matematici: P=S+N. Vale a dire che «nessun paesaggio [esiste] senza contatto, legame, incontro tra il soggetto e la natura». Contaminando arti figurative, filosofia, architettura, cinema e letteratura, nella consapevolezza della duplice natura di «fenomeno estetico e oggetto storico» con ricadute sociali non scontate, Jakob ricostruisce un’idea di paesaggio complessa ma tutt’altro che onnicomprensiva. Tant’è che qualche difficoltà è dichiarata nel prendere in considerazione nozioni come paesaggio urbano o landscape urbanism, letteralmente ossimori o comunque «concetti confusi o ibridi». Le ultime pagine del libro sono così dedicate a spegnere i facili entusiasmi con cui proprio le culture dell’architettura e dell’urbanistica vorrebbero far proprie idee difficili senza fare lo sforzo di rimetterle davvero in discussione.
In maniera simmetrica anche le ultime pagine dell’altro volume di Jakob, pubblicato da Meltemi, invitano a riflettere sull’architettura e sull’urbanistica. Qui tuttavia i toni sono più propositivi, nella misura sono inscritti entro una cornice discorsiva ben precisa: abituati a considerare il paesaggio una nozione legata allo spazio, spesso si dimentica quanto essa sia legata al tempo, non soltanto come fenomeno storicamente determinato ma anche come insieme di elementi che si trasformano, deperiscono, rinascono. Da questo punto di vista, ad esempio, è sottolineata l’importanza di ricerche progettuali, come quelle di Carl Theodor Sørensen, Paolo Bürgi o Gilles Clément, che proprio a partire dalla mutabilità dei paesaggi naturali hanno provato a costruire valori e qualità. La dimensione temporale assume così un ruolo determinante nel circoscrivere la questione, costringendo a riflettere sull’inefficacia di ogni lettura statica, immobile, anestetizzata dei paesaggi.
Contro ogni «mistica del paesaggio», dunque, un ritorno alla sua dimensione diacronica non può far che bene, anche se le prospettive di lavoro possono diversificarsi. Lo dimostra, con l’impegnativo Il paesaggio storico, Carlo Tosco, storico dell’architettura, già autore de Il paesaggio come storia (Bologna, 2007; cfr. «Il Giornale dell’Architettura», n. 52), da tempo impegnato nel tentativo di sgombrare il campo dalle suggestioni più facili per dar luogo a una ricerca che assuma il paesaggio come luogo delle trasformazioni territoriali all’interno di una complessa Kulturgeschichte: luogo culturale e reale insieme, sempre storicamente riconoscibile. Tosco dedica il proprio lavoro alla memoria di Emilio Sereni. Da qui discende un metodo di lavoro fondato sull’«incontro tra storia ed ecologia» e destinato a essere applicato sul campo (è il caso di dire) del solo paesaggio rurale tra medioevo ed età moderna. Pertanto, niente urban landscape, niente giardini, niente processi d’industrializzazione: una delimitazione quanto mai opportuna per restituire credibilità agli studiosi di architettura che s’occupino di tali temi.
L’opera è divisa in quattro sezioni («Paesaggio e storia», «Le fonti e gli strumenti di ricerca», «Morfologia del paesaggio», «Strutture del paesaggio»), illustrate da numerose immagini inconsuete e spesso assai suggestive. All’identificazione delle ragioni e finalità del lavoro segue una parte di metodologia della ricerca storica, assai efficace soprattutto didatticamente, poiché relativa a questioni non soltanto paesaggistiche e straordinariamente ricca d’esempi. Chiarito il come, Tosco passa a definire cosa studiare: nell’analisi d’un paesaggio più o meno antropizzato l’attenzione va alle sue forme e alle loro modificazioni storiche, cioè alla morfologia, nel senso indicato dalle scienze geografiche ed ecologiche. Su questo palinsesto l’autore inscrive l’opera dell’uomo, che modifica i paesaggi rurali grazie a tre insediamenti dominanti (la casa, la chiesa, il castello) intesi in senso proprio ma soprattutto figurato, metafore delle strutture del paesaggio legate al lavoro, al sacro e al potere.
Anche a costo di apparire schematico, Tosco ha compiuto uno sforzo indispensabile per la prosecuzione delle ricerche sul paesaggio inquadrandole in una prospettiva di metodo, ormai indispensabile vista la proliferazione di affabulatori e improvvisatori. Nell’agenda d’ogni serio studioso di questi temi dovrebbe esserci la valutazione delle possibilità di modificare o anche contraddire tale impianto al fine d’allargare l’analisi al paesaggio (rurale o rururbano) contemporaneo. La storia continua.

Autore

  • Sergio Pace

    Professore ordinario di Storia dell'architettura presso il Politecnico di Torino, dove è anche referente del Rettore per Biblioteche e archivi storici. Ha lavorato e pubblicato principalmente sull'architettura europea e la città del XIX secolo, così come sull'architettura industriale e la ricostruzione dopo la Seconda guerra mondiale, con particolare attenzione all’opera di Carlo Mollino. Negli ultimi anni si è dedicato alle culture architettoniche dell’eclettismo europeo e alla città di Nizza, tra la tarda età moderna e la prima età contemporanea

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Last modified: 17 Luglio 2015