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Uberto Visconti di MassinoWritten by: Città e Territorio

Come funzionerà il vero Piano casa, quello dell’housing sociale

Nel sistema residenziale italiano si sta delineando un cambiamento di matrice economico sociale: quello del mix tra sostenibilità finanziaria, risparmio energetico e servizi alla casa. Se il 2007 è stato l’anno del boom della green economy, il 2009 sarà probabilmente ricordato come il boom del «sociale», declinato nei due aspetti della finanza etica e dei servizi collettivi. Le cause sono la crisi economico-finanziaria e quella sociale, la crisi immobiliare, l’introduzione di nuovi soggetti produttori di case e, infine, di nuovi strumenti di governo: il Piano casa del 2008, almeno nella sua parte meno conosciuta e più «nobile», quella del «sistema integrato di fondi immobiliari». La convergenza di questi elementi è spinta dalla mutua convenienza dei protagonisti: il pubblico vede una domanda sociale in aumento, il privato ha problemi nell’assorbimento immobiliare. Da qui il cambiamento di paradigma e la futura produzione di abitazioni di proprietà indivisa, in affitto a canoni moderati tra i 200 e i 580 euro al mese. Queste abitazioni di «housing sociale» (o Ers, per differenziarlo dall’Edilizia residenziale popolare affidata alle Aziende territoriali per la casa) saranno sviluppate per categorie sociali di fascia media, ovvero famiglie con un reddito intorno ai 2.000 euro netti mensili, per un’incidenza della locazione del 10-18%, quindi sostenibile da giovani lavoratori o giovani coppie con figli, o da pensionati.
Il Piano casa ha origine dall’art. 11 del d.l. 112/2008, Disposizioni urgenti per il rilancio dell’economia. L’urgenza ha sicuramente influenzato l’evoluzione del lato più povero di contenuti sociali, ovvero l’«altro» Piano casa, quello più chiacchierato, incentrato sugli ampliamenti volumetrici e sulla demolizione e ricostruzione, capace di superare gli ostacoli posti dalle Regioni (ben 12 su 20 hanno approvato una propria legge). Il Piano casa focalizzato sull’housing sociale, attraverso un sistema innovativo di fondi immobiliari, deve invece ancora giungere al traguardo soprattutto per i meccanismi che devono stabilire chi gestirà il risparmio conferito attraverso il sistema del «fondo dei fondi» (questo è il modello scelto per governare il primo miliardo di euro che dovrebbe essere messo a disposizione del «fondo investimenti per l’abitare» di Cassa depositi e prestiti, Abi e Acri). In questo fondo saranno conferiti fino a 150 milioni da parte del ministero delle infrastrutture e dei trasporti che saranno assegnati tramite gara pubblica di cui si attende il bando.
Anticipazioni di metà novembre indicano che il 90% delle risorse disponibili saranno impiegate per la sottoscrizione di partecipazioni di quote di fondi promossi per sostenere iniziative locali fino a un tetto massimo del 40% dell’equity complessiva degli stessi strumenti finanziari, mentre il restante 10% finanzierà direttamente iniziative immobiliari. Il nodo da sciogliere è quello dei rendimenti attesi da Cdp, promotori istituzionali e locali, banche finanziatrici: se il tasso richiesto da queste ultime fosse inferiore al rendimento obiettivo di Cdp e degli altri quotisti, il giro d’affari generato dal Piano casa, senza calcolare l’indotto, superebbe i 5 miliardi di euro. È un mercato interessante e perciò soggetti istituzionali quali fondazioni bancarie, Legacoop, società di gestione del risparmio, regioni hanno già studiato iniziative e attendono il completamento del quadro legislativo, ovvero dei meccanismi di governance del fondo residenza sostenibile, per attivarsi. A oggi il meccanismo «povero di contenuti» del Piano casa ha già dato vita ai primi ampliamenti, mentre non si hanno date per l’atterraggio di questa più interessante iniziativa governativa nel campo dell’housing sociale.
La seconda innovazione al sistema «casa», propria dell’ultimo biennio, è il risparmio energetico che introduce il ripensamento delle tecnologie costruttive, specie se associato al costo di produzione, che oggi è imperativo avvicinare ai 900-1.000 euro/mq edificato. Industrializzazione dei processi (per la riduzione del costo di manodopera specializzata) e loro razionalizzazione per tempi certi nei piani di sviluppo immobiliare sono la chimera dello sviluppatore. Lo stesso dicasi per la riduzione dei consumi (misurati in euro, ma anche in termini di carbon footprint). Sociale, ma anche più ecologico: almeno di classe energetica B, anche per competizione con lo stock residenziale usato.
La novità, di matrice real estate, è quella di pensare al costo di gestione nel tempo: le case Ers sono in affitto e il costo delle utenze e della manutenzione incideranno pesantemente sulla redditività, già bassa, dell’operazione, diventandone fattore determinante. Per questo si studiano elementi simili a quelli del co-housing, come servizi condivisi od offerti all’esterno del quartiere Ers, per ridurre i costi o aumentare la redditività (la lavanderia condivisa permette di risparmiare fino al 40% in energia e detersivi). Ci si propone al contempo di costituire delle «comunità», poiché in presenza di coesione sociale si riduce il livello di morosità (a rendimenti costanti). Interviene qui l’operato, indispensabile, del terzo settore, in particolare di quelle associazioni di volontari che operano nel residenziale (i «gestori di coesione sociale» o stimolatori di comunità).
La sfida è la strada già intrapresa all’estero nei paesi che sono arrivati prima dell’Italia alla seconda rivoluzione dell’abitare. In Olanda in particolare, dove gli esperti la definiscono il modello Robin Hood development (vedi box). Quando gli istituti di sviluppo Ers in Italia (siano fondi, fondazioni o aziende per la casa, un soggetto quest’ultimo con molte potenzialità nel settore) avranno l’esperienza necessaria e la capacità per fare sviluppo immobiliare «di area» e mix tipologico, allora le funzioni ricche che saranno prodotte (ad esempio spazi commerciali urbani) saranno in grado di ripagare i costi delle abitazioni a canone sociale. Lo stesso potrà essere ottenuto con la vendita dopo 30 anni delle abitazioni Ers sul mercato libero: se gli immobili si rivalutano grazie alla buona gestione dovuta ai servizi che fanno crescere lo «status» dei residenti, e al mix di tipologie presenti nel quartiere, questo «guadagno» (capital gain) può essere riutilizzato per lo sviluppo di nuovi alloggi Ers. Forse ci arriveremo.

Autore

  • Uberto Visconti di Massino

    Nato a Milano, ha vissuto per un anno negli Stati Uniti prima di laurearsi in Architettura con indirizzo urbanistico al Politecnico di Milano nel 1994. Ha iniziato a lavorare presso l’Istituto di ricerca Scenari Immobiliari e durante il dottorato di al Politecnico di Torino in pianificazione territoriale e mercato immobiliare, si è trasferito a Delft per fare ricerca presso l’università di architettura, dipartimento real estate e housing. Rientrato in Italia, ha fondato la società Valori Urbani Srl e nel 2006 è entrato a far parte di ING Real Estate Development, dirigendo l’attività di acquisizione progetti di sviluppo. Dal 2009 al 2015 è stato parte del Gruppo Arcotecnica (ora IPI/Agire) per lo sviluppo di progetti immobiliari e nella gestione di cespiti e portafogli immobiliari. Poi passato in Knight Frank (Capital Markets, 2016) ha lavorato per Ostello Bello (Italia) e nella direzione di una proptech estera (Casafari, PT, 2022), mentre dal 2017 è in Talent Garden SPA, dove ha sviluppato spazi di coworking in tutta Europa. È specializzato in analisi di mercato, sviluppo urbano, acquisizione immobiliare, valutazione e gestione immobiliare. Giornalista pubblicista dal 1996, è stato nel board della European Real Estate Society (ERES 2005-2010) e di AICI (Associazione italiana consulenti immobiliari) e del Royal Institute of Chartered Surveyors, UK (2005-2020)

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Last modified: 17 Luglio 2015